Ciò di cui mi vogliamo occupare oggi si incentra principalmente su quanto sia diventato (o anche il contrario, ditemelo voi) costoso il videogiocare.
Costoso non solo in termini pecuniari, ma procediamo comunque con ordine.
Free to play
Il free to play, da qui in avanti f2p per comodità, è una relativamente nuova tipologia di business in ambito videoludico, sebbene esista già da svariati anni, ha avuto il suo boom solo dopo l’avvento di giochi come League of Legends, Dota 2, Warframe e chi più ne ha più ne metta.
Con questo modello gli sviluppatori tentano di raggiungere una fetta sempre più grossa di mercato, a volte con risultati molto più che soddisfacenti, a volte con risultati pari a quel nostro lontano compito in classe di matematica in 1° superiore, si, proprio lui.
Ma da cosa dipende la riuscita o meno di questa formula? Fondamentalmente da due elementi ben distinti ma talmente intersecati da essere, alla fine, una cosa unica (grazie alla madre fava direte voi).
Il gioco in sé, con tutti quegli aspetti tecnici e ludici come gameplay, grafica, lore etc. e, udite udite, l’in game shop. La giusta ricetta risiede in quella sottile linea tra far diventare un gioco a pagamento e farlo diventare un pay to win (p2w d’ora in avanti).
Come tutti ben sappiamo praticamente nessuno fa nulla per la gloria, eccetto Madre Teresa e Tony Stark, lo sviluppatore deve quindi ingegnarsi su come trarre profitto dal suo bambino senza andare però a danneggiarlo.
Danneggiare un gioco in pochi semplici passi:
- Se paghi otterrai privilegi che chi non paga non avrà mai;
- Se paghi experai mille volte più velocemente di chi non paga;
- Se paghi otterrai botte da papà/fidanzata, cosa che chi non paga non avrà mai;
Come fare quindi per non inficiare sull’aspetto tecnico di un gioco? Offrendo miglioramenti estetici, che siano essi ottenibili solo pagando o tramite grindaggio estremo da coreano (grindare – ripetere all’infinito una missione o l’uccisione di un mostro) dipende solo dalla politica dell’azienda.
Il f2p, dunque, potrebbe essere la scelta economica corretta per chi vede sempre uscire la fatidica piccola falena dal proprio portafogli, a patto che sia però, un modello sostenibile.
DLC – DownLoadable Content
Altra piaga che affligge il mondo videoludico odierno, il DLC, lo strumento di tortura paragonabile alla Vergine di Norimberga preferito dalle grandi case, EA più di tutte.
Sorvolando l’innalzamento generale dei prezzi, vuoi che sia perché i progetti son sempre più grossi, vuoi che sia per particolare avidità dei piani alti, personalmente ritengo MOLTO discutibile l’acquistare un gioco a 69.98€ al day one e ritrovarmi dopo un mese con un pezzo di storia aggiuntivo, o un’automobile o dei semplici costumi.
Questa pratica commerciale ha scoraggiato, perlomeno nel mio ristretto gruppo di amici, l’acquisto di qualsivoglia titolo che sarebbe potuto approdare allo “sfornamento” di dlc a carattere industriale in quanto atto di prepotenza da parte della casa madre produttrice.
La triste verità è che purtroppo siamo passati da un gaming di qualità a un gaming di quantità, troppi videogiochi in giro, di ogni tipo, tutti uguali, accomunati tutti dal bisogno irrefrenabile del guadagno.
Non che prima lavorassero per la gloria, ma essendo cresciuta la fetta di popolazione videogiocatrice, se prima si mirava a far contento l’acquirente perché bene o male ti dava da mangiare e la reputazione era molto importante oggi non è più così, perdonatemi il paragone tra un Diablo III, un Path of Exile e un Drakensang.
Raggiungere le nostre case non è mai stato così semplice come al giorno d’oggi e per ogni no che diciamo ci saranno altri diecimila utenti che diranno si, e spenderanno anche all’interno dello shop.
Abbiamo tutti iniziato ad accontentarci, chi più chi meno, e questo credo che ci danneggi direttamente.
Altro punto focale della mia riflessione va al fenomeno dei saldi di Steam, manna dal cielo per molti che come me faticano a stare a galla mese dopo mese.
In quanti ci ritroviamo sistematicamente a dire: “acciderbolina che figata sto gioco” peccato che costi così tanto, meglio aspettare che vada in saldo.
Questo tattica commerciale a mio avviso, danneggia sia noi consumatori sia i produttori per due semplici motivi.
- In primis lo sviluppatore, che sia indie o tripla A, sicuramente non deve essere molto felice di veder svenduto il proprio lavoro a pochi euro, e in alcuni casi a pochi centesimi.
- In secondo luogo noi consumatori, alzi la mano chi ha almeno 50 prodotti nel proprio account di Steam.
In che modo vanno a danneggiarci? Molto semplicemente lo sviluppatore perde interesse nel produrre giochi di qualità, tanto prima o poi finiranno per costare poco, ed è meglio vendere tanto a poco, piuttosto che poco a tanto.
L’altra faccia della medaglia siamo noi, irresistibili burloni che non sanno resistere a quel piccolo logo che cita -75% ad esempio, e finiamo per comprare ogni porcheria che ci si propina, magari senza nemmeno mai avviarlo o finirlo veramente.
Tutto ciò è veramente molto molto triste, vedere queste librerie giganti, prodotte dalla nostra voglia di accumulare indiscriminatamente nascondendoci dietro il dito chiamato “tanto prima o poi lo giocherò”.
Ma non è così che funziona, non è così che vogliamo divertirci, non è così che abbiamo imparato a divertirci.
Relationships’ in da AUS
Un costo veramente enorme che i videogiochi, si badi bene, non gli sviluppatori, pretendono da noi è il nostro tempo e le nostre relazioni sociali, quanto siete disposti a investirne per divertirvi?
Probabilmente tanto, tantissimo.
Non che il flame ad esempio non sia mai esistito, così come i troll, ma la tendenza comune si sta spostando verso comunità sempre più tossiche, il che non è assolutamente un bene.
Capisco la competitività, capisco il voler vincere, ma non possiamo ASSOLUTAMENTE permetterci comportamenti simili, obiettivamente voi augurereste il cancro al vostro amico d’infanzia col quale giocavate a calcetto?
Dobbiamo mantenere un comportamento civile, stiamo GIOCANDO per divertirci, non ha senso tutto questo.
Il gaming si sta spostando sempre più sull’online, ma è un online snaturato del suo aspetto social che in principio era motivo di aggregazione piuttosto che di diverbi, ricordo ancora con piacere la mia gilda su World of Warcraft, una grandissima famiglia, gente di tutte le età, amicizie rimaste anche fuori dal gioco, l’esserci sempre l’uno per l’altro, i raid da 25 da sudare insieme, i battlegrounds premade.
Oggi il massimo di aggregazione che abbiamo è un team da 5 su un qualsiasi MOBA o al massimo da 10 su un qualsiasi FPS.
Si rimane sempre su una cooperazione scarna, che non mira a costruire nulla, perchè finito il match si riparte da zero, ma questo è solo il punto di vista di un povero mentecatto.
Il dado è tratto
In conclusione sostengo che il gaming oggi come mai prima richieda molte più risorse, sia economiche che sociali, allontanandoci, talvolta, gli uni dagli altri, e sebbene perdere 70€ per un gioco sia brutto, sono convinto che perdere un amico per un gioco sia eccessivo.
Dobbiamo solo cercare di essere oculati nelle scelte, nelle spese e cercare la qualità, senza paura di intraprendere nuove strade, non dobbiamo essere i migliori, non dobbiamo non giocare a Quake III Arena perchè non saremo mai dei progamer, dobbiamo giocarci per aver il miglior divertimento possibile.
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