Le nostre origini. Tanto ignote, quanto affascinanti
Queste impressioni sono frutto di un tempo giocato di una dozzina di ore complessive su un gioco di ampio respiro, pertanto il giudizio a gioco finito potrebbe essere diverso, specialmente considerata la complessità del titolo.
Ancestor è un gioco molto particolare. È realizzato da Patrice Désilet, la mente dietro la creazione di Assassin’s Creed. Ma non è realizzato da Ubisoft. Assolutamente. Per farlo, il geniale game designer ha dovuto fondare un suo studio: Panache Digital. Siamo quindi in territorio Indie d’autore. Il progetto è nuovo, strano, di mai visto in termini di concetto. L’esecuzione è, a mio avviso, intrigante come le premesse, seppur forse con qualche sbavatura.
Ancestor si presenta come un gioco di sopravvivenza in terza persona, nel quale vestiamo i panni di un ominide circa 10 milioni di anni fa. Siamo nel Cenozoico, quando gli antenati di scimmie ed umani gironzolavano per la giungla africana. Lo scopo del gioco è abbastanza semplice: sopravvivere ed evolversi. Come farlo, non è per niente semplice ed intuitivo. Da questo punto di vista, tutto il design del gioco è “ostico” al giocatore. Le indicazioni sono poche, le meccaniche non sono esplorate in profondità. Esattamente come gli ominidi di quell’epoca, il giocatore deve sperimentare per capire il mondo.
Noi oggi diamo tante cose per scontate, ma per esseri con un cervello meno complesso del nostro, riuscire a creare relazioni di causa effetto con il mondo circostante non è stato affatto facile. Da un punto di vista meccanico, il gioco sfrutta i numerosi pulsanti presenti su un controller in modo contestuale: le loro funzioni cambiano in base a cosa si sta facendo. In linea di massima, esistono 3 fasi di gameplay. La prima, locomotoria, dove il giocatore gironzola nell’ambiente. Tutto normale.
La seconda, di analisi del territorio. Rimanendo fermo è possibile sfruttare la propria intelligenza insieme ai sensi di olfatto ed udito per individuare piante, luoghi ed animali nell’ambiente. La terza è quella di manipolazione. Sfruttando gli arti superiori è possibile afferrare e manipolare alcuni oggetti di gioco. Il tutto con lo scopo di sopravvivere, dormendo, mangiando e bevendo e riprodursi per continuare la propria specie.
La sensazione nelle prime ore è davvero bellissima. Ci si ritrova in una mappa densa, lineare che si apre mano a mano, senza una mappa digitale, forzando il giocatore a navigare secondo punti di riferimento scoperti in precedenza. Si incomincia a capire come crearsi delle armi, come esplorare in lungo ed in largo, come accoppiarsi, come crescere figli e via dicendo. Tutta l’evoluzione dei personaggi sta nel “fare cose” insieme alla propria prole. Più si ripetono azioni e se ne scoprono di nuove, più viene accumulata energia neuronale che verrà usata per sbloccare nuove capacità per se stessi e per il futuro. Ho apprezzato molto questo aspetto di dover avere con se i propri figli. Il primo passo per apprendere è infatti proprio quello dell’osservazione e dell’imitazione ed è così che le conoscenze si tramandano di generazione in generazione.
Toelettatura lungo i fianchi
La felicità è stata in parte incrinata da una piccola serie di implementazioni meccaniche che non ho trovato molto al passo con i tempi. In primis abbiamo la natura survival del titolo, che è ovviamente voluta. Tutto è letalissimo e si possono fare sbagli enormi, che portano giustamente ad un game over. Mentre trasferivo il mio clan in un nuovo rifugio pieno di cibo ed acqua, sono stato attaccato da una belva feroce. Fu allontanata, ma alcuni membri del mio clan furono feriti. Senza che io me ne accorgessi. Non avevano indicatori di stato evidenti e pertanto pensavo stessero bene. Dopo un salto temporale per passare alla generazione successiva, il mio clan si era ridotto a due individui, maschi, impossibilitato a continuare la stirpe.
Soluzione? Ricominciare il gioco da capo. Non un’impresa da niente considerando che è necessario riguardare tutte le cutscene. La mia natura da sperimentatore selvaggio mi ha portato a numerosi game over di fila, ed è stata in parte una mia decisione, aggravata dal fatto che non siano presenti save slot a parte il salvataggio automatico. Anche questa è una scelta: è un elemento voluto da Désilets per non farci sentire mai al sicuro, in fondo l‘Africa è lì lì per mangiarci. Lo so, è un survival, sono giochi fatti così, ma le dichiarazioni dello sviluppatore, di “ognuno deve trovare il proprio ritmo” cozzano un po’ con l’inflessibilità del sistema. O sopravvivi o muori. Inoltre trovo un po’ eccessivo il dover occuparsi dei vari ominidi singolarmente. Quando si tratta di mangiare e bere, basta eseguire un’azione e tutti seguono, ma bisogna formare ogni coppia singolarmente, gestire ogni accoppiamento singolarmente e curare ogni ominide a se. Fino a quando i numeri sono piccoli va bene, ma porta a ripetere le stesse azioni più del dovuto.
Dopo un po’ di ore di gioco in un salvataggio dove finalmente ho capito cosa fare per evolvermi e proseguire nelle generazioni ha iniziato a sopraggiungere un senso di fallimento umano, di estrema complessità del gioco. Principalmente perché i miglioramenti non si mantengono tutti passando nella propria prole, ma devono essere appresi nuovamente. Il tutto avviene più velocemente ovviamente ed è possibile aumentare il gruppo di abilità di partenza, ma il peso di dover grindare anche solo per riottenere qualcosa di già avuto in precedenza mi stressava più del dovuto. Fa davvero capire quanto è stato complesso per la nostra specie sopravvivere e dover imparare tutto, dagli elementi più basilari.
Date tempo al tempo
Ancestor è un survival. È un gioco lento, che richiede del tempo per dare soddisfazioni. Bisogna essere pazienti. Però mi ha dato in linea di massima delle emozioni contrastanti. Tanti altri survival mi frantumavano i maroni immediatamente, facendomi desistere subito. Questo, ha azzeccato sicuramente il primo approccio. Non ho mai provato genuina curiosità e voglia di provare nelle fasi di iniziali come in Ancestor. Poi si è forse un po’ discesi nella routine, che ora, dopo una decina di ore di gioco, non se ne è mai andata del tutto. Ed è un peccato. Le lussureggianti foreste, i grandi laghi o le savane selvagge, sono ben realizzati e densi. Sono piacevoli da navigare ed esplorare. Guardare i propri ominidi passare da NPC imbelli a un gruppo sempre più coeso ed in grado di lavorare insieme è un qualcosa di nuovo e poco visto nel mondo dei videogiochi.
Va detto, il mio giudizio qui si basa su appena un paio di milioni di anni di giocato, di fronte agli 8 circa promessi dallo sviluppatore. Continuerò, cercando di arrivare alla fine, anche se più tempo passa e più sono convinto che questo gioco sarebbe stato ancora più interessante se pensato in modo più classico e meno survival.
Please enable JavaScript to view the comments powered by Disqus.