Accade che nel corso di una notte particolarmente buia, una stella cadente si schianta sul suolo di Darkestville, una ridente cittadina (ma neanche tanto) in cui tutti conoscono tutti e la vita scorre serena e placida. Accade che quel meteorite porta con se in dote un ospite: Cid, il protagonista di questa avventura. Cid è un demone e in quanto tale viene mosso incessantemente dal desiderio di creare guai e scompiglio attorno a se. Crescendo nella comunità di Darkestville, i suoi concittadini hanno imparato a sopportarne i comportamenti anche se sembrano quasi averlo emarginato. In questo scenario, proprio pochi attimi prima di attuare il piano malefico di nutrire con del lassativo i piccioni che abitano il piccolo paese, inizia la storia narrata dal gioco.
Una notte apparentemente come le altre inizia per il nostro Cid. Come ogni sera il demone cerca di fare mente locale e decidere su quale marachella focalizzarsi nelle ore a venire. Ci pensa Dan, storica nemesi (o forse sarebbe meglio definirlo come spalla comica) del nostro protagonista, a interrompere il flusso di assurdità che Cid sembra propinarsi, quasi come a voler divertire un pubblico immaginario. Le intenzioni di Dan sono chiare: chiudere il demone all’interno del proprio castello. Peccato solo che per attuare il suo piano non possa allontanarsi dalla porta di ingresso, proprio laddove è presente una delle tante trappole disseminate per la proprietà. Malgrado quest’ultima sia stata manomessa, il giocatore ha modo di riparala, prendendo dunque confidenza con i controlli e con il gameplay vero e proprio, riuscendo infine a liberarsi. Proprio quando tutto sembra essersi sistemato, Dan svela l’asso nella manica: era tutto un diversivo per permettere ai Fratelli Romero, assoldati in precedenza dall’ingenuo omino, di intrufolarsi nel castello e catturare Cid. Complice il caso, ad essere catturato sarà invece il pesciolone, dall’aspetto effettivamente demonico, animale da compagnia del nostro alter ego virtuale. Cid si deve dunque cimentare nell’ardua impresa di liberare il proprio animaletto dal Forziere Demoniaco.
Questi sono i primi minuti di gioco. Malgrado non narri di vicissitudini particolarmente ispirate, la storia è raccontata quasi sempre con i tempi giusti e accompagnata da dialoghi assurdamente divertenti.
Questa Darkestville l’ho già vista
Fin dai primi minuti Darkestville si presenta, almeno su Nintendo Switch, graficamente molto pulito. Certo, lo stile grafico praticamente disegnato e l’assenza di qualsiasi effetto particellare e tridimensionale aiuta, ma i colori e le linee sono sempre ben definite, vivide e in generale gradevoli da vedere. Le animazioni, malgrado anch’esse non particolarmente numerose, sono realizzate in maniera sufficiente, riuscendo a strappare qualche risata nei momenti più comici e cercando di animare uno scenario prettamente statico.
Le location mostrano però il fianco ad una direzione artistica che risulta essere uno dei punti deboli della produzione indipendente in questione. Lo stile grafico volutamente di ispirazione ai grandi classici (qualcuno ha detto Monkey Island?) sbatte violentemente sull’impatto visivo offerto dagli scenari. Quest’ultimi non sono disegnati male, anche se quasi mai in grado di sorprendere se non per dettagli prettamente comici, ma risultano sempre troppo poveri di movimento e di personaggi con cui interagire. Se a questo aggiungiamo il fatto che i “quadri” da esplorare non sono poi molti – anzi, fino a circa metà gioco si potrebbero contare quasi sulla punta delle dita di una mano- è facile capire da dove nasce la delusione per tale aspetto.
Medesimo discorso va purtroppo fatto riguardo il characters design: al netto del protagonista e di alcuni comprimari particolarmente riusciti, gli NPC disseminati nel corso dell’avventura offerta da Darkestville risultano troppo spesso visivamente anonimi e dal carisma emergente dai dialoghi decisamente tarato verso il basso. Basti pensare a Foxy, la nota femminile del trio Romero, la quale risulta essere una prosperosa ragazza dai capelli rossi munita di una coda di volpe. Non il massimo dell’originalità insomma.
Questa Darkestville l’ho già sentita
I dialoghi sono interamente doppiati (in inglese si intende; ma è comunque presente la localizzazione dei testi in italiano) riuscendo a porsi come chiave fondamentale per la comicità proposta dal gioco in questione, la quale verte fortemente sul sarcasmo. Pertanto l’assenza di una vera e propria recitazione dei testi avrebbe reso difficile la comprensioni di alcune battute e dei tempi comici.
Purtroppo la soundtrack che accompagna l’intero arco narrativo soffre di un problema davvero grosso: l’ispirazione ad altre opere è troppo palese. Capita infatti molto spesso di udire motivetti i quale rimandano, neanche troppo lontanamente, ad altri videogiochi. Ho trovato due tracce davvero simili al tema principale di Luigi’s Mansion e a quello della Radura di Rayman 2. Ovviamente si parla di pure sensazioni.
Questa Darkestville l’ho già giocata
Dopo aver esaminato gli aspetto tecnici offerti da Darkestville è il momento di discutere del gameplay vero e proprio.
Il titolo è infatti basato su una sorta di sistema SCUMM. Gli oggetti nell’inventario sono combinabili tra di loro e possono essere selezionati per l’interazione con personaggi e punti di interesse ambientale. Purtroppo questo sistema classico si scontra con un numero di oggetti e interazioni limitati, senza riuscire a mascherare tale pochezza di contenuti così come riuscirono nell’impresa i grandi classici del genere lanciati sul mercato negli anni ’90.
Il giocatore può inoltre decidere di interagire, osservare o parlare con gli NPC e con gli oggetti selezionabili nello scenario. Questa finta libertà svela però la sua vera natura già dopo pochi minuti di gioco, lasciando intuire al giocatore che deve banalmente interagire con ogni cosa per tutto il corso dell’avventura.
Medesimo discorso per i puzzle che vengono messi di fronte all’utente: una volta raccolto tutto, non serve far altro che andare a tentativi anziché aguzzare l’ingegno per ottenere un avanzamento più rapido. Considerando poi che alcuni eventi chiave sono oggettivamente improbabili il risultato è che se il giocatore non riesce a calarsi appieno nel mood comico incaponendosi nel voler risolvere gli enigmi con la logica, la deriva sopra descritta del “provarle tutte intanto prima o poi ci si riesce” risulta inevitabile.
Questa Darkestville l’ho già finita
Infine nota positiva, anche se anticipata, è la vena prettamente comica dietro Darkestville in grado di ripercuotersi positivamente anche nelle interazioni verbali con gli NPC. La scrittura è piacevole e sempre divertente incitando dunque a provare tutte le possibilità presenti nei vari alberi dei dialoghi.
Peccato però che l’esigua quantità di personaggi non permetta a questo alone di sarcasmo, assolutamente riuscito, a elevarsi sopra la media e sopperire all’enorme sfilza di problemi sopra descritti che affliggono la produzione per tutto il corso dell’avventura, la quale comunque è completabile in circa 5/6 ore.
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