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Bleeding Edge – Recensione

Quest’ultimo decennio si è rivelato davvero sorprendente per l’industria videoludica, un doppio lustro infarcito di titoli di spessore, nuovi esperimenti ed esperienze che hanno stravolto – nel bene o nel male – il panorama mondiale dei videogiochi. La scena competitiva, che da sempre viene declinata anche nell’ambito gaming, ha vissuto una vera  e propria rinascita grazie alle piattaforme streaming come Twitch o Mixer, portando gli e-sport a un livello di popolarità sempre più sorprendente. Naturale quindi che gli studi di sviluppo si siano tuffati a capofitto nella produzione di titoli incentrati sul multiplayer, possibilmente competitivo, per guadagnarsi almeno una fetta di questa golosa ed eccezionalmente remunerativa torta. Bleeding Edge cerca di accaparrarsi le luci della ribalta presentandosi, non troppo velatamente, come “gemello diverso” di Overwatch, l’hero shooter di Blizzard che ha saputo catalizzare l’attenzione del mondo intero, seppur viaggiando attualmente sui binari discendenti della sua parabola del successo.  Il concept del gioco di Ninja Theory non verte però su di una componente shooting negli scontri ma cerca di proporre esaltanti combattimenti corpo a corpo, cercando di strizzare l’occhio al genere picchiaduro, in quello che si potrebbe definire un “Hero Brawler”, spalleggiato dalla presenza di Rahni Tucker come lead combat designer, la stessa persona insomma che ha creato il tanto discusso Devil May Cry “apocrifo”, giustamente rivalutato con il tempo, che godeva di un gameplay inaspettatamente solido e divertente.

Il folle universo creato dallo studio di Heavenly Sword e Hellblade ci propone un manipolo di istrionici personaggi  molto diversi fra loro, i quali non hanno nulla a che spartire se non l’assuefazione agli innesti cibernetici e la voglia di sfruttarli per arrecar danno al prossimo. Ecco dunque che si spalancano le porte di sanguinosi campi di battaglia underground pronti a ospitare – illegalmente – il distorto gioco di questi assurdi individui: benvenuti nella Bleeding Edge.

Frenetico, ma non così frenetico

Bleeding Edge si basa su sconti 4v4 in ampie arene in cui esibire le variopinte abilità dei nostri avatar, i quali si dividono in tre categorie: Attacco, Supporto e Tank. È necessario bilanciare al meglio la propria squadra per poter essere pronti a ogni evenienza ed è interessante vedere come il combat system melee abbia saputo declinarsi per ogni lottatore. Di base lo schema di comandi è molto semplice e ideato per essere ottimale con il joypad, opzione che viene caldamente consigliata anche dal gioco stesso. Premendo ripetutamente il tasto X possiamo esibirci in un autocombo, il tasto A è adibito al salto mentre Y e B a due delle tre abilità speciali del nostro alter-ego, il trittico viene poi chiuso dal dorsale destro RB. Il grilletto destro ci permette di schivare – al costo di stamina – e quello sinistro ci garantirà il “lock” sui bersagli, grazie al dorsale sinistro invece possiamo scatenare la nostra Ultimate, in grado di cambiare drasticamente le sorti di uno scontro. Muoversi nelle vaste mappe di gioco è semplice, potendo anche contare su un hoverboard richiamabile a piacimento in qualsiasi istante, in grado di velocizzare gli spostamenti fra i vari punti di interesse, ed è qui che salta all’occhio un problema strutturale di Bleeding Edge: la lentezza. Saltare su un futuristico “volo-pattino” dovrebbe dare una certa sensazione di velocità, ma così non è,  soprattutto considerate le dimensioni delle mappe di gioco, davvero enormi se rapportate alla flemma con cui i personaggi si muovono. Intendiamoci, gli scontri funzionano bene riuscendo a essere concitati ma molto raramente caotici, ed è necessario utilizzare al meglio non solo il nostro personaggio ma anche le tattiche di gruppo per arrivare vincenti al termine del match. Di conseguenza, il combat system funziona e la mappatura dei comandi si rivela pressoché eccellente, con delle buone soluzioni di game design che rendono tutto efficace e fruibile in maniera intuitiva, assicurando anche una certa soddisfazione una volta che si entra in confidenza con il personaggio utilizzato.

Roster

Analizzando nel dettaglio i vari personaggi che compongono il mosaico dell’esclusiva Microsoft, si possono ulteriormente ammirare luci e ombre di un titolo dall’alto potenziale ma evidentemente ancora acerbo. Innanzitutto, constatare che al lancio del titolo siano presenti solo 11 personaggi è un po’ un colpo al cuore, anche a fronte della buona caratterizzazione degli stessi. Inoltre, è necessario notare come attualmente il bilanciamento del roster non sia ottimale, forzando il pick di alcuni lottatori, senza il quale lo scontro sarebbe perso in partenza o comunque molto squilibrato. Zero Cool – a onor del vero un po’ troppo simile a Lucio di Overwatch – è uno di questi, essendo l’unico fra i tre support a poter garantire un flusso di cura costante e delle buone meccaniche difensive e di evasione.  Le altre due categorie funzionano un po’ meglio e lasciano più scelta al gruppo, sebbene vada tenuto in considerazione che si può disporre di soli quattro membri. La configurazione migliore per una squadra sembra essere un 2-1-1 ripartito in doppio tank (solitamente Buttercup e El Bastardo), un healer e un DPS, fra i quali spiccano Daemon e Maeve, entrambi personaggi molto flessibili e in grado di  utilizzare la propria ultimate per eliminare istantaneamente un avversario dalla battaglia in corso. Chiaramente, si tratta di una timida analisi nata dalle partite svolte in questi giorni dedicati alla recensione ed è ancora presto per esibirsi in vere disamine di meta-game e tier list, e tutto può cambiare nel tempo, magari anche a fronte di patch votate al bilanciamento dell’esperienza.

Ready Player One

La nota più stonata dell’esperienza di Bleeding Edge risiede nella povertà dei contenuti offerti al lancio del titolo. La penuria di “eroi” utilizzabili si scontra con la presenza di due sole modalità di gioco, le quali inoltre non sono divise in nessuna maniera fra ranked e casual match ma lasciate alla mercé di un’unica opzione di gioco presente nel menù principale che ci scaraventa direttamente nel matchmaking. Di contro, questa scelta un po’ bizzarra offre, forse involontariamente, ai giocatori la possibilità di trovare quasi istantaneamente una partita in cui tuffarsi, pregio coadiuvato ovviamente dal cross play tra PC e Xbox One e dalla presenza di Bleeding Edge sul game pass. Le due modalità incarnano un classico scontro basato sul controllo di diversi punti della mappa (un re della collina in cui la collina si sposta soventemente, per intenderci) e una di  raccolta, leggermente più articolata. In questa seconda modalità il gioco si divide in due fasi, nella prima si è chiamati a distruggere delle celle energetiche e raccoglierne poi i globi contenuti all’interno – con il rischio che una volta mandati KO dai nemici, questi ultimi possano sottrarceli – mentre nella seconda bisogna consegnare il bottino in punti specifici per acquisire punti necessari a vincere la partita. Sebbene le mappe cerchino di caratterizzarsi in maniera molto differente e frapporre fra noi e la vittoria anche dei pericoli ambientali – che all’occorrenza possono essere sfruttati per uccidere gli avversari – il feeling difficilmente cambia fra le diverse arene di gioco e quasi mai si adotterà una diversa strategia in base al terreno di gioco.

Corpo Modulare

Una piccola menzione al sistema di personalizzazione è d’obbligo, sebbene sia difficile a oggi definire l’importanza che quest’ultima avrà nel bilanciamento complessivo dell’esperienza. A differenza del titolo Blizzard  (o di Paladins), Bleeding Edge non si concentra semplicemente sul “customizzazione” estetica dei guerrieri ma ci permette, partita dopo partita, di accumulare esperienza per noi e per i personaggi che sfruttiamo in gioco, guadagnando moduli che possono aumentare le caratteristiche del nostro avatar o migliorarne le abilità, in maniera passiva. Si possono equipaggiare fino a tre differenti moduli e combinarli come più si ritiene opportuno, potendo creare differenti set da selezionare prima di ogni match. L’idea è intrigante e potrebbe rivelarsi un’interessante punto a favore dell’esperienza, ma anche un’arma a doppio taglio qualora alcuni di questi moduli si rivelasse indispensabile per un determinato combattente.

Para Bellum

Il vivace ed estroso mondo di Bleeding Edge presenta personaggi ben caratterizzati, sia nel design sia nei loro modelli, grazie anche a un filtro estetico che rimanda al cell shading, curati e con un buon numero di dettagli. Lo stesso non si può dire per le mappe, che pur essendo tecnicamente ben realizzante mancano del mordente che contraddistingue gli eccentrici sfidanti protagonisti del titolo. Molto buone le animazioni, funzionali ma non affossate da fronzoli e orpelli inutili, ma lo stesso non si può dire della dinamica delle collisioni. I colpi inferti spesso mancano di potenza e impatto, soprattutto quelli più “corpulenti”, e lasciano un po’ l’amaro in bocca una volta eseguiti. Buoni invece gli effetti “speciali” e i particellari delle varie mosse speciali dei personaggi. Ottima la colonna sonora, tagliente e accattivante con le sue sonorità elettroniche distorte, che sottolineano appieno il carattere dell’opera. L’esperienza si dimostra abbastanza solida in termini di frame rate, che ha tentennato solo in un paio di occasioni – e solo su una mappa, stranamente – ma che altrimenti rimane saldamente avvinghiato ai 60 fps al secondo. Il colpo d’occhio è appagante e gradevole, pur non facendo gridare al miracolo.

Regna l’anarchia

In definitiva, Bleeding Edge è un prodotto riuscito a metà. Di per sé il gioco funziona, diverte e intrattiene ma si presenta in una forma dal ritmo troppo compassato e decisamente scarna di contenuti, insomma: è probabile che l’effetto “novità” si esaurisca in fretta e che l’appeal del titolo svanisca altrettanto repentinamente . È ancora presto per tirare definitivamente le somme, tutti i titoli incentrati sull’online del resto hanno bisogno di un po’ di tempo per “decantare” e mostrare tutti i loro assi nella manica, ma oggi la sensazione è che il titolo di Ninja Theory sia ancora in fase di beta. Se la domanda è semplicemente: “Bleeding Edge è un buon gioco?” La risposta è sicuramente “Sì”, perché si tratta di un’opera curata e ben diretta, al contempo è difficile consigliare l’acquisto a chiunque sia sprovvisto di Game Pass e in grado dunque di dare una chance alla nuova esclusiva Microsoft, la quale devo comunque ringraziare per averci concesso il codice con cui è stato possibile scrivere questo articolo. La verità è che spero sinceramente che Bleeding Edge possa spiccare il volo ed esibire tutto il suo potenziale. Ninja Theory ha creato un titolo denso di carisma e con delle buone fondamenta, ma il grosso del lavoro viene ora, nel tenere in vita la propria creatura continuando a infarcirla di contenuti, personaggi, mappe, modalità e tutto ciò che può rendere splendente quello che oggi è ancora un diamante allo stato grezzo.

Si ringraziano gli utenti Hadriel e Vivaldi per il supporto fornito online come compagni di squadra, indispensabile per la stesura di questo articolo.
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