Con l’avvento delle microtransazioni all’interno dei videogiochi sono sempre più presenti i cosiddetti loot box, quelle “scatole chiuse” che permettono di ricevere premi e bonus all’interno di un videogioco. Questi sono ottenibili sia in modo gratuito giocando molte partite, ma anche con soldi veri, situazione che facilita di molto le cose ai giocatori e che permette alle software house di monetizzare.
In questi giorni è dunque nata una polemica sul considerare o meno questa pratica una sorta di gioco d’azzardo, visto il pericolo che si incorre nel voler tentare la fortuna, spendendo soldi, per ottenere qualcosa: nel caso i loot box fossero effettivamente trattati come gioco d’azzardo, la classificazione per età dei titoli in cui è possibile sfruttare questa pratica dovrebbe essere rivista poiché non adatta ai minori di 18 anni.
Qualche giorno fa si è espresso in merito l’ESRB a cui si è accodato anche il PEGI (che ci riguarda maggiormente), arrivando alla conclusione, almeno secondo il direttore Dirk Bosmans, che i loot box non sono da considerare alla pari del gioco d’azzardo:
Le casse con premio casuale non possono essere considerate gioco d’azzardo e il motivo è semplice: acquistandole si ha sempre la certezza di avere qualcosa in cambio, anche se magari non sempre si ottiene ciò che si vorrebbe. Per questo motivo non è adeguato metterle alla pari del gioco d’azzardo.
In ogni caso questo non è un nostro compito, poiché noi ci occupiamo di classificare i videogiochi in base al contenuto e alle tematiche trattate, mentre il gioco d’azzardo deve rispondere ai governi e alle commissioni locali con regolamenti molto diversi rispetto ai nostri.
Per il momento dunque non siamo ancora tutti dei giocatori d’azzardo incalliti, almeno secondo il PEGI; vedremo come evolverà la cosa e se davvero i loot box saranno salvi dall’essere paragonati a qualcosa che, effettivamente, non ha nulla a che vedere con roulette e slot machine.
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