Il trend dei soulslike è andato scemando anno dopo anno ma oggi, alla fine dei conti, il panorama videoludico può contare su svariate perle appartenenti a questo genere. Demon’s Souls e Dark Souls, soprattutto quest’ultima serie, hanno influenzato e dato vita ad un genere fatto di difficoltà, studio dei pattern, ricerca della perfezione in un mondo devastato, interconnesso e con una storia narrata tra le righe, negli oggetti e nei dialoghi. La software house Deck13 Interactive non si è fatta scappare la possibilità di cavalcare l’onda e, nel 2014, ha pubblicato Lords of the Fallen, che tanto si ispirava alla serie di From Software ma che, nel suo piccolo, riusciva ad avere qualche caratteristica peculiare. La ricezione del pubblico e della critica non fu però entusiasta e si decise quindi di cambiare rotta. Soulslike sì, ma non più in un contesto dark-fantasy medievale, bensì in un mondo futuristico e sci-fi. Ed ecco nascere quindi The Surge. Oggi parliamo del secondo capitolo della serie, The Surge 2.
Il titolo è ambientato due mesi dopo il primo gioco, e si propone come un seguito diretto. Warren, protagonista di The Surge, non riesce a impedire il lancio del razzo della CREO e i detriti colpiscono un aereo che cade a Jericho City, che viene immediatamente messa in quarantena. La nostra controparte digitale, muta e senza nome, la cui creazione è affidata ad un editor basilare ma efficace, era a bordo proprio di quell’aereo e, dopo un lungo coma, si risveglia imprigionato, senza sapere né il motivo né dove si trova. Gli unici ricordi di quel momento lo torturano e gli mostrano in continuazione una bambina, della quale possiamo continuare a carpire informazioni tramite alcuni punti precisi sparsi per il mondo di gioco. E la storia si dipana così, alternandosi a brevi cut-scene e file vocali dispersi per le aree da esplorare. Oltre a ciò sono presenti anche una serie di PNG che affidano al protagonista varie missioni secondarie a volte complesse da concludere, a causa anche della totale assenza di una mappa o di indicatori. Dobbiamo capire dove andare semplicemente guardandoci attorno, studiando i segnali e ricordando quello che viene chiesto.
Ma parliamo sempre di un soulslike: gironzolare non è mica così facile. Jericho City e dintorni sono pieni di nemici armati fino ai denti e pronti a farci la pelle. Il sistema di combattimento permette, come nel primo capitolo, di mirare determinate parti del corpo in modo da romperle, a fine combattimento, e rubare l’arma o l’armatura posseduta dal nemico. Questo si riflette anche sull’esistenza di un sistema di parata direzionale, simile a For Honor per capirci. Il parry quindi si ottiene tenendo premuto il tasto della parata e spostando a tempo la levetta analogica destra verso la direzione dell’attacco, indicato a schermo nel caso in cui abbiamo l’impianto adeguato. Per essere precisi, si trovano dei progetti che devono poi essere costruiti nella Med-Bay, un macchinario da cui ricompariamo in caso di morte e che consente di settare il nostro personaggio. Per quanto riguarda l’aumento di livello, esso dipende dai rottami meccanici che troviamo in giro, che possono essere spesi subito oppure depositati, in modo da non essere persi alla nostra morte. Anche in questo caso troviamo una meccanica molto interessante: il nostro loot precedente, come da tradizione per il genere, rimane nel punto della nostra morte ma compare un timer, alla cui scadenza viene vanificata la possibilità di riacquisire i rottami persi. Nel caso in cui arrivassimo vicini al nostro vecchio drop, potremmo comunque decidere di non riprenderlo subito, venendo premiati da un costante recupero della salute se rimaniamo in sua prossimità. Alti rischi, alte ricompense: è questo il motto del gioco, un motto che si può ritrovare anche in un’altra meccanica: più rottami portiamo dietro, maggiore è il moltiplicatore, permettendoci quindi di trovarne una maggior quantità su ogni nemico sconfitto. Sta a noi determinare quanti portarne dietro, quanti conservarne e quanti spenderne nel level up. Andando a segno con i colpi viene caricato l’indicatore delle batterie, utile per ricaricare gli impianti iniettabili che colleghiamo alla nostra tuta tramite un sistema di energia, che deve essere divisa tra equipaggiamenti e impianti e che, anche in questo caso, dobbiamo ben calibrare.
Tutte queste meccaniche danno vita a un sistema estremamente interessante e che spinge a ripetere zone e farmare, non solo per aumentare di livello ma soprattutto per migliorare il proprio equipaggiamento, fattore molto più incisivo nella progressione rispetto al semplice level up, e che consente di affrontare aree e boss con più semplicità. Ma non aspettatevi che diventi una passeggiata, sia chiaro. La curva di difficoltà ha un’ascesa brusca già dopo le prime fasi di gioco, con i primi due boss che sostanzialmente fungono da introduzione alle meccaniche e che permettono anche di acquisire il nostro fido drone, equipaggiabile con varie armi e ammenicoli vari necessari alla progressione del gioco. Non mancano inoltre boss più particolari e dalla forma di certo non umanoide, che richiedono uno studio minuzioso dei pattern e tanta, tantissima pazienza. L’elemento frustrazione è sempre dietro l’angolo e se non siete avvezzi al genere, preparatevi a una lunga serie di batoste dato che si tratta di uno dei soulslike forse più difficile da affrontare. Insomma, l’attenzione riposta al gameplay nudo e crudo è estrema e Deck13 ha inserito una lunga serie di meccaniche peculiari che mi hanno stuzzicato molto e che sono riuscite a dare una leggera ventata di aria nuova al genere.
A differenza del primo capitolo, questa volta possiamo aggirarci in ambienti più estesi, attraverso tutta la città di Jericho. Il level design però appare alquanto raffazzonato e poco curato e l’interconnettibilità dei livelli è limitata. Non si ha una grande mappa da esplorare quanto più delle macro-aree, ben divise da porte e conseguenti caricamenti, per fortuna molto veloci. Le ambientazioni, per quanto tentino di offrire panorami diversi, risultano comunque molto piatte e ben poco ispirate, con una palette cromatica fredda che vi accompagna per tutto il gioco e che non lo fa mai realmente spiccare, così come la colonna sonora, definibile semplicemente anonima e quasi totalmente assente se non per i boss, dove comunque risalta pochissimo. Anche dal punto di vista tecnico siamo su livelli appena accettabili. L’interazione con il mondo circostante è pressoché assente e ogni tanto capita qualche ritardo nel caricamento delle texture. Due difetti in particolare mi hanno infastidito molto: la presenza di un fortissimo tearing in ogni momento e cali di frame rate, anch’essi molto frequenti e che rompono un’azione di gioco che richiede massima concentrazione. Tutti questi elementi anonimi messi insieme portano velocemente alla noia, non viene quasi mai voglia di esplorare realmente ciò che abbiamo intorno quanto più correre il più velocemente possibile alla ricerca della scorciatoia che ci fa arrivare prima al boss.
Ho giocato il titolo su Playstation 4 Pro e sulla console sono disponibili due diverse modalità di gioco, una che favorisce le prestazioni ed è quella appena descritta, e una che favorisce la qualità. Impostando quest’ultima modalità, il frame rate crolla al di sotto dei 30fps, rimanendo stabile e facendo sparire il tearing. Peccato che un gioco così frenetico come The Surge 2 necessiti obbligatoriamente di un frame rate elevato, e impostando la modalità qualità, esso diventa semplicemente ingiocabile. A conti fatti, Deck13 ha realizzato alcuni decisi passi avanti con questo secondo capitolo ma ci sono ancora degli elementi che devono essere corretti, rivisti e migliorati.