Sei in coda ormai da diversi minuti, con una bibita sul tavolino di fronte a te e la pazienza che inizia lentamente a svanire. Finalmente, il gioco annuncia che è stata trovata una lobby e tu riprendi velocemente il controller in mano, pregustando l’imminente e succosa battuta di caccia. I giocatori scendono in campo e l’urlo dello Yautja scuote la giungla. Prendendo il controllo di uno dei più iconici killer alieni della storia del cinema, balzi di albero in albero e sfrutti la termovisione per cercare le tue prede. E finalmente trovi loro: quattro ignari soldati, occupati ad esplorare una base nemica. Prepari le lame e ti getti sui malcapitati, ma qualcosa va storto. Loro sembrano immortali, e nel frattempo la tua barra vita si svuota così come la tua voglia di vivere. Fuggi, medichi le tue ferite, torni alla carica e vieni crivellato peggio di prima. Il round termina con una sonora sconfitta, e ti rassegni all’idea di dover passare il prossimo quarto d’ora a cercare nuove prede. Benvenuti in Predator: Hunting Grounds, il nuovo multiplayer asimmetrico di IllFonic per PlayStation 4 e PC. Presentato l’anno scorso come una promettente gara di sopravvivenza videoludica basata sul leggendario franchise iniziato nel 1987, il titolo è purtroppo caduto vittima di una serie di evidenti difetti che di certo non passano inosservati. E ora, proprio come il killer studia la sua prossima vittima, il giornalista si accinge ad analizzare questo gioco per valutare se è degno di una lunga caccia – o se forse sarebbe meglio puntare ad altri trofei.
Non tutto è perduto
Partiamo da una premessa molto importante: nonostante le numerose critiche e il parco tecnico carente, Predator: Hunting Grounds ha tutte le basi per diventare un ottimo e soprattutto divertente multigiocatore. Fin dal lancio, IllFonic sta lavorando per risolvere parecchi dei problemi presenti e non è da escludere che in futuro questo titolo possa risplendere di più. Tuttavia, allo stato attuale, ci sono poche ragioni che potrebbero giustificare la sua struttura sbilanciata e difettosa. Arrivando dagli stessi sviluppatori di Friday the 13th: The Game (purtroppo un mezzo fallimento) e con una proprietà intellettuale forte come questa, c’era da aspettarsi un’opera quantomeno solida e all’altezza delle aspettative del pubblico. Inutile dirvi che così, almeno per adesso, non è: ma vediamo il perché.
Legno, e non quello della foresta
Alla base, il gameplay ricorda il già citato Friday the 13th e anche il più noto e longevo Dead By Daylight (in cui ammettiamolo, un Predator non sfigurerebbe affatto). Quattro giocatori assumono il ruolo di aspiranti sopravvissuti che devono portare a termine una serie di obiettivi per poter fuggire vivi dall’arena, mentre il quinto comanda il killer e ha il compito di uccidere tutti gli altri. Hunting Grounds cerca però di elevare questa formula introducendo un intero parco FPS con cui gli umani possono divertirsi in attesa di affrontare la vera minaccia. Diamo a Cesare quel che è di Cesare, l’idea è assolutamente intrigante ed è nettamente meglio che poter unicamente scappare dall’onnipotente mostro, ma soprattutto dona al gruppo la possibilità di difendersi attivamente dal pericolo. Con una struttura solida alle spalle, questa opportunità renderebbe appetibili entrambi i fronti di questa sanguinolenta caccia, eppur manca questo primo e fondamentale elemento.
Ciascuna missione, scelta a votazione dai membri del Fireteam, consiste solitamente nel correre da un obiettivo all’altro e ripulire le basi nemiche da orde di NPC, il tutto mentre uno Yautja pattuglia l’arena da un punto all’altro alla ricerca delle sue prede. Ciascun soldato possiede un intero arsenale personalizzabile di armi e accessori, un radar con cui tener traccia di alleati e nemici (tranne ovviamente l’alieno) e infine vari indicatori che evidenziano la missione e i luoghi in cui dirigersi per avanzare nella stessa. C’è una buona varietà di compiti diversi, che talvolta si traducono in segmenti di gioco piuttosto intriganti come seguire dei tubi nella foresta per trovarne l’origine oppure esplorare un intero accampamento alla ricerca di documenti da bruciare. Purtroppo, questi vengono offuscati da task molto meno coinvolgenti, come attendere la fine di un timer stando chiusi in una stanza oppure eliminare bersagli che fanno poco o nulla per preservare la propria esistenza. Tutto questo è corroborato da un comparto tecnico ben sotto la media, che presenta grafiche vecchie di parecchi anni, una legnosità ingiustificabile sulle piattaforme attuali e un livello di difficoltà a prova di imbecille (se si è un minimo affiatati con il genere degli FPS). Va a finire che l’esperienza altresì accattivante del temerario soldato inizia ad assomigliare a quel traumatico periodo in cui provavate ad avviare un gioco moderno sul computer di vostro nonno. Eppure, nonostante tutto, la vita da sopravvissuto in Predator: Hunting Grounds è decisamente più rosea che quella da assassino.
Da preda a Predator è question di poco
Eccoci infatti a parlare del protagonista assoluto dell’opera, il temibile killer alieno che tutti vorrebbero giocare (ma dico, letteralmente tutti, basta vedere i tempi di attesa delle lobby). Rispetto ai lenti e metodici membri del Fireteam, lo Yautja è in grado di sorvolare velocemente l’arena saltando da un albero all’altro e compiendo lunghissimi balzi, utilizzare la termovisione per scovare giocatori e NPC e diventare parzialmente invisibile per sfuggire agli occhi delle prede. Tutto sommato, questo è esattamente ciò che rende un predatore esaltante e la naturalezza con cui è possibile muoversi lungo la mappa correndo su sporgenze e alberi aggiunge solo valore all’esperienza di Predator: Hunting Grounds. Tutto questo fino a che non si arriva allo scontro diretto con i soldati e ci si rende velocemente conto della differenza di potere. Mettere a segno un’uccisione richiede numerosi colpi e soprattutto una discreta quantità di tempo, durante il quale anche il meno attento dei nemici può accorgersi della nostra presenza e scaricarci addosso una pioggia di pallottole che deteriora la nostra vita a una velocità immane. L’arma a distanza del Predator, il normalmente terrificante cannone al plasma, richiede oltretutto una mira molto precisa per infliggere ferite di impatto stranamente ridotto. Molte volte ci troviamo costretti ad interrompere un assalto perché ci rendiamo conto che abbiamo appena barattato due colpi di lame per l’80/90% dei nostri punti ferita. Tutto questo perdura fino a che, magicamente, non saliamo abbastanza di livello da sbloccare le armi extra: a quel punto, uccidere tutti diventa una totale passeggiata con pochi strascichi di divertimento abbandonati lungo la via. Questo brusco passaggio da “ieri era zero” a “oggi è un guerriero” fa capire gli evidenti problemi di bilanciamento del sistema, che lo rendono ben poco appetibile. Ben poche partite hanno il sapore di una vera battuta di caccia, e ancora meno vi regalano le stesse sensazioni dei film da cui è tratto il gioco.
La maledizione della spunta arancione
Ho parlato della possibilità di personalizzare soldati e alieni in Predator: Hunting Grounds e, se pensavate che qui ci potesse essere un segno di speranza, basterà una singola spunta arancione a farvi cambiare idea. Accessori, armi e cosmetici per i personaggi si sbloccano principalmente in maniera casuale tramite un sistema di loot box, con anche la possibilità di acquistare ciò che ci piace tramite i crediti che accumuliamo giocando e di sbloccare nuovo arsenale salendo di livello. La raccolta di nuovi gadget è ben bilanciata e non richiede la spesa di vero denaro, ma il menu di personalizzazione è veramente complesso e toglie tutto il divertimento dell’operazione. Al posto di scorrere tra una categoria e l’altra rapidamente, bisogna avanzare e retrocedere tra vari sottomenu fin troppo specifici, con la necessità di seguire numerosi passaggi solo per cambiare un singolo elemento del set. Inoltre, le novità sbloccate vengono evidenziate da una piccola spunta arancione, che normalmente dovrebbe avere lo stesso sapore del ricevere un nuovo giocattolo. Tuttavia, tra bug che impediscono la loro scomparsa e l’obbligo di cambiare l’arma attiva solo per cancellare il segnetto sul nuovo cosmetico, che magari neanche ci interessa, si finisce ad odiare la maledetta e desiderare la sua sconfitta più di quanto ci si auguri la morte del Predator durante una partita. Unendo questo alla già menzionata importanza che le armi possono avere in una partita (soprattutto per il lato killer), si comprende facilmente come questa complessa formula si tramuti ben presto in noia esistenziale.
In fin dei conti, un Predator è pur sempre un Predator
Eppure, il fascino c’è. Nonostante tutti i problemi, saltare da un albero all’altro alla ricerca delle proprie prede oppure guardarsi continuamente in giro per scovare la posizione del nemico invisibile ha un’attrattiva che talvolta fa capolino sopra il mare di problemi e ci porta a continuare a giocare. Predator: Hunting Grounds non è un titolo perso per sempre e nemmeno un totale fallimento come molti potrebbero pensare: il potenziale c’è così come le idee, hanno però bisogno di un’accurata operazione di ribilanciamento e l’eliminazione di buona parte dei sopra citati difetti per trasformarmi in un’opera quantomeno divertente. Ma soprattutto, serve qualcuno che insegni alla gente la bellezza intrinseca e ricercata dei temerari soldati del Fireteam. Andiamo ragazzi, l’abbiamo capito, gli Yautja sono pazzeschi e quant’altro, ma non è possibile che servano 25 minuti per trovare una lobby come cacciatore contrapposta ai 15-20 secondi della controparte umana. È pure più debole.
Tirando le somme, Predator: Hunting Grounds aveva assoluto bisogno di soddisfare delle aspettative molto alte e, nel cercare di farlo, è inesorabilmente caduto troppo in basso. Quasi ogni aspetto del gioco soffre di evidenti difetti, nulla di irreparabile certo, ma di sicuro ben poco di giustificabile per gli standard odierni. C’è però aria di miglioramento e sembra che IllFonic sia determinata a non mollare quest’opera come già capitato con Friday The 13th, ma invece ad aggiustarla e renderla più gradevole possibile. Se vi piacciono i multiplayer asimmetrici e soprattutto se adorate l’universo di Predator, tenete d’occhio la situazione: forse non è ancora il momento di unirsi alla caccia, ma in futuro potrebbero cambiare le carte in tavola.
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