Untitled Goose Game è per me un gioco molto personale: a dodici anni ero in gita al Bioparco e un’oca mi ha mangiato il tramezzino che avevo portato per pranzo. Tutto in un boccone. Animali infidi e malvagi, come noto nelle regioni di centro Italia, dove l’ocarone – ovvero il maschio dell’oca – viene temuto e cucinato per vendetta a Ferragosto. Untitled Goose Game incarna perfettamente perciò la cattiva ochitudine, mettendoci nei panni di un pennuto particolarmente industrioso, che ha come scopo di vita l’infastidire i poveri passanti che incrocia.
Nonostante la sua grande capacità di progettare piani malefici, la nostra oca possiede solamente quattro abilità: può correre, abbassarsi, starnazzare a ali spiegate o raccogliere oggetti. Un set di azioni più che sufficiente, che rende possibile una grande varietà di malefatte. In Untitled Goose Game ci spostiamo da una zona all’altra di un ridente paesino, e in ogni anfratto compare una lista di obiettivi da portare a termine. Tutte cosine deliziose, come chiudere un’anziana in un garage, rubare cibo o far cadere a terra persone. La maggioranza di queste attività è facile e intuitiva, e non c’è bisogno di tramare troppo per comprendere come comportarsi, mentre altre azioni richiedono un certo ingegno e un organizzazione. Dobbiamo spesso entrare in modalità stealth tra i cespugli o sotto i tavoli, o cercare bene in giro per trovare oggetti a noi ambiti. Maledetto spazzolino da denti, dove sei?
Una volta raggiunti gli obiettivi, ne compare uno “finale”, che se portato a termine consente di accedere a una zona successiva. La nostra malvagità non ha limiti di quartiere. Nonostante il tutto sia innegabilmente divertente, Untitled Goose Game ha i limiti tipici del piccolo progetto, in primis la brevità del gioco: si finisce in circa due ore. Ci sono in effetti solo quattro o cinque zone da esplorare, mentre sarebbe stato bello poter far danni nell’intera città. Davvero, all’apparire dei titoli di coda ci si rimane male: si spera sempre di poter combinare qualcosa di peggiore alla vittima successiva. La breve durata consente però al contempo di non annoiarsi troppo del gameplay, che forse tirato alla lunga diventerebbe tedioso e ripetitivo. Esiste comunque una sorta di “post game” in cui appare una lista di attività aggiuntive, alcune delle quali sono dei veri e propri time trial. Per pennuti perfezionisti.
Lo stile grafico di Untitled Goose Game è minimal a dir poco: le figure sono tutte estremamente semplici e le animazioni un po’ rozze. Mi ricordano un po’ i miei tentativi col disegno vettoriale su Photoshop nei primi anni 2000: che nostalgia. Ciò nonostante, ci si affeziona facilmente all’oca protagonista e ai suoi “nemici”, che riescono a esprimere bene frustrazione e rabbia anche senza sfumature e ombre, sono emozioni piuttosto facili da leggere. C’è qualche problema anche di compenetrazione degli oggetti e qualche piccolo glitch: una volta mi sono teletrasportata al di là di una staccionata. Non è un vero problema, però, anche perché il 90% del divertimento del titolo è – letteralmente- fare caciara e trottare tra i piedi dei poveri umani coinvolti. La soundtrack è altrettanto basic, con un paio di canzoncine rilassanti e bucoliche. Ma con un magnifico starnazzare.
Col senno di poi, da Untitled Goose Game non potevo davvero aspettarmi di più. Mi ha divertita e intrattenuta a dovere, senza costringermi a pensare e concentrarmi troppo sul gameplay. Certo, visto quanto il gioco sia divenuto un fenomeno di costume, con meme e battute diffuse ovunque, era lecito sperare in una durata maggiore con ancora più elementi bizzarri, ma si può sempre attendere un sequel con ansia.