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Metroid Dread – La Recensione di un “Poser”

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Questo articolo non potrebbe cominciare in un modo peggiore se non con questa confessione: non ho mai giocato un titolo della serie Metroid. Perfetto! E con questa frase introduttiva posso dire di aver mandato a quel paese quel minimo di credibilità che potessi ancora avere… o forse no? Ha davvero senso parlare di credibilità o tirare in ballo il discorso Ma come hai fatto a non giocarci? quando si cita quella che si potrebbe definire la pecora nera di Nintendo? E prima che iniziate ad accendere i forconi, no! Questa definizione non viene dalla pura malizia o dall’ignoranza, ma dal fatto che nel corso dei suoi 35 anni Metroid è stata una saga al quanto sfortunata.

Non sono né il primo né l’ultimo a introdurre un articolo su Metroid parlando dei millemila intoppi che ne hanno segnato la sua scalata al trono dei blockbuster Nintendo e francamente non mi sento in grado di fornirvi ulteriori info a riguardo, limitandomi al linkare uno dei tanti video che riassumono brevemente il tutto, come qui sopra. Tuttavia, molti fan della serie potrebbero concordare con me nel dire che la stessa Nintendo non ha mai spinto più di tanto sulla serie. Devo per caso ricordarvi di Federation Force? Other M? E badate, il discorso non si limita solo allo sviluppo di giochi discussi principalmente per la loro qualità discutibile se non ignobile, al punto da renderli dei casi riconoscibili anche da chi magari come me non naviga all’interno del fandom, ma anche dal punto di vista del marketing che almeno qui da noi non è andato oltre qualche trailer su YouTube o un inserto all’interno della ormai defunta rivista ufficiale di Nintendo.

Eppure, dopo 19 anni dall’uscita dell’ultimo capitolo (narrativamente parlando) della serie regolare, Metroid Dread è partito con il migliore degli auspici, tornando in auge durante lo scorso E3 2021 dopo esser diventato più Abandonware di Abandoned e risollevando l’attesa per un titolo Nintendo anche all’interno di una cerchia più casul del suo fandom. Perché i tempi sono cambiati, titoli come Super Smash Bros. Ultimate sono riusciti a risollevare miracolosamente la popolarità di Samus Aran e a mantenerla on life support per usare un inglesismo.

Ed è in quel momento che nella mia testa scattò la scintilla. Quale modo migliore di parlare di Metroid Dread se non (per rendere questo articolo un qualcosa di unico) parlarne con la prospettiva del “casul”, o anche dal punto di vista di quel particolare tipo di giocatore che (non interamente per colpa sua) non è riuscito ad entrare in contatto con la serie e che con molta probabilità avranno nelle loro librerie una copia di almeno uno dei tanti blockbuster della console ibrida. Perché chiariamoci, la popolarità di Nintendo Switch e ha portato con se centinaia di neofiti che con molta probabilità non sanno da dove cominciare, non sono in grado di comprare una Wii U per recuperare i capitoli Fusion e Zero Mission su GameBoy Advance o non hanno voglia di abbracciare il mondo dell’emulazione.

Ovviamente vi rassicuro fin da subito, questo discorso da poser verrà applicato solo durante la prima parte, al quale seguirà un’analisi vera e propria di Metroid Dread. Prendetela come se avessi preso una brusca deviazione verso la strada normale che porta a Pizzo-ZDR.

SUPER SHOCK!

Partendo quindi dal presupposto che il potenziale acquirente di Metroid Dread abbia almeno una Nintendo Switch ed un abbonamento ai servizi online attivo, ho scelto di iniziare la mia avventura nel brand partendo da Super Metroid per SNES. Il motivo dietro alla scelta del terzo capitolo della serie rispetto al primo o addirittura a Metroid: Samus Returns per 3DS è presto detto: il suo design.

Per certi versi, il game design della mappa di Super Metroid è stato, è e sarà sempre un capolavoro senza tempo… O quasi. Se da una parte è vero che riesce ad elevare i concetti già espressi sul primo capitolo della serie, andando a smussare alcune delle problematiche legate all’esplorazione di Zebes senza però “offrire la manina” al giocatore, verso l’ultima parte del gioco si comincia a percepire una sensazione di spaesamento e confusione alla ricerca del progresso, in quello che – citando il collega videogamedunkey – viene più volte definito un Momento Metroid.

A questo si aggiunge un sistema di controllo che anche per il 1994 risultava legnoso e poco intuitivo, soprattutto quando si toccava lo spinoso problema dei wall jump oppure, quando ancora non esisteva alcuna dicitura lontanamente vicina al Metroidvania, lo si comparava ad altri prodotti simili come MegaMan X (1993). E lo stesso discorso lo si può e si deve applicare anche per i boss di Super Metroid, che dal mio punto di vista non sono stati solo brutti da affrontare (primo fra tutti quel pogo-stick di Ridley), ma promuovono uno stile di gioco che va in antitesi con il flow dell’intera esperienza di gioco: piuttosto che imparare i pattern di un boss, si è costretti a trovare più power up possibili per tankarlo nel mentre lo si crivella di colpi, in una battaglia d’attrito che non diverte e non mi invita a rigiocarle per magari imparare un metodo più efficace per sconfiggerli.

Sembra che stia rigurgitando tutto il mio ACKTHUALLY da nerdone esperto nel game design di sta ceppa, ma in realtà no. So perfettamente quanto Super Metroid abbia contribuito alla storia del videogioco ed ovviamente si sta parlando sempre di un gioco sperimentale per l’epoca. Allo stesso tempo, questa mia esperienza con Metroid è stata definita da un continuo dondoleggiare tra figate assurde come l’ottenimento della Gravity Suit o dello Spin Attack caratteristico di Samus, e momenti di pura frustrazione come il già citato Ridley e da quelle particolari zone nascoste da un singolo pixel sulla mappa necessarie per andare avanti nel gioco. E a dirla tutta, non ero per niente elettrizzato di coprire Metroid Dread rispetto a quando mi proposi per la recensione.

Eppure, è successo: It clicked.

The Chilling Adventures of Samus

Fin dal suo primo avvio, Metroid Dread cerca in tutti i modi di far recuperare a tutti le principali informazioni legate alla lore della serie come i Metroid, i Chozo, Samus stessa e soprattutto i Parassiti X, organismi parassiti apparsi già in Metroid Fusion in grado di consumare la propria preda dall’interno e replicarne DNA, fattezze e pensieri… Ad eccezione di Samus che durante la sua missione nel pianeta SR388 riesce ad assimilare una parte di questi organismi all’interno della sua Power Suit.

Con la fine degli eventi di Fusion, l’esistenza dei Parassiti X sembra essere stata debellata, fino a quando la Federazione Galattica non ne individua un esemplare superstite sull’ancora inesplorato Pianeta ZDR. Rispetto al passato, la Federazione ha imparato a confrontarsi con questa specie e ha costruito gli E.M.M.I. ovvero degli automi virtualmente invincibili in grado di estrarre il DNA dei parassiti. E siccome anche nella galassia non c’è mai una gioia, questi automi si scollegano poco dopo l’arrivo sul pianeta, costringendo quindi Samus ad indagare.

Nonostante le premesse iniziali di questo capitolo non fossero di alto livello, e tengo a sottolineare che questo genere di titoli NON HA BISOGNO in nessun caso di una trama da Nobel per essere godibile, la campagna di Metroid Dread mi ha stupito e riesce ad offrire degli spunti interessanti sull’universo attorno a Samus. Protagonista che in questo capitolo esalta la sua figura da personaggio cazzuto e più amante dei gesti che delle parole. Sarò cringe, ma continuo a supportare il parallelismo con il Doom Guy/Doom Slayer di Id Software e parlando proprio di lui…

Shoot and Bomb, until it’s parriable!

In quelli di ZDR, Samus soffrirà ancora una volta della classica Sindrome da Power Creep dopo un incontro ravvicinato con Raven Beak, un guerriero Chozo che è riuscito a spogliare la giovane cacciatrice di tutte le sue abilità. Adieu Power Bomb, ciao ciao Spin Attack! Si riparte da zero. E ripartendo da zero, un giocatore esperto di Metroid potrebbe fin da subito intuire l’ideale progressione della partita in relazione ai vari power up da recuperare partendo dal meno potente al più devastante.

Ed è qui che Mercury Steam decide di mescolare le carte, togliendo dall’equazione l’esplorazione dei cunicoli tramite la Morph Ball, abilità ottenuta all’inizio della maggior parte dei titoli della serie. Certo, è possibile effettuare una scivolata laterale per superare le feritoie davanti ad un passaggio altresì bloccato e non stiamo parlando di un cambiamento epocale, ma per buona parte dell’esplorazione iniziale il giocatore è invitato a pensare al di fuori della scatola e (nel caso dei giocatori più stagionati) uscire dalla comfort zone.

A controbilanciare questo cambio di direzione ci pensa il nuovo elemento stealth del Phantom Cloak, un potenziamento che permette a Samus di diventare invisibile a costo della propria riserva d’energia, rendendola in grado di passare inosservata e soprattutto attraversare quelle porte che senza questo potenziamento si chiuderebbero all’istante. Purtroppo, ho trovato che questa funzione sia stata affrontata in maniera fin troppo superficiale nel suo design. Per dire, la velocità ridotta nei movimenti e l’impossibilità di effettuare azioni più complesse è perfettamente comprensibile SE si attiva Phantom Cloak durante le varie sezioni stealth contro gli E.M.M.I e anche lì sono stato costretto ad utilizzarla pochissime volte durante il gameplay. Per il resto, questa nuova abilità si rivela altamente situazionale e un freno a mano per il ritmo dell’azione di gioco.

Al contrario, altre nuove abilità come Spider Magnet, Flash Shift e Storm Missiles non solo sono in grado di far progredire l’esplorazione attraverso il superamento di ostacoli particolarmente ingegnosi, ma le ultime due si dimostrano anche degli ottimi tool da utilizzare in combattimento. Spider Walk, per esempio, permette a Samus di aggrapparsi ad alcuni muri contrassegnati da uno specifico pannello illuminato e distinguibile, in quella che è un’ottima alternativa al classico wall jump. Flash Shift invece, se nell’esplorazione si rivela uno strumento necessario per oltrepassare le porte dotate di interruttori in grado di bloccare il passaggio, questo scatto in avanti mostra la sua utilità durante le boss fight più caotiche, ma ci arriveremo. Infine, che ve lo dico a fare: è bello utilizzare Storm Missiles per aprire delle porte chiuse da multiple serrature sparse attorno ad esse, MA VUOI METTERE A CONFRONTO DI CRIVELLARE DI MISSILI IL BOSS DI TURNO?!

Ovviamente, ritornano anche le classiche abilità che tutti amano come il Grapple Beam, Speed Booster (e quindi anche la devastante Shinespark), il Pulse Radar re-introdotto da Samus Returns e l’immancabile Screw Attack. Una volta ricostruita e ricompletata la struttura di Samus, aggiungendo quindi la Varia e la Gravity Suit per affrontare le zone caratterizzate da temperature estreme, il gameplay di Metroid Dread mostra tutti suoi pregi racchiusi all’interno di un sistema di combattimento che premia la freneticità e il ragionamento veloce dei giocatori. O almeno, lo fa fino a quando non si oltrepassa quella porta che conduce a… loro.

Seven Nights at E.M.M.I.’s

Poco fa ho parlato di come Phantom Cloak sia un potenziamento situazionale e un freno a mano potentissimo per il flow generale dell’azione di gioco. Gli incontri contro gli E.M.M.I. sono più o meno una fase di gioco molto simile ma per i motivi più sbagliati possibili ed è un vero peccato. Ma mettiamo delle cose in chiaro.

Il modo in cui gli E.M.M.I agiscono e reagiscono alle azioni del giocatore è da applausi, ogni volta che si entra all’interno di una loro zona e al posto della musica vige un rigoroso silenzio intervallato dal suono dello scanner degli automi, tu ti caghi addosso (scusate il francesismo) e parti alla ricerca di una via d’uscita o quanto meno di un metodo per non entrare nel loro campo visivo. Certo, Phantom Cloak è uno strumento utile per non farsi notare durante un incontro ravvicinato, ma come detto già più volte, i casi in cui questa abilità risulti interessante sono rari e per maggior parte delle volte preferirete uno stile di gioco più rapido, aumentando però le possibilità di finire della loro presa. Ed è lì che partono i problemi.

Una volta imprigionato nella morsa, il giocatore ha due alternative: farsi punzecchiare dal pungiglione più potente di sempre e andare in Game Over e ricominciare dall’area precedente alla zona degli E.M.M.I. oppure premere il tasto dedicato al contrattacco per liberare Samus e stordire il robot per qualche secondo, giusto il tempo per dileguarsi e riprendere fiato. Tuttavia, i requisiti per per mandare a segno questo contrattacco sono leggermente sballati. Il tutto risiede nel premere il tasto nell’esatto momento in cui l’occhio bionico del robot emette un flash rosso, poco prima di uccidere la cacciatrice. Sicuramente mandare a segno un contrattacco in una situazione del genere è fantastico, senza alcun dubbio una scarica d’adrenalina assurda… Ma è qualcosa che capita una volta ogni 2 lune blu. Non solo questo evento di gioco è diviso in ben 4 animazioni completamente diverse tra loro, ma la cadenza del flash rosso necessario per mandare a segno un counter efficacie è completamente casuale.

A volte è istantaneo, altre volte è lento come la melassa e non essendoci fattori esterni in gioco che aiutano a prevedere o quanto meno intuire la velocità di questo quick time event. In sostanza, gli incontri contro gli E.M.M.I. partono a razzo come dei veri e propri puzzle e si concludono con un trial and error poco divertente e frustrante. Dal mio punto di vista Mercury Steam lo ha reso difficile per il semplice gusto di esserlo e dare una gimmick all’esplorazione di queste zone.

Per fortuna, ogni zona legata ad un E.M.M.I. ha al suo interno una stanza speciale contenente una Unità di Controllo, un mini boss abbastanza semplice e che una volta sconfitto conferirà a Samus il Cannone Omega, l’unica arma in grado di distruggere gli automi. Personalmente, ci sta che ogni singola zona speciale abbia lo stesso boss ma avrei preferito la presenza di diverse varianti collegate all’E.M.M.I. di turno. Perché davvero, se già nel primo scontro il giocatore riesce a comprendere il pattern completo di questo occhione gigante, dal terzo scontro si inizia ad intenderli come I Ghidora di Metroid Dread, sempre presenti nonostante la caterba di legnate prese 5 minuti prima.

Una volta ottenuto il Cannone Omega, l’E.M.M.I. di turno inizierà a diventare più aggressivo, percependo la presenza di Samus e dando il via all’ultimo inseguimento che porterà alla sua distruzione. E devo dire che come climax non è niente male. È un puzzle dentro un altro puzzle, dove è necessario intuire la distanza adatta per crivellare di colpi lo scudo dell’automa prima di rilasciare il colpo caricato contro il suo nucleo. Tra musica, atmosfera e forse anche la mia mira un po’ imprecisa con i controlli a 360° (anche questo ripescato da Samus Returns) gli incontri con gli E.M.M.I. mi sono particolarmente piaciuti, al netto di un leggero sbilanciamento nella loro esecuzione.

Una prova d’esecuzione

Come anticipato nell’introduzione, le boss fight sono state il tallone d’achille della mia esperienza su Super Metroid, al punto da ritenerle le sezioni peggiori del gioco. Fortunatamente Metroid Dread è l’opposto e al netto di qualche eccezione, le boss fight di questo gioco sono e vengono percepite come delle vere boss fight e non come delle spugne per danni.

Fin dal primo boss serio, Metroid Dread imposta un certo ritmo all’interno dei vari combattimenti: impara il pattern, colpisci il boss sulle gengive abbastanza forte da passare alla fase successiva, ripeti. Questo ciclo è intervallato da alcune brevi sezioni coreografiche attivabili attraverso la pressione del contrattacco al momento giusto, dando al giocatore non solo un enorme finestra per infliggere danno senza ripercussioni, ma anche qualche secondo per riprendere fiato e prepararsi alla fase successiva.

E vi posso assicurare che questi brevi momenti d’aria fresca servono come i cereali la mattina, perché questi boss picchiano duro. Per quel che mi riguarda, Mercury Steam ci è andata anche fin troppo pesante con il damage output dei nemici più pericolosi del pianeta ZDR, ma non al punto da rendere l’intera esperienza frustrante. Per la maggior parte dei giocatori il primo incontro con un boss è probabilmente la ricreazione più fedele di una forca moderna, ma per i giocatori più stagionati ed esperti queste boss fight rappresentano una bella sfida che mette alla prova non solo quanto imparato nel corso dell’esplorazione, ma anche la sua esecuzione.

Menzione d’onore per i sub-boss, che alcune volte risultano addirittura più difficili dei boss tradizionali. Per fare un esempio, i due Guerrieri Chozo incontrati all’interno di Burenia hanno riaffiorato alcuni brutti ricordi di Gracious & Glorious, due dei nemici più ignobili del primo Bayonetta. In sostanza, cacatevi.

Un compromesso esplorativo

Tornando a parlare della mia esperienza in Super Metroid, verso le ultime 4 ore di gioco ho cominciato a sentire un particolare senso di dispersione, un po’ per l’enormità della mappa a mia disposizione (soprattutto dopo aver sbloccato la devastante Power Bomb) e un po’ per quelle barriere d’entrata in un livello scovabili per puro caso, e proprio per tornare a parlare delle Power Bomb alzi la mano chiunque sia riuscito ad aprire l’ingresso per Maridia per puro intuito. Parlando invece con qualche amico o collega sui capitoli successivi della serie, alcune delle loro analisi sull’esplorazione all’interno di quei giochi mettevano in cattiva luce i tentativi di ridurre il fattore dispersività attraverso un esposizione forse fin troppo accentuata del percorso più adatto (si parlava principalmente di Metroid Fusion).

Ecco, nel caso dell’esplorazione in Metroid Dread ho avuto l’impressione che Mercury Steam abbia preso il meglio di entrambe le opzioni, creando una mappa che sì permette al giocatore di accedere alla maggior parte delle sue ramificazioni fin da subito, mettendo in alcuni casi dei paletti legati ai power up non ancora ottenuti. Allo stesso tempo però, hanno saggiamente pensato di ridurre la distanza tra l’ottenimento di un power up ed il suo effettivo utilizzo, riducendo di molto il backtracking necessario per raggiungerli.

A questo, si aggiunge la presenza di ascensori e teletrasporti che portano il giocatore da una parte all’altra del pianeta, riducendo ulteriormente quella stucchevolezza percettiva che potrebbe palesarsi dopo la terza ora all’interno di un singolo bioma. Insomma, dando la possibilità al giocatore di schizzare da una parte all’altra del mondo di gioco quest’ultimo tramite piccole bricioline di quello che verrà, il giocatore è esposto a novità e premi ad ogni angolo, portandolo a volerne sempre di più anche dopo aver terminato una sessione di gioco.

Inoltre, anche la mappa stessa all’interno del menu di gioco è stata altamente migliorata, offrendo una panoramica visiva più leggibile, anche nei confronti del color coding delle varie porte e power up sparpagliate al suo interno, dando infine al giocatore la possibilità di segnare i punti d’interesse con dei semplici marker, riprendendo la funzione già apparsa in Metroid: Samus Returns su 3DS.

Orgoglio Nippo-Europeo

Personalmente non penso di poter dare una particolare opinione sull’aspetto tecnico di Metroid Dread o almeno non più approfondita di ciò che persone più esperte hanno già detto a riguardo. Sì, il gioco gira a 60 frame al secondo roccei (per la maggior parte del tempo). Sì, per essere un titolo del 2021 su Nintendo Switch è visivamente fantastico e Mercury Steam ha mostrato i suoi muscoli non solo per quanto riguarda la creazione degli elementi che fanno parte del loro art style, ma è anche riuscita ad impreziosire il tutto con piccoli dettagli e chicche in grado di rendere l’intera esperienza ancora più godibile.

La somma di tutto è un ottimo Metroidvania che sa di essere una bomba. Il titolo di Mercury Steam è letteralmente un flex assurdo del proprio percorso, riuscendo nell’impresa che non tutti i giochi rimasti per fin troppo tempo nel limbo del developement hell sono riusciti a compiere: essere un gioco divertente e completo, dall’inizio alla fine. Penso e sono sicuro che i prossimi anni saranno l’inizio di un periodo di riscatto per tutti i fan di Metroid, soprattutto se teniamo conto delle parole di Yoshio Sakamoto, producer del gioco e che di recente ha affermato che Dread non sarà l’ultima fermata del cammino 2D di Samus e che nuove avventure sono già all’orizzonte.

E se da un lato non vedo l’ora di riprendere i panni della cacciatrice spaziale, magari dopo qualche anno di rodaggio con altri titoli del genere, il progetto Nippo-Europeo di Dread passa la palla al continente stellato. Perché adesso, nel 35° Anniversario di Metroid e soprattutto dopo aver vissuto un’esperienza stellare come quella raccontata in questa sede, la domanda che balenerà a tutti nei prossimi mesi sarà: ma Prime 4?

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