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Two Point Hospital – Recensione

Per parlare approfonditamente di Two Point Hospital, bisogna prima fare un salto indietro nel tempo per scoprirne le origini.

E’ il 1997 e la Bullfrog Production di Peter Molyneux è una software house di successo nel campo degli strategici e dei gestionali: titoli come Theme Park o la serie Populous sono annoverati tra le pietre miliari del genere e il loro successo è talmente vasto che EA decide di acquisire lo studio a metà degli anni ’90. E’ in questa cornice che nasce Theme Hospital.

Dal parco giochi si passa alla gestione di un ospedale, con un gameplay intuitivo ma profondo, una buona varietà di situazioni e uno stile iconico. E’ un successo: Theme Hospital è un capolavoro e verrà ricordato negli anni come il miglior medical sim di sempre, anche grazie alla pungente ironia che ne caratterizza i toni. Negli anni seguenti, Bullfrog andrà incontro alla chiusura (destino condiviso da molti studi finiti nelle mani di EA) e, dalle sue ceneri, nasceranno quei Lionhead Studios responsabili della saga di Fable fino alla loro dissoluzione, nel 2016.

Ed è a questo punto che Mark Webley e Gary Carr, presenti durante tutto il ciclo vitale delle due software house, decidono che è arrivato il momento di realizzare un sogno rimasto chiuso nel cassetto per quasi vent’anni: dare finalmente un seguito a Theme Hospital. È con questi presupposti che nasce Two Point Studios che, dopo i tanti tentativi falliti negli anni precedenti (uno di questi, ER Tycoon, non troverà mai un publisher), chiudendo un accordo di pubblicazione con SEGA, riesce a dar vita a Two Point Hospital.

“Tosse e starnuti…che Dio ci aiuti!”

Two Point Hospital segue fortemente l’impronta del suo predecessore spirituale, calandoci nei panni di un manager ospedaliero con il compito di costruire e far prosperare la sua struttura sanitaria, fino a diventare leader del settore nella Contea di Two Point. Il gioco mette a disposizione una larga varietà di scenari differenti da affrontare che, a loro volta, introducono progressivamente una vasta gamma di diagnosi e terapie da effettuare sui pazienti. Si parte dai primissimi, facilmente gestibili con poche strutture di base come l’ambulatorio e la farmacia, per arrivare poi a sfide molto più ardue nel reparto chirurgia di un ospedale universitario, dove l’eccellenza è composta dai medici che noi stessi abbiamo formato e specializzato.

E’ proprio sulla profondità del gameplay che il gioco pone l’accento visto che, pur non discostandosi da Theme Hospital, questa viene espansa e approfondita: dopo l’accettazione e una prima visita dal medico generico, la fase di diagnosi del paziente viaggia per un vasto numero di reparti che vanno dalla cardiologia alla cosidetta “Analisi dei fluidi”, passando per una serie di fantasiosi rami della radiologia, fino a concludersi con la terapia finale, da svolgere nella sala appropriata tramite lo spassoso macchinario apposito. Il gioco ne propone un buon numero, dal grosso magnete necessario per curare il Cuoio Padelluto alla vistosa tenda da circo per il trattamento della Clownite, ma i pazienti possono farvi visita solo dopo aver raggiunto una soddisfacente percentuale di sicurezza diagnostica, influenzata dalla potenzialità della nostra attrezzatura e dalle competenze dei nostri specialisti. La struttura del personale infatti, pur partendo dai quattro ruoli canonici (Medico, Infermiere, Assistente e Inserviente), si espande in una vasta rete di possibili specializzazioni e competenze da esso acquisibili che, in sede di terapia, andranno a fare la differenza tra la guarigione del paziente e la sua morte, con conseguente trasformazione in un fantasma tormentato a cui piace infestare i nostri corridoi. Ancor più che nel suo predecessore, l’attenzione al dettaglio sarà fondamentale su Two Point Hospital: la trafila che porta alla guarigione del paziente è più curata e dipendente dall’effettiva competenza che possiamo fornire all’interno del nostro ospedale, a sua volta influenzata da quanto abbiamo investito nella formazione dei nostri medici e nella ricerca di macchinari in grado di curare al meglio una determinata patologia. Questa cura è estesa anche alla gestione del lato economico e comunicativo della struttura, dal momento che siamo chiamati a ponderare anche la disposizione dell’ arredamento e dei servizi presenti in reparti e corridoi, in modo da rispondere ad ogni esigenza fisiologica dei visitatori e aumentando allo stesso tempo la nostra reputazione. Un fattore che, coadiuvato dagli strumenti di marketing messi a nostra disposizione, non possiamo permetterci di trascurare se non vogliamo che l’affluenza verso il nostro ospedale cali drammaticamente.

“Si pregano i matti di stare più tranquilli che possono”

Two Point Hospital è in tutto e per tutto un ammirevole tentativo di dare un erede all’amato Theme Hospital. Un tentativo, nel complesso, molto ben riuscito. Il titolo di Two Point infatti, riesce a ripercorrerne tutti gli elementi di successo, regalando ai giocatori un’esperienza simulativa più appagante senza stravolgerne il concept o snaturandone lo stile. Nonostanze il sostanziale ridimensionamento degli annunci della receptionist, che resero memorabile la versione italiana del titolo di Bullfrog (in questo caso la localizzazione è solo testuale), l’atmosfera di gioco risulta sufficientemente fedele a quella del suo antenato, pur mantenendosi su toni leggermente più soft e attenuando quegli elementi di velata critica al sistema sanitario statunitense presenti in Theme Hospital. La fantasiosa follia delle malattie da affrontare è ben riproposta, così come la rappresentazione dei sintomi e dei relativi metodi di cura, e le simpatiche schede del personale fanno il loro ritorno in versione più curata e approfondita. A farci compagnia quindi, tra un sosia di Freddy Mercury colpito da Rapsodite e una gattara afflitta da Magnetite Animale, non ci sarà la tanto amata assistente, bensì il DJ della radio della Contea a cui sono affidati alcuni intermezzi di comicità irriverente, utili ad alleggerire il tono del gioco. Una modernizzazione valida e nel complesso funzionante, ma che non arriva a raggiungere le stesse vette di memorabilità.

“Silenzio prego, la gente sta male!”

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