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1917 – Recensione

6 Aprile 1917: due soldati inglesi stazionati nel nord della Francia vengono convocati dall’alto comando per eseguire una missione di vitale importanza: impedire l’avanzata suicida di un battaglione alleato verso le linee tedesche. La ricognizione aerea infatti conferma che i crucchi hanno effettuato una ritirata strategica per intrappolare migliaia di soldati inglesi e decimarli a colpi di artiglieria pesante. Con le linee telefoniche tagliate, spetterà ai giovani caporali Blake (Dean-Charles Chapman) e Schoefild (George MacKay) consegnare a mano gli ordini che impediranno una carneficina. Potrebbe sembrare il macguffin di un Call of Duty, ma si tratta dell’incipit del nuovo film di Sam Mendes, l’acclamato regista di American Beauty e degli ultimi due James Bond. Dopo un timido tentativo nel 2005, il discreto Jarhead, Mendes torna a cimentarsi col cinema di guerra, spostandosi dal Golfo Persico alle trincee francesi al culmine della prima guerra mondiale.

Il risultato è 1917, o una delle esperienze cinematografiche più sensazionali degli ultimi anni. Ogni aspetto di questa ricostruzione è curato nei minimi dettagli, ogni scena ha un impatto sullo spettatore, e ogni fotogramma ha qualcosa da raccontare. Lo stile registisco scelto da Mendes ricorda la tecnica di Iñárritu vista in Birdman o Revenant, cioè la simulazione di un piano sequenza continuo per la durata dell’intero film. Mendes si spinge ancora oltre, tanto che la telecamera non si stacca mai dal terreno e non sposta mai il fuoco dai protagonisti, nemmeno nelle scene dove il campo si allunga. La prospettiva sembra quasi il POV di un mockumentary, ma il dinamismo e la perfezione delle inquadrature conferiscono un senso di immedesimazione incredibile alla pellicola; come se ci trovassimo tutti in quelle luride e claustrofobiche trincee, circondati da miseria e morte.

La fotografia di Roger Deakins (premio oscar per Blade Runner 2049) è fredda e desolante al punto giusto, ma riesce anche a trovare spazio per dei momenti di calore e umanità: brevi parentesi intimiste tra gli indicibili orrori della guerra.

Il comparto sonoro è un altro aspetto dove il film eccelle, che si tratti di fucili, biplani, o salve di artiglieria, il rumore della guerra è assordante e onnipresente, non dà tregua né ai soldati né allo spettatore. Tutti gli ufficiali che appaiono sullo schermo sono interpretati da attori inglesi superbi, grandissime performance di Colin Firth, Mark Strong, e Benedict Cumberbatch, giusto per citarne alcune. Non da meno i protagonisti, che riescono a trasmettere il senso di terrore e di pura insignificanza di due soldati lanciati in mezzo all’inferno del fronte. Alcune scene mantengono un livello di tensione tale che sembra di guardare un horror, altre la spezzano con battute tra soldati che si mostrano per quello che sono: dei semplici ragazzi spaventati.

Purtroppo nonostante il tripudio visivo e sonoro il film ha un problema abbastanza vistoso: la sceneggiatura è piuttosto debole e decisamente superflua. Il che si riallaccia a una questione più grande che molti hanno colto: L’America non ha ancora capito la prima guerra mondiale. Questo non sminuisce l’incredibile lavoro svolto per ricostruire gli ambienti, i costumi, e tutto quello che ruota attorno a 1917, ma la necessità di inserire una missione eroica per i protagonisti lascia quasi l’amaro in bocca. Si tratta di un impulso comprensibile, sia perché i film hanno bisogno di una trama sia perché fare davvero i conti con l’insensatezza della guerra di trincea non è facile.

Ma non si può fare a meno di pensare alla potenza delle immagini di “They shall not grow old”, il documentario ristorato di Peter Jackson che mostra scene della quotidianità dei soldati inglesi. Niente eroismi, solo esseri umani che preparano il tè delle cinque in attesa di venire mandati a morire crivellati di colpi. O anche, per assurdo, all’amara ironia di “Blackadder goes forth” sit-com inglese con Rowan Atkinson e Hugh Laurie, rimasta virtualmente sconosciuta fuori dall’UK.

Quello che manca a 1917 è la desolante realizzazione di quanto tutto questo non abbia avuto alcun senso, di come l’intero conflitto fosse un ciclo continuo di gioventù falciata dalle mitragliatrici e spazzata via dall’artiglieria, da entrambi gli schieramenti.

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