I finlandesi di Remedy Entertainment tornano sulla scena con una nuova produzione di alto livello. Dopo Quantum Break, la software house ha stretto una collaborazione con i distributori italiani di 505 Games ed ha realizzato Control. Abbandonati gli esperimenti crossmediali, Remedy ha puntato ad un titolo più “classico” ma con un suo cuore ed una sua identità ben definita. Quindi, niente serie TV da intervallare, anche se comunque i filmati all’interno del gioco non mancano di certo. Preparatevi bene, perché Control non si risparmierà, ed entrate insieme a noi all’FBC.
Il gioco si apre con Jesse, la protagonista e nostra alter ego, che arriva alla sede del Federal Bureau of Control (FBC), organizzazione governativa segreta dedita alla cattura, al contenimento e alla ricerca di oggetti e fenomeni paranaturali/paranormali e ambientazione principale in cui si sviluppa il gioco. L’edificio in cui ha sede l’agenzia, chiamato Oldest House, è in bella vista a New York ma ha alcuni poteri particolari: se non vuole essere visto, non lo noti; è come il Tardis, più grande di quanto appaia all’esterno, ma giusto un po’. Sembra tutto strano ma vi sarà più chiaro proseguendo con la lettura. La società opera in tutto il mondo con l’obiettivo di scoprire e mappare tutte le potenziali minacce sovrannaturali e ottenere armi e potere sufficienti a contrastarle o controllarle. Sulla carta l’obiettivo sembra a fin di bene ma c’è sotto del marcio, come in ogni buona agenzia segreta piena di burocrazia che si rispetti.
Una volta arrivati nella stanza del direttore lo troviamo morto, con una strana pistola di fianco. La protagonista, dopo averla raccolta, comincia ad aver contatti con un misterioso Consiglio, risiedente sul Piano Astrale, una dimensione bianca composta di blocchi di materiale nero che mi ha (molto lontanamente) ricordato come conformazione la Foresta Infinita di Destiny 2, che le da l’incarico di “Direttore” dell’FBC. Come primo giorno di lavoro non è sicuramente uno dei migliori, soprattutto se non si era nemmeno entrati con quell’intento ma con l’obiettivo di fare alcune domande scomode. In breve facciamo la conoscenza degli Hiss, entità che hanno preso il controllo dell’agenzia e che, appunto, sussurrano una continua cantilena nelle nostre orecchie (da hiss, sibilo) in grado di soggiogare chiunque non sia dotato di un sistema difensivo e, a quanto pare, Jesse. Proseguendo con la storia principale scopriamo sempre più informazioni sul luogo in cui ci troviamo e sul passato, anch’esso oscuro, della nostra protagonista.
Una cosa che mi ha colpito positivamente di Control è il tipo di narrazione adottato e c’è anche da aspettarselo essendo un gioco di Remedy, già ben rodati da questo punto di vista. Tutto viene visto, chiaramente, dagli occhi della protagonista di cui sentiamo anche i pensieri e che non smette mai di porsi domande sulla Oldest House e sulle persone che incontriamo man mano, aumentando spesso i nostri dubbi e certezze. Tranquilli, avrete le vostre risposte. Questo rimuginare continuo accentua tutto il clima sovrannaturale e distorto in cui siamo calati, con persone mai viste prima che accettano subito il nostro ruolo di Direttore senza porre la benché minima domanda a riguardo ed una continua voglia di sapere che cosa stia succedendo veramente in questa strana struttura. Se a ciò aggiungiamo pure degli effetti sonori ben realizzati e delle ambientazioni spesso scure e tendenti all’horror, il quadro è completo. Sarà che io son pure “sensibile” (eufemismo per dire “me fa paura tutto”) ma in certe situazioni avevo un’ansia addosso incredibile. Per fortuna non si scade mai nel banalissimo ed oramai abusato jumpscare. Tutto il gioco è ben doppiato anche se, purtroppo, la qualità lascia un po’ a desiderare. Non tanto le voci quanto la registrazione vera e propria, non è mai chiara ed ha continui riverberi ed una scarsa qualità in generale. Una cosa riscontrata anche nei modelli dei personaggi che, seppur perfettamente realizzati, peccano spesso di espressività e con un movimento della bocca poco realistico.
Il gameplay, come da tradizione per la software house, è solido pur non introducendo nulla di rivoluzionario o sconvolgente per il genere di appartenenza, ma non era questo il loro obiettivo. Le sparatorie sono divertenti e caotiche quanto basta con la loro combinazione tra “le armi” principali e l’abilità di lancio. Il loop del gioco, dopo poche ore, è presto chiaro: arriva in luogo X, parla con persona Y, completa la missione, torna all’HUB, ricomincia. Tutto condito da una serie di enigmi dalla risoluzione alquanto semplice e che non mi hanno mai tenuto bloccato per più di una decina di minuti. Ho trovato più complesso analizzare la mappa che, avanzando con la trama e scoprendo nuovi posti, si riempie di nomi e che non è possibile zoomare in modo da essere meglio esaminata. L’Arma di Servizio, questo il suo nome, in dotazione alla nostra Jesse, nel corso del gioco, acquisisce la possibilità di trasformarsi man mano in modi diversi, anche se è consentito l’utilizzo contemporaneo solo di due forme diverse. Tramite la pressione di un tasto possiamo sparare come fosse una semplice pistola per poi trasformarla in un fucile a pompa per poi ancora trasformarla in una mitraglietta oppure in una sorta di railgun, senza mai ricaricare. Non sono infatti presenti munizioni all’interno del gioco, sostituite da quello che è a tutti gli effetti un classico sistema di riscaldamento/raffreddamento dell’arma. Alle trasformazioni possono poi essere applicate delle mod che migliorano danni, velocità di ricarica e molto altro.
Queste mod possono essere applicate anche a noi stessi, con conseguenti miglioramenti a statistiche e abilità. Oltre a trovarle addosso ai nemici o all’interno di casse, possono essere create tramite un semplice sistema di crafting, con il quale si generano anche le altre forme dell’arma a dei costi leggermente esosi, che richiedono quindi una analisi certosina all’interno dei vari ambienti, alla ricerca della cassa nascosta contenente proprio l’ultimo pezzo di materiale di cui abbiamo bisogno. La nostra Jesse è anche dotata di poteri paranormali, a cui se ne aggiungono altri durante il gioco tramite la ricerca degli Oggetti di Potere (OP). Sono oggetti comuni infusi di energia paranaturale e che è possibile utilizzare a nostro vantaggio, a differenza di altri che diventano instabili e pericolosi. La stessa Oldest House è un immenso OP, ed ecco spiegate le sue particolarità e il fatto che la fisica, al suo interno, abbia delle regole tutte sue. I poteri servono, come da buon metroidvania, ad avanzare in aree apparentemente irraggiungibili. La mappa di gioco è piuttosto estesa e le zone sono perfettamente interconnesse. Quasi sempre ci troviamo all’interno di strutture grigie ed imponenti che trasmettono una continua sensazione di oppressione anche in presenza di tetti altissimi o ambientazioni apparentemente di ampio respiro. Ogni pixel della Oldest House è realizzato per inquietare il giocatore, e riesce a diffondere una continua sensazione di pesantezza e claustrofobia. Non mancano comunque luoghi completamente diversi e dissonanti con quanto visto magari pochi passi prima, ma siamo in una struttura in cui ogni legge fisica è demolita: c’è da aspettarselo. Buona parte della mappa è opzionale e sta a noi esplorarla liberamente in modo da cercare svariate missioni secondarie, a cui si aggiungono anche delle sfide che vanno sia prese che consegnate nei Punti di Controllo, checkpoint tra cui è possibile effettuare spostamenti rapidi o cambiare l’outfit della protagonista, a patto che se ne siano ottenuti altri ovviamente. State sereni, non si parla di microtransazioni: li ottenete tramite missioni in-game.
Remedy, durante la campagna marketing, ha posto molta attenzione al reparto tecnico di Control ed all’uso del Ray-Tracing, tecnologia in grado di donare un aspetto incredibilmente realistico alle architetture brutaliste del gioco, grazie anche all’utilizzo del motore della software house, lo splendido Northlight Engine che, appunto, mira al realismo cinematografico. Ho giocato con una RTX 2080 e un i5-6600, in 4K e tutto ad ultra, e purtroppo la stabilità non era il massimo a causa del processore, al di sotto dei requisiti raccomandati e che soffriva tantissimo in presenza di voli o coinvolgimenti della fisica del gioco. In compenso, proprio durante la fase di recensione, ho effettuato un upgrade ad un processore ben al di sopra dei requisiti raccomandati e i problemi, ovviamente, sono stati totalmente risolti. Il titolo risulta comunque essere ottimizzato molto bene, i cali di frame apparivano solo in contesti frenetici e con davvero troppi elementi a schermo.
Una grande attenzione a storia ed ambientazioni rendono Control un titolo che vale la pena di essere giocato da chiunque cerchi una storia intrigante e con vari colpi di scena, che vi saprà tenere incollati e ben attenti fino alla fine. La longevità si assesta sulla decina di ore per il completamento della storia principale. Questo senza fare praticamente nulla di quanto proposto, evitando di visitare luoghi opzionali e senza fare alcuna missione secondaria. Per un completamento effettivo del gioco credo che la cifra raddoppi tranquillamente, andando anche oltre le venti ore. A questo aggiungete pure un gameplay divertente e scorrevole e il gioco è fatto. Remedy non si è voluta sbilanciare troppo nella realizzazione del gioco ed ha puntato sugli elementi in cui è più forte ma non per questo è da svalutare o da definire come mero “compitino”. Poco più in basso trovate la gallery di screenshots realizzati durante la recensione. Se volete dare un’occhiata alle immagini in 4K, date un’occhiate al seguente link.
Nota – Il gioco è stato eseguito sulla seguente configurazione:
- Scheda madre h170pro4s/Gigabyte Z390 AORUS PRO
- Intel Core i5-6600/Intel Core i7-9700K
- 16GB DDR4 2133mhz Corsair Vengeance
- WD Blue 1TB
- Alimentatore EVGA 650GQ 80+ Gold
- Gigabyte G1 2080 8gb
- Dissipatore Noctua nuh-d14
- SSD samsung 256 GB