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Wolfenstein: Youngblood – Recensione

Wolfenstein: Youngblood

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PREMESSA

Wolfenstein è, senza alcun dubbio, una delle mie saghe preferite di sempre. Vuoi perché è lo shooter per eccellenza, vuoi perché è parte della storia del videogioco, vuoi perché è il simulatore perfetto di distruzione del nazifascismo, l’hype verso ogni nuovo titolo targato Wolfenstein è sempre notevole. Inoltre, dopo quel capolavoro chiamato “The New Colossus”, lo standard (e di conseguenza le aspettative), si è inevitabilmente alzato.
Nel 2017 non ebbi difficoltà a considerare “Il Momento Videoludico dell’Anno” proprio una scena de “The New Colossus”. Wolfenstein: Youngblood avrà saputo reggere il confronto?

Distruggere busti di Hitler in giro per la mappa è estremamente soddisfacente.

Il Gioco 

Wolfenstein: Youngblood è ambientato nel 1980, circa vent’anni dopo gli avvenimenti de “The New Colossus”. Blazko e Anya hanno finalmente cominciato la loro vita insieme, crescendo le loro due figlie gemelle: Jessica e Sophia. Sono loro le protagoniste di questo capitolo, capitolo in cui per la prima volta non vestiremo i panni di Terror Billy.
La trama è chiara: Blazkowicz di punto in bianco scompare e nessuno sembra voglia occuparsi della faccenda. Jessica e Sophia, con l’aiuto della loro amica Abby (figlia di Grace Walker, vecchia conoscenza per i fan della serie), decidono quindi di partire alla ricerca del padre.
In realtà, oltre che chiara, la trama è anche estremamente semplice e lineare. Tolto un piccolo colpo di scena, l’inizio, l’intermezzo e la fine della storia sono facilmente intuibili. Non che sia una tragedia: Wolfenstein non è certo divenuto famoso per la complessità dei suoi intrecci narrativi. Diciamo però che, in questo caso, la narrazione risulta povera anche per un titolo del genere. Oltre al contenuto scarno, la sua esposizione non rende certo giustizia a quanto Bethesda ci ha spesso abituato. La sceneggiatura è ai minimi sindacali, con dialoghi poco ricercati e caratterizzazione dei personaggi, protagonisti o meno, praticamente assente.

RPG? Forse un’altra volta…

Wolfenstein: Youngblood ha fatto parlare di sé grazie soprattutto all’annuncio dell’introduzione di dinamiche RPG all’interno del gioco. A conti fatti, l’unica meccanica RPG consiste nella personalizzazione di un albero delle abilità, sbloccabili e migliorabili con dei punti acquisiti salendo di livello. Purtroppo, sin da subito nascono le prime perplessità riguardanti questo sistema:
A) Non importa con quale gemella sceglieremo di giocare, entrambe hanno a disposizione le stesse identiche abilità e potenzialità
B) Non c’è un level cap, per cui potremo potenzialmente sbloccare in una singola run qualsiasi abilità, permettendoci di specializzarci in qualsiasi cosa

La scelta di un percorso al posto di un altro (e quindi di decidere il nostro “ruolo”, appunto) non è marcata né a livello di gameplay né a livello narrativo. Come detto precedentemente, la trama è estremamente lineare e le varie missioni secondarie non solo sono completabili praticamente in qualsiasi momento, ma non servono neanche a garantirci chissà quali svolte alternative.
Parlando proprio di missioni secondarie, oltre a non aggiungere nulla alla trama, esse rischiano addirittura di essere una terribile autorete: per completarle ci viene richiesto di tornare più e più volte nelle poche aree di gioco presenti, rendendo inevitabilmente ripetitive le varie ambientazioni.

Questo era grosso.

La certezza del gameplay

Il gameplay, sostanzialmente invariato dai precedenti capitoli, continua a rimanere il fiore all’occhiello di questa serie. Wolfenstein: Youngblood riesce a consegnarci l’adrenalina e la frenesia nella maniera che solo Wolfenstein sa fare. I combattimenti a livello Difficile non risultano estremamente impegnativi e, per la prima volta, ho deciso di giocare alla “caciarona” (come probabilmente andrebbe giocato un titolo del genere), godendomi ogni headshot e ogni nemico squagliato con il buon Laserkraftwerk. Diciamo comunque che è stata una decisione dettata da necessità: l’approccio stealth non è proprio facilitato. Essendo un titolo co-op, se non abbiamo qualche amico con cui giocare, la nostra sorellina viene gestita dal PC. L’IA è ben fatta e, nei combattimenti feroci, giocare col PC risulta anche vantaggioso: oltre a morire raramente, shotta robottoni vari con una facilità disarmante. Se però amate fare in silenzio, l’IA non vi verrà incontro. Ci sono delle situazione in cui i nazisti dialogano uno davanti all’altro, senza muoversi di un centimetro. Assassinarne uno significa inevitabilmente farsi scoprire dall’altro e far scattare la solita carneficina. L’ideale sarebbe quindi agire in maniera coordinata con vostra sorella: possibile se gestita da un amico, impossibile se gestita dall’IA.
Degna di nota l’implementazione di scudi da distruggere prima di poter intaccare la vita dei nemici. Di due tipi, scudi leggeri e scudi pesanti, hanno bisogno di armi particolari per essere distrutti. Un nemico con scudo pesante, ad esempio, non viene scalfito dai colpi di mitraglietta, costringendoci a cambiare arma più volte e rendendo i combattimenti più strategici e variegati.

Purtroppo la rigiocabilità è limitata. Oltre ad essere un gioco abbastanza breve (con 15 ore a modalità Difficile ho raggiunto oltre l’80% di completamento complessivo), i motivi per iniziarlo una seconda volta sono praticamente inesistenti. Come già detto, la scelta di una sorella al posto di un’altra non cambia nulla né narrativamente né per quanto riguarda le armi e le abilità da poter usare; non esiste level cap, per cui è tutto sbloccabile con una singola run; non ci sono sbocchi narrativi alternativi; tutti i collezionabili sono disponibili “alla prima botta” e non c’è un trofeo per chi finisce il gioco ad una determinata difficoltà.
L’unica motivazione per rigiocare Wolfenstein: Youngblood è il voler cambiare partner d’avventura.

Varie ed eventuali

La versione che Bethesda ci ha gentilmente fornito è quella per PS4.
Sulla mia PS4 Pro il gioco gira senza troppi problemi, anche nelle scene più concitate e cariche di fotogrammi; soltanto in alcune cinematiche le immagini non risultano propriamente fluide. Non ho notato la presenza di bug troppo invasivi: la patch uscita praticamente subito ha fatto il suo dovere.
Il reparto grafico è rimasto sostanzialmente invariato e la colonna sonora, pur senza stupire, ci accompagna piacevolmente in tutte le fasi del gioco.

Conclusioni

Per rispondere alla domanda fatta nella premessa: Wolfenstein: Youngblood ha soddisfatto le aspettative? La risposta è, purtroppo, no. La risposta non può che essere no se decidiamo di paragonare questo capitolo con quelli precedenti, se decidiamo di paragonare questo lavoro con la potenzialità espressa dai lavori precedenti. Sceneggiatura, ambientazioni, caratterizzazione, profondità della trama e longevità sono assolutamente inferiori rispetto a quanto MachineGames e Bethesda ci hanno abituati. Nel senso, siamo passati da una cura maniacale per i dettagli, dove anche la colonna era un valore aggiunto al prodotto finale, ad una produzione che non vorrei esagerare a definire superficiale.
Se invece vogliamo evitare il paragone e prendere Wolfenstein: Youngblood come entità a sé stante (e soprattutto per quello che è), forse il giudizio può non essere troppo severo. Dopotutto il divertimento seppur breve è assicurato e, in parte, anche giustificato dal prezzo con cui il gioco è stato messo sul mercato. Con 40 euro ci si può portare a casa la Deluxe Edition che include il Buddy Pass, sostanzialmente un’altra key da poter donare ad un nostro amico con cui poter giocare insieme. In sostanza 20 euro a capoccia, per dirla in romanesco. E anche se la mancanza di Blazko si fa sentire, si vede che le due protagoniste sono figlie del padre e non sono propriamente inclini al dialogo. D’altronde, come disse Pajetta, “Noi con i fascisti abbiamo smesso di parlare il 25 Aprile del 1945!”. Diciamo che la famiglia Blazkowicz non ha mai iniziato.
A conti fatti, se considerato come spin-off o DLC, Wolfenstein: Youngblood risulta certamente divertente, adrenalinico e, come ogni co-op, moltiplica il suo valore se giocato con un amico.
Sappiamo che è stato un primo tentativo verso un’evoluzione e un’innovazione del brand; speriamo però che questa rivoluzione non tradisca tutto quello che Wolfenstein ha rappresentato fino ad oggi. 

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