“Il sentimento più forte e più antico dell’animo umano è la paura”
Theodore Westmark è il direttore del locale dipartimento di storia antica. Un uomo che dedica la sua vita alla ricerca, con particolare attenzione al mondo dell’occulto. Dopo aver trascorso diversi anni in cerca della formula alchemica in grado di controllare spazio e tempo, trova ciò che bramava a Vornum, un’isola al largo delle coste della Norvegia. Riportato in patria il materiale ritrovato per poterlo studiare con più attenzione, Theodore si mette alla ricerca di una un modo per curare l’orribile malattia che affligge sua moglie Elizabeth. Qualcosa, inevitabilmente, va storto e la loro vasta dimora si trasforma in una trappola da incubo da cui dover fuggire.
Westmark Manor insomma, è il classico caso di magione infestata in cui il nostro protagonista dovrà cercare di sopravvivere districandosi tra gli orrori e gli enigmi che questa gli parerà di fronte. Una volta entrato dalla porta principale infatti, il giocatore si trova con i battenti chiusi alle proprie spalle da un meccanismo che richiede il possesso di un numero prestabilito di sigilli (decisi dal livello di difficoltà impostata) e che il protagonista recupera risolvendo i rompicapi sparsi per la casa. Le meccaniche di gioco sono essenziali e piuttosto semplici: bisogna esplorare l’ambiente per recuperare documenti e oggetti utili alla risoluzione degli enigmi (che forniscono i suddetti sigilli), mentre si cerca di sopravvivere alle minacce proposte dall’edificio. L’esplorazione non è una tranquilla passeggiata con qualche piccolo spavento sparso qua e là, ma richiede al giocatore una particolare attenzione nella gestione del personaggio. Theodore infatti, ha una lucidità mentale di cui tener conto, che viene influenzata da ricordi e immagini più o meno negativi sparsi per la casa. Questa, a sua volta, cerca continuamente di corrompere tale lucidità, con maledizioni propinate randomicamente e con la minaccia più atroce, rappresentata dall’oscurità. Theodore, purtroppo, ha il problema peggiore che si possa avere in uno scenario del genere: ha paura del buio. L’unica sua amica è la lanterna a cherosene con cui illuminare il suo percorso, coadiuvata dai fiammiferi con cui accendere candelabri e creare punti d’illuminazione fissi nelle varie stanze della magione. Oltre ad una vera e propria limitazione al gameplay (al buio, il protagonista non vede gli oggetti da raccogliere), le tenebre consumano la barra della sanità mentale, portando il nostro a morire di paura quando questa scende a zero. Sta al giocatore poi scegliere se resuscitarlo sul posto spendendo un intero punto di lucidità, o caricare l’ultimo salvataggio. Gestire questi punti è la meccanica cardine del lato survival horror del gioco: oltre al respawn diretto, questi possono essere utilizzati per salvare i progressi tramite il leggio (un po’ come i nastri d’inchiostro di Resident Evil) o spesi presso il grottesco mercante del condotto, che ricambia questi punti con oggetti utili come fiammiferi, pozioni o bottiglie di cherosene. Il tutto crea un’esperienza piuttosto interessante dal punto di vista dell’atmosfera, che tiene il giocatore costantemente sulla corda mentre si sposta tra un enigma e l’altro.
Già gli enigmi. Perché nonostante le caratteristiche elencate, Westmark Manor è innegabilmente, nell’anima più pura del suo gameplay, un puzzle game. Si passa da ostacoli facilmente superabili con l’intuizione a veri e propri rompicapi di ardua risoluzione, praticamente irrisolvibili senza il ritrovamento dei giusti indizi utili a decodificare, ad esempio, un qualche tipo di cifrario. Nel complesso si tratta di proposte piuttosto interessanti e piacevoli da affrontare, che forniscono il giusto pane per i denti degli appassionati di questo tipo di sfide. Da sottolineare inoltre come la difficoltà scalabile permette di lasciarsi indietro ciò che al giocatore sembra irrisolvibile, dal momento che in base a questa verranno decisi inizialmente il numero di sigilli necessari all’apertura del portone principale. Ne conviene che i meno pazienti possono partire con una difficoltà più bassa e dilettarsi esclusivamente con l’enigmistica più facile, mentre si dedicano al proseguimento della narrazione.
Non si tratta però di uno scambio così conveniente. Se il gameplay è infatti piuttosto piacevole, il comparto narrativo non si rivela altrettanto convincente, trovandosi a zoppicare un po’ nell’eccessiva cripticità delle sue fasi. Le brevi cutscene contribuiscono sì a creare una buona atmosfera, in continuità con le parti giocate, ma il plot si mostra generalmente un po’ troppo confuso, a tratti raffazzonato. Sebbene la lore del gioco si mostri in maniera piuttosto interessante e con diverse idee valide, la stesura della storia non convince pienamente, soprattutto nei modi con cui questa viene raccontata. E’ chiaro come la cripticità ben si sposi con le opere lovecraftiane e come non si possa pretendere l’autorialità di Ken Levine o Hideo Kojima da un’opera di questo calibro, ma si poteva fare certamente qualcosa di più.
Una magione piuttosto antica
Dal punto di vista tecnico, Westmark Manor si presenta come un gioco di inizio millennio, con tutti i suoi pro (pochi) e i suoi contro (tanti). Il comparto grafico è letteralmente riconducibile a quello del periodo Playstation 2 e non appare esattamente memorabile. Sebbene possa suscitare ricordi nostalgici in chi all’epoca era già videogiocatore, presentarsi a 2020 inoltrato con un impatto visivo del genere non è di certo l’ideale. E’ vero che, coadiuvato dalla modalità in bianco e nero, contribuisce a dare all’opera un sapore un po’ rétro, ma di certo i pregi finiscono qui. Soprattutto considerando che anche le animazioni del personaggio sono tutt’altro che impeccabili. Theodore si muove come se avesse indossato la sua camicia con tutta la stampella e cammina come se si fosse appena seduto su qualcosa di spiacevolmente contundente, ciondolando qua e là per la magione. Inevitabilmente la giocabilità finisce con il risentirne un po’ anche se, trattandosi di un puzzle game prettamente esplorativo, tali mancanze non vanno a compromettere eccessivamente l’esperienza di gioco. Ciò che invece rappresenta un vero attentato ad essa sono i tanti bug e glitch che minano il gioco, alcuni decisamente fastidiosi. La telecamera su tutte, presenta gravissimi problemi: utilizzando il respawn diretto, a volte questa passa inspiegabilmente in prima persona, impedendo al giocatore di muoversi o peggio, in altri casi si dimentica addirittura di seguirlo con l’inquadratura, lasciando Theodore a scorrazzare in punti della stanza non visibili sul monitor. Per non parlare degli scrigni e dei bauli contenenti gli oggetti di gioco, che spesso fanno sparire chiavi dall’inventario senza aver restituito il dovuto al giocatore. Si tratta di errori grossolani che vanno ad aggravare una realizzazione tecnica nel complesso piuttosto approssimativa. Per onestà va sottolineato come si tratti di un gioco a basso budget, realizzato principalmente sulle ali della passione per Lovecraft e per il medium videoludico, ma costringere il giocatore a dover ricaricare un salvataggio per delle lacune tecniche imputabili allo sviluppo, resta una mancanza difficilmente perdonabile anche a questi livelli.
Weird Fiction
Nel valutare complessivamente Westmark Manor bisogna attentamente tenere conto di diversi fattori. Se il comparto tecnico non è impeccabile e la narrazione lascia a desiderare, dall’altro lato il titolo di Nodbrim Interactive si presenta come un piacevole puzzle game incastonato in un survival horror tutto sommato simpatico e con i suoi pregi. Tuttavia, gli enigmi ben fatti e uno stile lovecraftiano molto caricaturale, non bastano ad elevare a capolavoro un prodotto minato da fin troppi problemi riconducibili alla sua realizzazione. Va comunque tenuto conto che nell’epoca di internet e degli store digitali, i bug sono ormai un problema risolvibile tramite patch post-release e in questo va dato atto allo studio, per essere rimasto sul pezzo: fin dai giorni seguenti all’uscita infatti, la software house continua a lavorare sulla sua creatura, rilasciando regolarmente patch correttive che sistemano progressivamente molte delle lacune del gioco. Un lavoro che continua anche a distanza di settimane, dimostrando senza alcun dubbio la passione del team di sviluppo verso la propria opera. In conclusione Westmark Manor resta un prodotto consigliato per i giocatori che vogliono approcciarsi agli interessanti rompicapi di un titolo senza troppe pretese, trascorrendo varie ore di svago in una struttura con elementi che strizzano palesemente l’occhio alle speedrun (come la proceduralità di parte dell’oggettistica e il counter delle ore di gioco sempre ben visibile all’apertura dell’inventario). Chi non ricade in questa descrizione o non nutre il minimo fascino verso le opere di Lovecraft, può tranquillamente rivolgere altrove le proprie attenzioni.
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