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Devil’s Hunt – Recensione

Devil's Hunt

Layopi Games è una software house piccola ma senza dubbio ambiziosa. Lo studio indie con sede a Varsavia si pone infatti obiettivi che definire “coraggiosi” sarebbe un eufemismo. Non solo puntano ad un livello tecnico di prim’ordine e storie originali ma, soprattutto, vogliono portare innovazione sul piano ludico con elementi mai visti prima. Insomma, una dichiarazione di intenti decisamente ardita. Il (primo) banco di prova è l’atteso Devil’s Hunt, action game che sembra strizzare l’occhio ai capostipiti del genere e che ha alle spalle il romanzo “Equilibrium” di Pawel Leśniak.

Il Diavolo veste Armani

Desmond Pearce è un viziato rampollo di una ricca famiglia di Miami e non gli manca proprio nulla, se non qualche neurone forse. Villa in riva al mare, macchinone, amici e una splendida ragazza, a cui presto chiederà la mano. Desmond è anche un fenomeno sul ring e disputa svariati incontri, soprattutto illegali, atti a coccolare ulteriormente il suo ego, vivendo una vita completamente dedicata all’edonismo. Qualcosa sta per cambiare ovviamente e una serie di eventi porta il protagonista a perdere tutto, divorato dalla disperazione sceglie infine di suicidarsi: la sua vera storia inizia qui. Viene infatti “soccorso” da un losco figuro che lavora per Lucifero, e proprio quest’ultimo lo arruolerà come proprio lacchè, in cambio della possibilità di vendicarsi contro chi gli ha distrutto la vita. Desmond viene quindi dotato di fenomenali poteri demoniaci e rimandato sulla Terra a combattere in nome degli Inferi. Il ragazzo è però molto più di un semplice sgherro e racchiude in sé un potere inimmaginabile, ovviamente.

Desmond si muove sinuosamente sul campo di battaglia, almeno in apparenza…

Alfa

L’incipit può sembrare poco ispirato ed effettivamente lo è, ciò che però va davvero a inficiare la trasposizione dell’opera di Leśniak è l’assoluta superficialità della scrittura. I personaggi sono tagliati con l’accetta, i dialoghi confusionari e la regia a volte incomprensibile. Desmond e gli altri comprimari cercano di lanciare frasi ad effetto, battute taglienti ed epici monologhi ma il risultato è grottesco, quasi infantile. Il taglio della produzione sembra quello di un B Movie che si prende troppo sul serio, stroncando sul nascere le sporadiche buone idee che la sceneggiatura presenta nel corso della trama, comunque molto piatta.

Il design dei nemici è fin troppo semplicistico e poco variegato

Lacrime di demone

Pur imbattendosi in vistosi problemi di scrittura, in una produzione del genere è chiaro che l’importanza della trama possa contare molto relativamente e che ciò che interessi davvero, sia il gameplay nudo e crudo. Purtroppo anche in questo frangente Devil’s Hunt zoppica vistosamente, inciampando a più riprese. Il combat system si preannuncia frenetico e reattivo, arricchito da tre diversi Skill Tree che possono fornirci strumenti offensivi, difensivi e di controllo del terreno di gioco, ma il tutto naufraga molto presto, anche una volta sbloccate la maggior parte delle meccaniche. Manca un lock-on sugli avversari innanzitutto, il che potrebbe anche essere un difetto marginale, se non fosse che muoversi e colpire i bersagli risulti farraginoso e impreciso. Gli attacchi di Desmond e dei nemici mancano di potenza, non si avverte quasi mai il peso di un colpo o la fisicità di un fendente. La schivata è un breve scatto difficile da controllare a dovere, e i poteri soprannaturali hanno il feeling di effetti speciali di cattiva fattura.

Avremo anche la possibilità di trasformarci in un potente demone per un breve periodo di tempo (in maniera non dissimile dal Devil Trigger di Devil May Cry) ma fra tutte le soluzioni di combattimento questa si rivela la meno riuscita, considerando che possiamo eseguire un solo tipo di attacco in questa forma. Insomma, si combatte tanto in Devil’s Hunt ma non ci si diverte quasi mai: alla fine dei conti è ovviamente questo il difetto più grave della produzione. Il resto dell’esperienza ludica è costellato da un avanzamento molto lineare ma spigoloso e sezioni puzzle che è difficile definire effettivamente tali, in un mondo di gioco che non pone il minimo interesse nella costruzione del level design. Le ambientazioni sono poche e poco ispirate, facendo avvertire un forte senso di ripetitività nelle otto ore necessarie per portare a termine l’esperienza.

Le boss fight mostrano il fianco a tutti i problemi del combat system

Questione di stile

A livello artistico, Layopi Games confeziona un’opera abbastanza insipida, seppur con qualche guizzo interessante ma non particolarmente fresco. Il character design è terribilmente abbozzato e svogliato, impedendo sin dalle prime battute la possibilità di affezionarsi ai comprimari. Il mondo di gioco intorno a noi presenta un immaginario troppo semplicistico e scontato, il colpo d’occhio non è quasi mai appagato se non in un paio di casi, complice anche un massiccio riciclo di assets.

Tecnicamente, il titolo è purtroppo coerente con il resto della produzione. Una mole poligonale non eccezionale, ma comunque sufficiente, si scontra con un comparto texture altalenante, effetti volumetrici e particellari mediocri. Giusto l’illuminazione regala, molto raramente, qualche bella immagine. Purtroppo ho riscontrato un frame-rate tremendo a qualsiasi livello di dettaglio e con una configurazione che scavalca ampiamente i requisiti minimi richiesti (quelli consigliati non sono stati ancora pubblicati). Inoltre è facile imbattersi in qualsiasi tipo di bug e grattacapo tecnico nel corso dell’esperienza: stuttering, tearing e un forte pop-in delle texture, senza dimenticare compenetrazioni dei poligoni, problemi audio e una manciata di altre sbavature più o meno ingerenti.

Lavori in corso

Ci si trova di fronte quindi ad un prodotto che ha il forte sapore di work in progress, problema di cui è conscio anche il team di sviluppo, che in questi giorni sta cercando di rifinire e ripulire le tante imperfezioni che affliggono il suo primogenito. E’ possibile dunque che per il day one questi problemi vengano risolti, durante la mia prova sono state pubblicate già due diverse patch abbastanza corpose in effetti, ma non v’è certezza al riguardo.

Onestamente, considerato che il gioco edito da 1c Entertainment viene venduto a prezzo budget, una volta sistemati i problemi sopra elencati si potrebbe anche chiudere un occhio sulla questione tecnica, ad ogni modo queste imperfezioni sono l’ultimo problema di Devil’s Hunt. Discorso diverso per il polishing della produzione, che fa storcere vistosamente il naso. La costruzione e il design dei menù sembra essere stata letteralmente saltata a piè pari, dando un impatto abbastanza desolante e quasi scolastico. Mi spiace davvero scrivere queste parole ma il lavoro di Layopi Games sembra quasi un progetto in erba di un’accademia di arte digitale più che un titolo finito e pronto per arrivare sul mercato.

Desmond concorre per il premio di protagonista meno carismatico di sempre

Omega

Nonostante tutto, ho preso a cuore il titolo di Layopi Games. Devil’s Hunt è del resto un’opera prima e, come tutte le opere prime, presenta lecitamente una serie di difetti e di ingenuità dovute all’inesperienza e alle difficoltà di realizzare un prodotto così complesso e dalla difficile gestione. In alcuni momenti si evince la passione che lo studio ha messo in questo gioco ma il risultato finale è davvero troppo lontano dalla sufficienza per poter consigliare l’esperienza al pubblico. La speranza è che la software house sfrutti i prossimi mesi a lavorare alacremente sulle versioni console di Devil’s Hunt (previste per il primo quadrimestre 2020) e possa quindi offrirci un’esperienza completa e appagante, perché comunque le basi per un action interessante. Ad oggi, la gargantuesca ambizione di Layopi Games si rivela essere troppo ingombrante e forse un po’ miope, facendogli sì spiccare il volo, ma su ali di cera.

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