Gira da ieri la notizia di una bambina uccisa dal fratellino durante una lite per un controller. Curiosamente la notizia è stata trattata da molti siti di videogiochi, questione che fa sorgere la domanda: perché?
Si tratta davvero di un problema legato ai videogiochi? O forse la questione è più complessa e affonda le radici altrove?
L’evento è avvenuto nel Mississipi, Monroe County, e ha visto una bambina di 13 anni perdere la vita per mano del fratello di 9, il quale si è servito di una pistola. La nozione che i videogiochi causino episodi di violenza viene spesso trattata dai media che facilmente puntano il dito e incolpano senza basi scientifiche.
Nel caso specifico c’è da chiedersi in primo luogo come un bambino così piccolo si sia potuto non solo procurare l’arma, ma anche premere il grilletto indisturbato. Non sarebbe dunque più corretto parlare di un caso di “bad parenting” invece che di violenza legata ai videogame?
Perché testate che coprono notizie sui videogiochi danno titoli sensazionalistici che ledono alla reputazione di un’attività altrimenti non nociva?
A mio avviso è chiaramente un autogol compiuto da alcuni nostri colleghi, che per acchiappare qualche click facile, anche da quelli che odiano i videogame, finiscono per alimentare un odio ingiustificato. È un po’ come se un giornalista sportivo incitasse alla cessazione delle manifestazioni sportive perché hanno visto spesso episodi di violenza.
Forse sarebbe ora di iniziare a trattare i problemi, tutti, nella loro complessità e smettere di trovare capri espiatori. Gli esseri umani erano violenti prima dei videogame, asociali prima degli smartphone e grassi prima dei fast food.