Vane è il primo lavoro della Friend & Foe Games, studio indipendente composto da alcuni veterani del settore dei videogiochi, che in passato hanno lavorato (tra le altre cose) alla serie Killzone ed a The Last Guardian. I 5 sviluppatori che compongono il team hanno deciso di allontanarsi dalla scena dei titoli tripla A per stabilirsi a Tokyo e seguire il proprio cuore dedicandosi a progetti che li appassionassero davvero.
Due sono le principali “muse ispiratrici” di Friend & Foe: da una parte i titoli di Fumito Ueda e del team ICO, dall’altra le opere di That Game Company, in particolare Journey.
Vane è, quindi, un progetto che ha “le giuste ispirazioni” e degli sviluppatori capaci ed appassionati: cosa potrebbe andare storto?
Un po’ tutto, purtroppo…
Le prime fasi di gioco di Vane sono le migliori e le più promettenti. Vestendo i panni di un corvo siamo liberi di esplorare un enorme paesaggio desertico, con lo scopo di individuare i luoghi di interesse che ci permetteranno di avanzare nell’avventura senza aiuti o indicatori “esterni”.
La scelta dei Friend & Foe di ridurre al minimo l’interfaccia ed i tutorial si rivela essere alquanto azzeccata in questi primi momenti. Per proseguire dobbiamo guardarci intorno e seguire gli indizi ambientali lasciati dagli sviluppatori per risolvere un primo enigma che, seppur banale, risulta piuttosto affascinante e coinvolgente proprio perché non guidato.
Già in questa prima sezione si possono, però, riscontrare alcuni tra i principali problemi di Vane: il sistema di controllo è poco reattivo, legnoso ed impreciso; la telecamera è a volte difficile da gestire e tende ad incastrarsi sotto al pavimento; la performance è tutt’altro che fluida ed a tratti estremamente scattosa.
E questi problemi non fanno che accentuarsi andando avanti nel gioco. Al termine del primo “atto” avremo acquisito la capacità di trasformare il nostro corvo in un bambino (interagendo con una misteriosa sostanza dorata). Se in forma di corvo era possibile prendere velocità ed attraversare le ampie aree di Vane con relativa facilità, la forma umana è lenta e decisamente inadatta all’esplorazione di questi luoghi mastodontici. L’esperienza risulta ancora più frustrante nel momento in cui il nostro bambino avrà più di un problema nelle collisioni con il pavimento, a volte cadendo addirittura al suo interno e costringendoci a ricaricare il punto di salvataggio precedente. Punto di salvataggio che, per qualche oscura ragione, è sempre posizionato all’inizio dell’atto: incappando in uno dei (frequenti) bug che ci impediscono di proseguire, bisognerà ricominciare il capitolo da capo.
Arrivati al terzo atto, il gioco introduce una nuova meccanica che rende la progressione ancora più lenta e frustrante. Ci chiede, nello specifico, di far rotolare un enorme e lentissimo masso per una mappa di notevoli dimensioni, con poche indicazioni sulla prossima meta e molti vicoli ciechi che ci costringeranno ad un backtracking a velocità di lumaca.
Possiamo dire, quindi, che se per i primi due capitoli Vane risulta comunque competente per quanto non particolarmente brillante, dal terzo capitolo in poi il titolo cade in pieno nella mediocrità. Gli enigmi si fanno, in prima istanza, estremamente banali per poi scomparire del tutto: al loro posto vi sono sezioni di svariati minuti in cui dobbiamo semplicemente camminare ed “assimilare” l’ambientazione e l’evolversi della storia.
Peccato che la storia sia per il 90% del gioco impenetrabile nella sua astrattezza, acquisendo di un minimo senso metaforico solo alla fine dell’avventura. Il termine della storia giunge in appena un paio di ore, proseguendo spediti ed evitando bug che potrebbero costringere a ricominciare interi capitoli da capo.
Le ambientazioni, d’altro canto, sono decisamente suggestive, ricostruite con uno stile “senza texture” che non detrae dall’indubbia qualità della direzione artistica. Anche le musiche sono all’altezza del comparto artistico, con brani synth che definiscono l’atmosfera ed accompagnano in maniera efficace l’azione.
In ultima analisi, Friend & Foe pare aver preso ispirazione dagli elementi più superficiali delle opere di That Game Company e del Team ICO.
Anche in Journey il gameplay risultava essere piuttosto semplicistico, gli enigmi basilari, ma il titolo aveva un sistema di movimento fluido e quantomai piacevole da utilizzare.
I giochi di Fumito Ueda presentano anch’essi architetture imponenti ed ambienti ricchi di “spazio negativo” (le lunghe cavalcate in Shadow of the Colossus ne sono un esempio). Questo negative space viene, però, utilizzato per spezzare il ritmo tra un’area di interesse e l’altra (tra un Colosso e l’altro nel caso di SotC). In Vane, di contro, lo spazio negativo costituisce la maggior parte dell’esperienza di gioco e manca, per di più, un modo per attraversarlo in maniera “divertente”.
Dispiace, perciò, “bocciare” un prodotto che è stato sviluppato “con il cuore”, e non rincorrendo logiche di mercato e mode, come accade troppo spesso ai giorni d’oggi. Ci sembra, però, doveroso constatare come Vane sia l’amara dimostrazione che non sempre un team competente che fa ciò che vuole, con le giuste ispirazioni, è in grado di creare un prodotto all’altezza…