A più di cento anni dalla sua pubblicazione, Il Richiamo della Foresta – primo romanzo breve di Jack London – continua ad essere rilevante nel panorama culturale americano, tanto che dopo innumerevoli trasposizioni ufficiose e tre ufficiali, arriva su schermo la versione di Chris Sanders (regista di Dragon Trainer), dal titolo omonimo e adattata per un pubblico più giovane.
Il cane Buck, un grosso ibrido St. Bernard/Scotch Collie molto giocoso e “viziato”, vive in California nella casa lussuosa di un magistrato (Bradley Whitford). Una notte il giardiniere di famiglia approfitta della sua confidenza con Buck per rapirlo e venderlo: è appena scoppiata la corsa all’oro nel Klondike e i cani da slitta sono merce preziosa. Durante il viaggio Buck impara la legge del bastone per mano di un crudele con un maglione rosso (Dan Stevens), per poi essere venduto a due postini canadesi (Omar Sy e Cara Gee). Qui nasce la sua rivalità col capobranco Spitz, un husky aggressivo che non vede di buon occhio il nuovo arrivato. Buck comincia anche a vedere manifestazioni dei suoi istinti “personificati” in un grande lupo nero, che gradualmente lo spingerà ad abbracciare la sua vera natura. Dopo aver sconfitto (nel libro ucciso) Spitz in combattimento, un ennesimo cambio di proprietario vede Buck incrociare la strada di John Thornton (Harrison Ford), e a questo punto inizia la vera avventura dei due, che che si imbarcano alla ricerca di un filone d’oro non segnato sulle mappe, e troveranno sé stessi (sic.)
Questa versione del richiamo della foresta è chiaramente indirizzata alle famiglie, e la regia riflette questo scopo: tagli continui, narrazione lineare e il fatto che tutti gli eventi più crudi accadano fuori schermo. I paesaggi sono ricostruiti quasi interamente in CGI, ma è comunque un peccato non avere qualche secondo in più per gustarseli: ogni scorcio delle foreste del nord o delle distese innevate non dura più di pochi secondi, rendendole più una necessita di montaggio che una vera scelta estetica. Anche gli animali sono resi in computer grafica, primo tra tutti Buck, basato sulla motion capture di Terry Notary (coreografo, attore e stuntman nato come acrobata nel Cirque du Soleil), e renderizzato in postproduzione. Questa scelta ha permesso al protagonista canino di esprimere un vasto range di emozioni, ma vederlo insieme ad attori in carne ed ossa a volte può minare la sospensione dell’incredulità. Non si arriva mai all’effetto “Scooby Doo”, fortunatamente, ma alcune interazioni sembrano finte: specialmente in presenza di luce morbida o diffusa le ombre non convincono del tutto, e quando si toccano due animali è difficile capire dove ci sia effettivamente il contatto. La resa generale è tirata su da scelte di illuminazione complementari ai limiti della CGI, quindi nelle scene con poche e altamente direzionate sorgenti luminose, o in condizioni di scarsa visibilità.
Le performance sono tutte buone, Harris Ford sembra quasi un Han in pensione alle prese con un altro amico peloso; il cattivone pare uscito da Pocahontas, ma rimane abbastanza intimidatorio, specie per chi non è un fan degli abusi su animali. Degno di nota anche Omar Sy, che continua a dare ottime interpretazioni dal suo big break in “Quasi Amici”.
Chiunque abbia letto Il romanzo noterà innumerevoli differenze tra questo e la sceneggiatura: come nel film del ’34 con Clark Gable, qui la prospettiva non è unicamente fornita dalla mente animale di Buck, ma il fulcro è spostato sul rapporto tra lui e Thornton, che nel romanzo ha un ruolo decisamente minore. Altro cambiamento che non si può non notare è nel tono generale dell’opera: Il richiamo della foresta era una sorta di celebrazione del primitivismo, il suo successo fu dovuto anche al desiderio di un ritorno alle origini nell’America industrializzata; questa versione conserva lo spirito selvaggio di Buck che lo porterà a vivere coi lupi, ma il setting è stato ripulito ed edulcorato. E se molte divergenze dal testo sono più che giustificate, nessuno tirerebbe fuori un soldo per un film in cui il cane protagonista diventa un cacciatore di indiani per vendicare il suo defunto padrone, altre sono dettate semplicemente dalla target audience scelta. Il risultato è che dello spirito dell’originale rimane ben poco, per darci quello che in sostanza è un buddy movie sul rapporto tra uomo e animale. Un film che potrà sicuramente essere apprezzato dai più piccoli, ma è un peccato vedere un altro adattamento non riuscire a catturare la vera essenza primitiva del richiamo della foresta.