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Borderlands 3 – Recensione

Borderlands 3

I cacciatori della cripta sono tornati, e sono più affamati di tesori che mai. Gearbox, dopo ben sette anni dalla pubblicazione di Borderlands 2, riporta in vita la saga con Borderlands 3. Ok, forse dire “sette anni dalla pubblicazione” è un po’ esagerato dato che per anni sono usciti continui DLC del secondo capitolo, con l’ultimo pubblicato proprio il 9 luglio di quest’anno che fungeva da prequel a questo terzo capitolo. In ogni caso, finalmente possiamo tornare su Pandora a cercare cripte, spappolare teste agli Skag e far esplodere più roba possibile. E stavolta esporteremo anche il nostro carico di distruzione in giro per l’universo. Più grande, più esplosivo, più casino.

Passare da Pandora a Promethea lascia a bocca aperta

La storia parte su Pandora, anni dopo gli eventi di Borderlands 2. I Crimson Raider sono in seria difficoltà e il nostro cacciatore della cripta arriva per risolvere la situazione, agli ordini della Sirena Lilith. I gemelli Calypso, Troy e Tyreen, di cui faremo subito la conoscenza, non sono affatto d’accordo con quanto stiamo facendo e fanno di tutto per metterci i bastoni tra le ruote e accaparrarsi per primi le chiavi delle cripte in modo da rubare il misterioso “potere” che vi si cela all’interno. E sì, questa volta si parla di cripte, al plurale. Chi ha giocato Borderlands 2 ricorderà bene il finale, la mappa galattica che appare e il pensiero di tutti è stato solo uno: la speranza che nel titolo successivo sarebbe stata data la possibilità di viaggiare di pianeta in pianeta. Bhe, sì può, ma non esattamente come sperato. Dopo poche ore di gioco viene sbloccata la possibilità di andare via da quel sasso svolazzante di Pandora per raggiungere il primo pianeta, Promethea. È in quel momento che la storia di Borderlands 3 si apre, con una guerra tra le famose aziende produttrici di armi, Atlas e Maliwan, fomentata dagli stessi Calypso e dai loro seguaci chiamati Figli Della Cripta, ed il ritorno di personaggi ben conosciuti come già accaduto nel secondo gioco. Il ritmo della storia, nelle sue circa trenta/trentacinque ore necessarie a completarla, è alquanto costante, con colpi di scena, risate e anche qualche lacrimuccia in certi casi, sia di felicità che di tristezza.

La didascalia sopra dice tutto

Una cosa che personalmente non ho apprezzato molto sono proprio i viaggi tra i pianeti. Sia chiaro, le zone sono estremamente diverse tra di loro e nel tempo di un caricamento potete passare dalle tinte marroni di Pandora alla città ultra futuristica di Promethea fino ai paesaggi stile himalaiani di Athenas, che mi hanno ricordato quelli visti in Pandaria. All’interno del gioco sono presenti quattro diversi mondi, ognuno con i suoi personaggi caratteristici e con ogni dettaglio al posto giusto: le casse cambiano stile a seconda del pianeta in cui si trovano e sono presenti anche alcuni nemici diversi, oltre agli onnipresenti Fanatici e agli Psycho. Il problema è che manca totalmente una sorta di esplorazione spaziale o anche solo la sensazione che effettivamente si stia cambiando pianeta perché, alla fine dei conti, tutto si riduce ad aprire la mappa e scegliere la zona in cui andare, grazie anche alla nuova possibilità di sfruttare il viaggio rapido da qualsiasi punto ci troviamo. Da questo punto di vista hanno sì aggiunto nuove possibilità, ma senza rivoluzionare. È palese comunque che non fosse questo l’obiettivo della software house quanto più migliorare e perfezionare una base già ottima di suo, e in questo hanno centrato in pieno l’obiettivo su più livelli. Non pensate ad un Borderlands 2.5 perché qua c’è molto di più: è decisamente il più grande e pieno mai realizzato (chiaramente) e non vediamo l’ora di vedere cosa riusciranno ad inserire in futuro.

I boss sono fuori di testa

Inoltre, rispetto ai vecchi capitoli, questa volta è stata data una maggior caratterizzazione al protagonista e si è andati oltre alle immancabili catchphrase, con intere linee di dialogo scritte per ogni occasione e che sentiremo recitare durante i dialoghi con i PNG. Un plauso al doppiaggio italiano, veramente ben azzeccato per tutti i personaggi e che ho personalmente amato per FL4K, il beastmaster, con un Riccardo Rovatti (Franky di One Piece e decine e decine di personaggi di videogiochi, anime e cartoni animati) semplicemente perfetto. FL4K è uno dei nuovi cacciatori della cripta, con un set di abilità mai visto prima e dotato di alcuni simpatici animaletti come compagni, a cui può impartire comandi. La progressione del protagonista è rimasta pressoché immutata, con i classici tre alberi delle abilità in cui spendere punti al conseguimento di ogni livello, fino ad un massimo di 50, attuale level cap del gioco che sicuramente (speriamo) sarà aumentato con i futuri DLC. Insieme a FL4K, il gioco permette di scegliere tra Amara la Sirena, la Gunner Moze, la cui abilità speciale vi trasforma letteralmente in D.Va di Overwatch e infine il sicario Zane che mi ha vagamente ricordato il Doppelganger di Pre-Sequel ma che ho approfondito davvero poco. Mi sono buttato subito su FL4K e il piccolo Mister Morso (lo Skag) e ho terminato la storia con loro. Anche se con il terzo capitolo è avvenuto un cambio di scrittore, ho percepito davvero poco il cambiamento e ci si è mantenuti sempre su alti livelli. Devo ammettere che, in un primo momento, sono rimasto un po’ destabilizzato dall’introduzione di alcuni personaggi a me sconosciuti ma amici tra di loro. Ho capito dopo che venivano tutti da Tales From The Borderlands, praticamente l’unico capitolo su cui non ho messo mano non apprezzando il genere a cui appartiene. Insomma, ci sono proprio tutti questa volta, e si alternano tra continue battute piene di autocitazionismo e cultura pop moderna, prime tra tutte quelle relative agli streamer da parte dei gemelli Calypso, il cui peso vacilla però con il passare delle ore di gioco. Se ad un primo impatto possono risultare interessanti, con il procedere della storia sembra avvenire quasi un appiattimento generale dei due cattivi, coadiuvato anche dalla reiterazione di alcuni cliché e dall’innegabile peso che portano sulle spalle. I due gemelli devono infatti confrontarsi con l’enorme eredità lasciata da Jack Il Bello, forse uno dei cattivi più carismatici e meglio caratterizzati della storia dei videogiochi, e non riescono neppure a scalfirne l’epicità.

Signore credo che le sue gambe abbiano qualcosa

Come ogni buon Borderlands che si rispetti (e vi faccio rientrare pure il bistrattato Pre-Sequel), la vera sensazione di progressione è data dalle armi, non tanto dal livello. Anche in Borderlands 3 buona parte del tempo passato nel (lentissimo, su Playstation 4 Pro) menù viene speso a controllare le armi che si sono trovate e a vedere quanto boost danno rispetto a quelle che equipaggiamo in quel momento. Ce ne sono di tutti i tipi, ora anche con doppia modalità di fuoco ed un gunplay generalmente più soddisfacente rispetto al secondo capitolo, ovviamente sempre con uno stampo totalmente arcade. Non sono tutte ad offrire questa doppia possibilità ma progredendo con il gioco se ne trovano sempre di più. Ci sono quelle classiche, che permettono di passare dal fuoco semiautomatico a quello automatico, oppure quelle che cambiano il danno elementale causato fino ad arrivare a quelle più particolari. Una delle armi che ho usato di più, ad esempio, è una pistola che oltre al fuoco normale permette di passare alla modalità “taser” con la quale viene sparato un proiettile che rimane fisso a terra (o sul nemico) e infligge danni costanti a chiunque abbia vicino. Oppure un fucile a pompa che appiccica i proiettili ai nemici e li fa scoppiare in fase di ricarica. O una mitragliatrice che diventa una torretta. Certo, a volte si esagera un po’ con la follia e ci si ritrova in mano armi talmente grandi da oscurare mezzo schermo o con mirini così strani da essere effettivamente difficile usarle, ma resta comunque tutto estremamente divertente e soddisfacente. Insomma, la varietà non manca mai. E dobbiamo impiegare bene le armi nei numerosi scontri contro i boss, molto ben diversificati come non ne vedevo da tempo, spettacolari e soprattutto impegnativi. Levatevi dalla testa che Borderlands 3 si affronti facilmente perché il livello di sfida è piuttosto altino. La struttura del gioco è divisa in missioni principali e secondarie e, nel caso in cui si proceda solo e unicamente con la storyline principale, capita molto spesso di arrivare agli scontri più impegnativi ad un livello non adeguato. Insomma, non è il modo giusto di affrontare il gioco, anche perché le missioni secondarie, com’è tipico della serie, sono molto divertenti e offrono uno spaccato sulla vita degli abitanti dei vari pianeti, spesso calati nelle situazioni più strane e assurde e sempre scritte con originalità.

Numeri. Numeri! NUMERI!

Anche in Borderlands 3 la campagna non fa che da apripista ad un postgame in cui passare altre svariate ore di gioco. Oltre alla classica modalità Vero Cacciatore, che consiste in un New Game + a difficoltà aumentata, Gearbox ha introdotto una piacevolissima novità: i livelli Caos. Impostabili dalla Sanctuary, questi livelli consistono in un aumento della difficoltà generale del gioco. I nemici hanno più vita ma la cosa divertente è l’imposizione di modificatori random che influenzano il gioco. Possiamo avere quindi un aumento dei danni di determinate armi, rallentamento al movimento del personaggio, immunità ai danni normali dei nemici che devono quindi essere affrontati con armi elementali e così via. Per fare un paragone, ad alcuni potrebbe ricordare i livelli Tormento di Diablo 3. E con l’impostazione scelta, sembra naturale pensare ad un progressivo inserimento di nuovi livelli Caos, a difficoltà sempre maggiore. A ciò è ovviamente abbinato un consistente aumento della probabilità di trovare loot di buona qualità, riducendo quindi le chance di continuare a trovare del triste loot bianco o verde. Oltre a poter ripetere la campagna di gioco sono presenti due modalità, chiamate Campagna del Massacro e Terreni di Prova. La prima è uno scontro a orde da affrontare in coop, decisamente lungo e, nelle fasi con più nemici a schermo, quasi ingestibile su console a causa degli enormi rallentamenti. Devo ammettere di non essere riuscito a completarla nemmeno una volta perché… mi stancavo. Devo però riprovarci non appena arrivo a livello 50. I Terreni di Prova sono delle sfide a tempo da affrontare più velocemente possibile e senza morire in modo da ottenere le migliori ricompense possibili. Insomma, Gearbox non vuole proprio lasciarci andare dal mondo di Borderlands 3 e la presenza di pianeti diversi e difficoltà variabili non può che lasciare ben sperare circa i DLC in arrivo. Borderlands 2, d’altronde, ha vissuto una lunghissima vita proprio grazie ai continui contenuti aggiuntivi pubblicati, tutti di buona se non proprio ottima qualità (la partita di D&D con Tiny Tina è indimenticabile). Non preoccupatevi comunque, il postgame non manca affatto. Al momento non vi so dire però se sono presenti o meno boss segreti. Ho cercato un po’ in giro per i mondi ma non ho trovato nulla a riguardo. Credo sia improbabile che non ne sia presente nessuno ma, al momento, non ne posso dare conferma.

Chi è un bravo Skag? Eh? Chi è? Ma che bellino che sei piccolino ciccino cucciolottino

Peccato però che tutto questo sia accompagnato da un reparto tecnico semplicemente scandaloso. Ho giocato Borderlands 3 su Playstation 4 Pro. Su questa console vengono offerte due diverse modalità, quella prestazioni e quella risoluzione. Scegliendo la prima si favorisce (teoricamente) il framerate e la stabilità, ma mai affermazione è stata più lontana dalla realtà. I 60fps sono un miraggio e i cali sono all’ordine del giorno, con le sparatore più movimentate che diventano difficilissime da gestire, animazioni dei nemici che si riducono a pochissimi frame, stuttering e microfreeze pressoché continui. Stendiamo un velo pietoso sulla modalità risoluzione, con un frame rate al di sotto dei 27fps e un enorme ritardo nell’input dei comandi. Semplicemente ingiocabile, fate finta che non esista. Fortunatamente Gearbox è a conoscenza di questi problemi, ma sembra evidente che il titolo sia stato rushato un po’ troppo e la software house ha dovuto sacrificare qualcosa senza preoccuparsene più di tanto, grazie anche alla possibilità di correggere tutto in corso d’opera con patch e aggiornamenti.

E Claptrap salva di nuovo tutti! È lui il vero eroe di tutta la serie!

Con Borderlands 3, Gearbox non ha osato, mantenendo, come già detto, la forma di cui i giocatori si sono innamorati, rifinendola e ampliandola. Il divertimento è costante e va di pari passo con le esplosioni causate dalle folli armi che troviamo e il cui numero gigantesco offre partite sempre diverse. È quasi impossibile trovare due armi uguali in due diverse partite, al di là di quelle fisse per storia. La rigiocabilità è garantita anche da nuove trovate che ho molto apprezzato (i livelli Caos), spero solo che riescano a correggere presto i grossi problemi tecnici presenti. Questo terzo capitolo è il più grande di sempre e ha tutte le carte in regola per diventare il miglior looter shooter possibile.

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