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Formula 1: Drive to Survive Stagione 2 – Recensione

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Formula 1:Drive to Survive è una docuserie prodotta da James Gay-Rees e Paul Martin, due grandi nomi, esperti nel realizzare documentari di qualità. La prima stagione è stata pubblicata su Netflix a marzo 2019, e ha dipinto con grazia e con un pizzico di pepe la stagione 2018 di Formula 1, mostrando video di otto team su dieci. Per la seconda stagione, in arrivo il prossimo 28 febbraio, la Ferrari e la Mercedes AMG Petronas F1 hanno deciso di unirsi alla festa, probabilmente incoraggiate dall’ottima realizzazione della serie, garantendo così materiale esclusivo dietro le quinte.

La premessa necessaria è spiegare cosa Formula 1: Drive to Survive non è: non un resoconto della stagione di Formula 1 che gli appassionati sono abituati a vedere. La serie utilizza le vicende della pista per raccontare storie di persone che vivono in un mondo di estremi, tra alti vertiginosi e bassi precipitosi, per farne i personaggi di una serie televisiva, con la differenza che nel caso dei piloti e dei team principali del “circus” quello che va in onda non è finzione. Non c’è un copione, nessuno sa quello che sta per succedere: Formula 1: Drive to Survive dimostra che lo  sport è la forma migliore di reality TV. Il 2019 per i libri di storia è stato segnato dall’ennesima cavalcata trionfale del team Mercedes, dall’ennesimo assalto fallito della Scuderia Ferrari, dalle tante promesse, alcune mantenute e alcune no, di chi cerca un posto tra i primi della classe. Ma guardando Formula 1:Drive to Survive, non saprete quante gare ha vinto Hamilton o quante pole position ha fatto Leclerc. I risultati vengono presentati nella misura in cui sono utili a spiegare ed interpretare gli stati d’animo e le reazioni di chi sta in macchina o al muretto dei box.

Questa forma di narrazione permette alla serie di sganciarsi dalla dinamica che porta le dirette televisive a trasformarsi in modo quasi sistematico in un Mercedes e Ferrari Show, con incursioni occasionali del fenomeno Verstappen. Queste scuderie di pregio stavolta fanno parte del cast, ma non hanno più battute degli altri attori, in parte per necessità, perché la disponibilità data dai due top team a Netflix è stata limitata, appena un paio di Gran Premi (tra l’altro disastrosi per entrambi), ma anche per scelta. Il titolo della serie si applica infatti in modo letterale alla vita di chi corre nel “midfield”, quella zona di centro classifica in cui se ti fai notare puoi essere promosso su un sedile importante, ma basta un inciampo di troppo per trovarti fuori dalla porta con le valige in mano. E’ il caso dei destini incrociati di Gasly e Albon, o di Hulkenberg e Ocon, dove l’occasione della vita di uno coincide con una secca battuta d’arresto per la carriera dell’altro. La docuserie di Netflix entra dentro queste ed altre storie e ce le fa vedere da un punto di vista del tutto inedito, fatto di dietro le quinte che si spingono fino a luoghi normalmente proibiti anche alle telecamere delle pay tv che coprono i weekend di gara. In Formula 1: Drive to Survive siamo nella stanza di albergo di Daniel Ricciardo la sera prima della gara di Baku, o a pranzo con la famiglia Sainz in un giorno di relax a Maiorca, e perfino tra le mura della factory della Williams quando Claire Williams apprende con disgusto che la sua squadra potrebbe dover saltare i primi giorni dei test. Far parlare i protagonisti lontano dagli autodromi, dove la guardia è più bassa che dentro i recinti del paddock, ci porta in un mondo più confidenziale, lontano mille miglia da conferenze stampa tutte uguali e dichiarazioni rituali.

Ma Formula 1: Drive to Survive racconta anche la concitazione della pista, e ci fa vedere senza filtri e in modo quasi spietato quanto un weekend andato storto possa trasformarsi in una resa dei conti interna al team di turno, con toni di un’asprezza che raramente trapela al di fuori della cerchia degli addetti ai lavori. È il caso della puntata che si incentra sul Team Haas, alle prese con una stagione difficile, a tratti disastrosa, in cui le tensioni si accumulano fino ad esplodere quando i due piloti si toccano in pista a Silverstone eliminandosi a vicenda e spingendo il team principal Günther Steiner a minacciare il licenziamento in tronco per entrambi in una riunione a porte chiuse in cui i microfoni di Netflix sono sorprendentemente accesi. Qualche licenza di narrazione può far storcere il naso: il sorpasso di Verstappen su Vettel nel Gran Premio di Australia, presentato come una manovra delle ultime curve, è in realtà avvenuto a quasi 30 giri dalla fine, ma quella di Formula 1: Drive to Survive non è cronaca, è intrattenimento, e la cosa deve sorprendere fino ad un certo punto.

Non c’è una voce narrante e non ce n’è bisogno, questa seria è la Formula 1 che racconta se stessa e in tutto questo classifiche e statistiche passano in secondo piano. Uno spettatore occasionale apprende solo negli ultimi minuti dell’ultima puntata chi ha vinto il campionato e nessuno gli dice chi è arrivato secondo. Potrebbe sembrare una lacuna, ma questa serie non ha l’obiettivo di essere un riepilogo di cose che gli appassionati hanno già visto.  E’ piuttosto un tentativo di avvicinare un pubblico nuovo che viene dalla rete, con contenuti accessibili anche a chi è del tutto digiuno di Formula 1, incuriosendolo abbastanza da portarlo a sintonizzarsi in diretta quando si spengono le luci rosse, non solo e non tanto per sapere se a vincere sarà una Mercedes o una Ferrari, ma se la Williams o la Haas ce la faranno a sopravvivere, se Sainz riuscirà a salire di nuovo su un podio, o se Hulkenberg troverà un’altra macchina.

Formula 1: Drive to Survive di Netflix offre un modo diverso per vedere la Formula 1 a chi la segue da una vita e prova a dare motivi a chi non l’ha mai fatto per farlo per la prima volta.

 

Si ringrazia per la collaborazione alla stesura del pezzo Massimo Burbi, ingegnere meccanico, nonché il più grande appassionato di Formula 1 che io conosca.

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