Disclamer: Questo articolo parla di copyright, ma io non ho studiato legge. Ho studiato il diritto d’autore, la sua storia e la teoria che ci sta dietro, ma non sono un esperto nelle norme attuali. Mi sono informato in diversi modi, come ognuno di voi potrebbe e forse dovrebbe fare, leggendo, ascoltando, e vivendo le situazioni che il DMCA ha creato. Questo non è un saggio sul DMCA, è un pezzo d’opinione.
Twitch ha fatto un macello. Nella giornata di ieri, sotto pressione delle etichette discografiche, ha cancellato migliaia di video che violavano il Digital Millennium Copyright Act, meglio conosciuto come DMCA. A questa iniziativa sono seguite le lamentele di decine di streamer terrorizzati, arrabbiati e confusi. Lamentele rivolte ovviamente al sito che ha cancellato il lavoro di una vita.
Una storia già sentita, uno scenario che ricalca ciò che successe con YouTube e con il leggendario Content ID, il sistema automatico di intelligenza artificiale che identifica e segnala le violazioni di copyright. E sembra giusto, in questa situazione, dare la colpa al sito. Sia esso Twitch o YouTube, che male c’è a mettere della musica mentre si gioca o a fare una reaction ad un trailer di un film Disney, o trasmettere un videogioco, o caricarne un gameplay su YouTube? È fair use giusto?
No, non lo è. E per capire perché dobbiamo guardare la bestia negli occhi.
La leggenda del Fair Use
La bestia è il Digital Millennium Copyright Act, una legge statunitense del 1996, recepita da una normativa europea del 2001 praticamente per intero. È stata scritta per difendere il diritto d’autore all’alba dell’era di internet. Senza scendere nei dettagli, quello che dovete sapere è che è molto stringente e avvantaggia le grandi etichette. Nel momento in cui tu, persona, azienda o altro, vuoi fare soldi con un pezzo di una proprietà intellettuale di un’altra azienda o persona, devi pagare una licenza. Se non lo fai possono portarti in tribunale e toglierti anche le mutande.
Le uniche due eccezioni a questa brutale soluzione sono il “fair use”, e la seconda parte del DMCA, l’Online Copyright Infringement Liability Limitation Act. Il primo è un termine che individua certi comportamenti per i quali non è richiesta una licenza se si vuole utilizzare un contenuto coperto da copyright. Probabilmente lo avete già sentito nominare dato che è diventato leggendario su internet.
Nelle descrizioni di migliaia di video il nome Fair Use viene brandito per tenere lontano il fantasma del Content ID, ovviamente invano. Perché quella norma protegge solo tre specifici comportamenti: la critica, la parodia e la trasformazione. Dei tre l’ultimo è l’unico che è esattamente quello che sembra. Il contenuto che ne utilizza un altro protetto da copyright deve essere completamente diverso dall’originale. Per gli altri due invece, la legge dice qualcosa di molto diverso da quello che pensiamo effettivamente dica. La critica e la parodia devono essere del contenuto che si è preso in prestito, e di null’altro. I meme, ad esempio, non rientrano in questa categoria. Se avete mai usato Pepe the Frog per qualsiasi ragione al di fuori di criticare il fumetto da cui proviene, avete infranto il DMCA. Gameplay di Minecraft? Violazione. Live di qualche gioco? Violazione. Cover di una canzone rap fatta da un tizio con la chitarra acustica? Violazione. Meme di Conte in ritardo per la conferenza stampa? Esatto, anche quello, violazione.
Da questo consegue una curiosa situazione. Esistono interi business che occupano migliaia, forse milioni di lavoratori, che sono basati sulla sistematica infrazione del copyright. Da Twitch a YouTube, fino a siti come Gify e Soundcloud, tutte queste aziende sparirebbero se solo le etichette discografiche decidessero di far loro causa. Allora perché non lo fanno?
Qui entra in gioco l’Online Copyright Infringement Liability Limitation Act. Questa parte del DMCA stabilisce un meccanismo per il quali le aziende possono notificare ai siti che ospitano contenuti di terzi una violazione del proprio copyright, intimando loro di rimuoverlo. È grazie a questa norma che siti come YouTube hanno visto la vita. Ma quali sono le conseguenze sull’internet 2.0 di una legge scritta al tempo dei forum?
Il brutale Content ID
Come fai a rispondere alle notifiche di violazione di copyright di decine di etichette in tutto il mondo quando sul tuo sito vengono caricate diverse vite umane di video al secondo?
Semplice, lo fai fare ad un’intelligenza artificiale. Così è nato il Content ID di YouTube e nella stessa direzione sta andando Twitch. Situazioni che nel ’96 si sarebbero risolte con chiamate tra avvocati arrabbiati, ora sono gestite da un robot con un pessimo senso dell’umorismo, che non distingue la parodia dalla violazione di copyright. Ma se avete letto con attenzione il paragrafo precedente, avete già capito che questo è l’unico modo.
Se YouTube e Twitch non rimuovessero i video, le etichette potrebbero far causa non solo al sito, ma anche ai creatori di contenuti. Quando vi lamentate perché i cinque centesimi prodotti dalla pubblicità sul vostro Opening Pack di FIFA vanno a Warner Bros., proprietaria della canzone che avete usato per l’intro, pensate che l’alternativa sarebbe affrontare una causa milionaria.
La demonetizzazione peraltro non è prevista dalla legge, è una scappatoia. Non c’è violazione di copyright se non c’è uso commerciale. Basta che i soldi vadano alle persone giuste e non ci sono lamentele. O quantomeno non ci sono lamentele da quelli che possono permettersi di assumere uno squadrone di avvocati arrabbiati.
…ma è ingiusto
Cercavi giustizia ma trovasti la legge, cantava il poeta. È su questo punto, che sembra scontato e infantile, che dovremmo tutti riflettere. Perché il momento in cui la maggior parte della popolazione considera una legge ingiusta è sempre un momento di rottura. Tra qualche anno la generazione che ha partecipato in gioventù alla nascita e crescita di internet inizierà ad arrivare vicina al potere. In alcuni casi c’è anche già arrivata. Se ne rendono conto in pochi, ma il ministro degli esteri Luigi di Maio ha solo un anno in più del nostro Fraws.
Nel 2019 la discussione nell’internet europeo era stata monopolizzata dall’articolo 13 della direttiva europea sul diritto d’autore. Grandi video, articoli, tweet e post indignati per l’imminente criminalizzazione dei meme.
Mi chiedo però quanti di quelli che si lagnavano su internet hanno poi votato alle europee. E quanti anche di quelli che hanno effettivamente partecipato alla tornata, hanno votato quegli stessi partiti che hanno fatto approvare il tanto disprezzato articolo 13.
L’unico modo che abbiamo per agire però è quello. È inutile andare a piangere da YouTube o da Twitch, quando rispettano semplicemente la legge. Con questo non voglio dire che la legge sia giusta. Al contrario, va contro il modo in cui crediamo che il sistema dovrebbe funzionare. Proprio per questo dovremmo sentirci in dovere di fare qualcosa.
Smettiamo di trattare le multinazionali come se fossero Stati e iniziamo a cercare di cambiare con i mezzi che abbiamo le realtà che non ci piacciono. Una parte enorme dell’intrattenimento che la nostra generazione consuma è sotto la costante minaccia di una legge vecchia e non adatta. Il minimo che possiamo fare, per continuare a goderne, è leggere due articoli prima di mettere una croce su un simbolo una volta ogni quattro anni.
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