L’E3 2019 è ormai alle nostre spalle. Come ogni anno, le diverse conferenze ci hanno fornito un’idea più o meno chiara di ciò che ci attende nei mesi a venire nel mondo dei videogiochi. Sebbene si possa discutere a lungo di quale sia stata la conferenza migliore della fiera, penso che ci siano pochi dubbi su quale sia stato il momento più memorabile e sorprendente. L’apparizione di Keanu Reeves alla fine del trailer cinematografico di Cyberpunk 2077, nonché il suo arrivo sul palco della conferenza Microsoft, ha catalizzato l’attenzione non solo dei videogiocatori, ma anche delle persone esterne a quest’industria facendo esplodere la rete. E non poteva essere altrimenti. D’altronde, stiamo parlando di uno degli attori più lanciati e apprezzati degli ultimi anni, grazie alla sua rinnovata ascesa con la saga di John Wick. E diciamocelo, anche di uno dei più amati come essere umano, per via della sua rinomata gentilezza, disponibilità e generosità. Non a caso, mentre Reeves era intento a descrivere l’ambientazione di Cyberpunk 2077, definendola “mozzafiato”, un ragazzo non ha saputo trattenersi e si è lanciato in un genuino e spontaneo “tu sei mozzafiato!”, conquistando i cuori di tutti i presenti, compreso quello dello stesso Reeves che ha ricambiato il complimento. Persino CD Projekt Red ha apprezzato questa dimostrazione di affetto al punto da offrire al ragazzo una Collector’s Edition del gioco in regalo, rifiutata a favore di un’attività di beneficenza.
Questa meravigliosa serie di eventi non si sarebbe mai verificata se Keanu Reeves non fosse apparso alla fine di quel trailer e sul palco di Los Angeles. Se al suo posto ci fosse stato un qualunque altro personaggio, e se la data di uscita fosse stata annunciata da un qualunque membro del team di CD Projekt Red, oggi staremmo parlando di tutt’altro, o forse di nulla. Nell’industria videoludica, Cyberpunk 2077 era già visto da tutti come uno dei titoli più attesi di sempre, che potrebbe essere in grado di rivoluzionare i concetti di open world e di gioco di ruolo. Ma ad un occhio esterno o inesperto, Cyberpunk 2077 non era neanche lontanamente noto. Invece adesso appare come un qualcosa da tenere sotto osservazione, perché al suo interno è presente un rinomato attore, conosciuto da tutti per il suo spessore mediatico e per le sue capacità artistiche di recitazione. Ed ecco che la sua sola presenza basta ad elevare ulteriormente la caratura del titolo, ponendolo agli occhi della massa culturale non solo come un prodotto di intrattenimento, ma come un prodotto artistico.
E questo lo aveva capito tanti anni fa anche David Cage, quando scritturò nel suo Beyond: Two Souls altri due attori di fama mondiale come Ellen Page e Willem Dafoe. Lo ha capito Activision, che inserì in Call Of Duty: Infinite Warfare l’attore britannico Kit Harington. Lo ha capito Hideo Kojima, che per il suo nuovo Death Stranding è riuscito ad attirare attorno a sé non solo un cast di attori da blockbuster hollywoodiano, ma persino un regista premio Oscar come Guillermo Del Toro. Lo ha capito Ubisoft, che sempre all’E3 ha parlato del nuovo Ghost Recon Breakpoint attraverso l’attore Jon Bernthal, presente nel gioco. E sempre Ubisoft ha stretto una collaborazione con la compagnia di produzione dell’attore e regista Joseph Gordon-Levitt per la realizzazione di Beyond Good And Evil 2.
Insomma, Keanu Reeves è solo un altro tassello di un puzzle che è in assemblaggio da diversi anni. Un puzzle che sta avendo una costruzione silenziosa della quale in pochi si sono accorti. Un puzzle che ha come scopo quello di costruire una nuova aura attorno al medium videoludico, legittimandolo in modo definitivo e inoppugnabile come una forma d’arte a tutti gli effetti. Certo, noi consumatori quotidiani dei prodotti di quest’industria abbiamo consolidato questo concetto ormai da molto tempo. Ma non si può dire la stessa cosa per la massa, per coloro che vedono il videogioco con occhio esterno, giudicandolo un passatempo o, nel migliore dei casi, una forma di intrattenimento.
Il videogioco sta vivendo in questi ultimi anni lo stesso fenomeno che visse il cinema verso la metà del XX secolo. Nei suoi primi anni, il cinema veniva considerato come un fenomeno attrattivo, al punto che ci riferiamo alle pellicole dell’inizio del ‘900 come “cinema delle attrazioni”. Con il periodo dei grandi studios, divenne chiaro a tutti il suo potenziale economico, fino ad imporsi come il business più redditizio del secolo. Ed è proprio durante la metà del ‘900 che cominciò ad emergere il cinema d’autore: film realizzati da persone che non avevano il solo scopo di generare un profitto, ma di comunicare qualcosa allo spettatore. In quel periodo il cinema venne riconosciuto non solo come prodotto finanziario, ma anche come prodotto artistico.
Non è forse la stessa cosa che sta succedendo al videogioco? Agli albori un semplice fenomeno d’intrattenimento, per poi incanalare attorno a sé uno dei mercati più remunerativi del mondo, fino agli ultimi anni in cui si sta cominciando a prendere piena coscienza del suo effettivo valore artistico. Un valore in parte già recepito all’interno dell’industria, ma che deve ancora attecchire all’esterno. Ed ecco che per raggiungere questo scopo sopraggiunge l’aiuto del fratello maggiore, il cinema. Il medium che ha seguito lo stesso percorso, che ormai è riconosciuto e affermato a livello mondiale. Grazie alla presenza dei suoi interpreti, il videogioco raggiunge le orecchie anche di chi non ha mai preso in mano un joypad, attirando su di sé attenzione e curiosità. La presenza di attori famosi attrae pubblico, e oltre ad essere una mossa di marketing si rivela un atto di elevazione culturale del prodotto. “Se in quel gioco è presente e recita un attore come Mads Mikkelsen, allora deve essere qualcosa di bello e interessante”. Potrebbe essere considerato un pensiero molto banale e semplicistico, ma è un primo passo per attirare ed educare un pubblico esterno che senza di lui non avrebbe mai neanche sentito nominare Death Stranding. La sua sola presenza è sufficiente per far capire che se lui c’è, allora non è un videogioco come tutti gli altri, ma qualcosa di più.
Tengo a precisare un punto che non vorrei fosse frainteso da chi sta leggendo queste righe. L’elevazione artistica dei videogiochi non avviene solo se essi si rifanno alla narrazione impegnata dei film, imitandola. Così come tutto il cinema è considerato arte in ogni suo genere, quindi non solo nel film d’autore ma anche in quello d’azione, così anche il videogioco sta cercando di trasmettere questo concetto. Se analizziamo il caso di Kit Harington e Jon Bernthal, notiamo come i due abbiano partecipato a due franchise videoludici che non hanno come primo obiettivo quello di trasmettere un qualche messaggio profondo, e non sono giochi che basano il fulcro del loro essere su una componente narrativa. Allo stesso modo, Keanu Reeves ha partecipato ad una saga adrenalinica come quella di John Wick, eppure nessuno oserebbe mai negare il suo valore artistico di attore. Questo perché esistono diverse tipologie di forme d’arte, destinate a diverse tipologie di pubblico. Sono lieto di vedere gli attori prendere parte alle produzioni videoludiche a tutto tondo, e non solo in quelle più improntate sulla narrazione come Beyond: Two Souls e Death Stranding. C’è già la consapevolezza che il videogioco è un’arte nel suo insieme, e non solo in una determinata tipologia di prodotti.
Tuttavia, il videogioco non deve cadere nella trappola dell’imitazione. Ritengo che cercare di emulare il cinema non sia la strada giusta da seguire. Piuttosto, deve cercare di farlo evolvere grazie a qualcosa che esso non potrà mai avere, ossia l’interattività. L’entusiasmo per la presenza di queste figure importanti nel nostro medium è dovuto al fatto di poter interagire con loro, creando un coinvolgimento maggiore rispetto a quello che darebbe qualcuno di non riconoscibile, qualcuno che non ha un volto fissato nell’immaginario collettivo. Tra l’andare in battaglia con un qualunque soldato e andare in battaglia con l’attore di The Punisher c’è una certa differenza. Oltre a questo, le infinite possibilità offerte dal videogioco permettono di sfruttare le tecniche stilistiche del cinema in modi completamenti innovativi, ampliandone le potenzialità verso orizzonti inesplorati. Essere i protagonisti e cercare di ottenere il controllo di ciò che vediamo è qualcosa che il cinema non potrà mai concretizzare.
Interazione ed evoluzione, non imitazione.
Questi ultimi anni ci hanno chiaramente mostrato come il videogioco voglia affermarsi al grande pubblico come una forma d’arte a tutti gli effetti. Le collaborazioni con i grandi attori non possono che aiutare il raggiungimento di quest’obiettivo, per questo sono dell’idea che dovremmo accettarle e incoraggiarle. I benefici che portano sono decisamente superiori ai danni e ci aiutano a prendere maggiore coscienza di come quest’industria stia tentando di cambiare la percezione esterna nei suoi confronti. Se il XX secolo è stato il secolo del cinema, sono decisamente convinto che il XXI secolo potrà diventare il secolo del videogioco, se esso sarà in grado di evolvere concetti, canoni e stilemi del suo fratello maggiore. La strada è tracciata, non resta che percorrerla.
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