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Bloodroots – Recensione

Bloodroots-PDV

Una giornata di lavoro pesante è appena trascorsa, magari durante la quale c’è stato il rischio di litigare pesantemente con qualcuno, ma le rigide regole civili impongono di rimanere sobri e pacati, per evitare guai. Eppure in qualche modo bisogna pur sfogarsi, magari divertendosi pure: qui entra in gioco Bloodroots, titolo di Paper Cult Games, che arriva anche su Nintendo Switch, dove con la sua portabilità dà il meglio di sé.

Sembra tutto così tranquillo e poetico…

Cosa bisogna fare in questo gioco? Picchiare, menare, trucidare i nostri nemici come se non ci fosse un domani. E un domani per il nostro protagonista, Mr. Wolf, potrebbe davvero non esserci, quindi meglio approfittarne e non lasciare che nemmeno un minimo di pietà scorra in noi.

D’altronde l’incipit della storia lascia poco spazio alla bontà: membro della banda di assassini Beast Boys, il nostro protagonista viene un giorno tradito e lasciato in fin di vita da Mr. Black Wolf (beh, ha “Black” nel nome, è per forza un cattivone); per sua sfortuna Mr. Wolf sopravvive e giura vendetta, soprattutto poiché non si spiega il motivo di questo tradimento. La storia di sicuro non è fondamentale in questo titolo ma, per quanto non sia memorabile, attraverso dialoghi ben scritti (ideati da colui che ha curato Guacamelee 2 e Celeste), personaggi ottimamente caratterizzati e una certa profondità, la trama intrattiene fino alla fine. Purtroppo il gioco è solo in lingua inglese, non di difficile comprensione, ma visti alcuni (spassosissimi) giochi di parole chi non è proprio avvezzo a questa lingua si perderà tutto ciò.

Ok non proprio ciò che ci aspetta entrando in un villaggio.

Per fortuna, come già detto, il cuore di Bloodroots è il gameplay e su quello non c’è lingua che possa frenare il divertimento: Mr. Wolf si sveglia ogni giorno nel suo accampamento e deve farsi strada in diversi livelli formati da scenari più o meno ampi, disseminati e protetti dai nemici, che come avrete ben intuito dobbiamo eliminare senza alcuna pietà.

Attraverso la visuale a volo d’uccello, con qualche cambio di inquadratura che rende il tutto più cinematografico, possiamo assistere a degli scenari con tantissimi elementi a schermo: case, balle di fieno, tronchi, armi da taglio, da fuoco, teschi e chi più ne ha più ne metta. Perché mai li ho citati? Perché in Bloodroots tutto ciò che vediamo a schermo è una possibile arma da usare contro i malcapitati e anzi, loro stessi una volta uccisi possono essere raccolti e usati come arma (sì, è abbastanza macabro).

Il gioco si dimostra fin dall’inizio dalle tinte mature, con splatter ovunque e scene in cui le Fatality di Mortal Kombat si differenziano solo per lo stile grafico, eppure il gioco non si prende mai troppo sul serio, altrimenti mica avremmo potuto uccidere i nemici anche con paperelle di gomma, pesci giganti, fuochi d’artificio e qualsiasi cosa ridicola vi venga in mente. Questo fondere perfettamente violenza e ironia è ciò che mi ha spinto ad andare sempre avanti, nonostante alla fin fine il gameplay sia anche piuttosto ripetitivo: quel che bisogna fare infatti è sempre e solo uccidere un determinato numero di nemici prima di poter accedere al quadro successivo, eppure la varietà di armi, nemici e situazioni che vanno a crearsi danno sempre quel tocco in più che non annoia mai. Inoltre, seppur siano presenti davvero in minima parte, abbiamo anche delle sessioni di platform che spezzano, riuscendoci benissimo, i momenti di nuda e cruda violenza.

Uccidere, ma con stile.

Il nostro Mr. Wolf è un semplice essere umano (certo, un suo pugno distrugge un cranio, ma son dettagli), quindi non aspettatevi tripli salti o poteri magici: le abilità, se così vogliamo chiamarle, dipendono tutte dal tipo di arma che riusciamo a raccogliere, rendendo il gameplay vario e imprevedibile. C’è ad esempio una roccia che non riusciamo a raggiungere perché troppo alta? Sicuramente nei paraggi ci sarà un fuoco d’artificio da sfruttare come razzo propulsore, o magari un remo da usare come fosse un’asta di salto in alto.

La libertà che lascia Bloodroots è sicuramente l’aspetto migliore del gioco, con pochissime sessioni in cui mi son sentito “legato” a far qualcosa che gli sviluppatori avevano pensato in un certo modo. Nella maggior parte dei casi la libertà è quasi totale, con la possibilità di decidere non solo come uccidere i nemici, ma anche quale percorso prendere per colpire alle spalle un gruppo di briganti che più volte, affrontandoli di faccia, ci hanno dato il benservito. Perché sì, nel gioco si muore tante, tantissime volte, a volte troppe. Scordatevi salute o difese che ci fanno sopravvivere a più danni: Mr. Wolf muore al primo colpo ricevuto, così come i nemici, e il perdere porta a ripetere la sessione di quel livello.

Qualche sezione platform che spezza il ritmo (e fa morire decine di volte).

La velocità con il quale tutto avviene, unita al gameplay rapido e frenetico, rendono però meno frustrante il morire anche qualche decina di volte sullo stesso punto. La maggior parte di queste sono dovute ad errori da parte del giocatore, vuoi perché la foga di uccidere tutti in fretta porta inevitabilmente alla morte, vuoi perché forse invece di usare una balla di fieno sarebbe stato meglio usare una pistola spara laser, ma ci sono momenti in cui i controlli non precisissimi portano a cadere nei burroni o a schiantarsi contro nemici che non perdono un attimo a farci fuori. Come già detto, però, nonostante abbia perso davvero tantissime volte, non sono mai arrivato a provare frustrazione: possiamo dire che ci troviamo di fronte ad un trial and error, perché no, ma questo provare e riprovare mi ha portato nelle sessioni più difficili a ragionare di più, trovando il modo migliore per liberare la zona dai banditi.

Questo migliorarsi è premiato anche dallo stesso gioco che, alla fine di ogni livello, dà una valutazione con le tipiche lettere alla quale ci siamo abituati in tanti action game, con tanto di classifica online.

Il villaggio di carote e pesci… sappiamo cosa useremo come armi.

Dal punto di vista tecnico, Bloodroots mi ha davvero rapito: sarà che ho un debole per questo particolare stile grafico, ma quella determinata palette di colori unita al cel shading è davvero una gioia per gli occhi. A questa è da unire una colonna sonora azzeccata, con motivi western che tengono compagnia nei momenti più “seri”, fino a quelli più frenetici e anche più divertenti. La fluidità è anch’essa ottima: sono davvero pochissimi i momenti in cui ho visto qualche rallentamento, ma avrei preferito dei tempi di caricamento leggermente più brevi.

Bloodroots è un titolo che incarna in pieno il genere arcade: bisogna uccidere, distruggere e sfruttare l’ambiente circostante come meglio crediamo, l’importante è sopravvivere. Eppure sotto un involucro così grottesco, si nasconde un indie davvero ben studiato, che richiede anche un minimo di pazienza e tattica nei momenti più difficili, così come per i divertenti e impegnativi scontri con i boss.

Quello fatto da Paper Cult Games è un lavoro eccellente, che pecca leggermente in precisione quando si combatte contro un gran numero di nemici e che può portare più volte a morti indesiderate, ma tra il divertimento e la frenesia, tra un comparto grafico ottimo e una storia ben scritta, Bloodroots è sicuramente un titolo da giocare, soprattutto in portatile su Nintendo Switch.

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