Partiamo dal presupposto che chi vi scrive di Kunai non è un fan dei giochi definibili come “metroidvania”. Si, nella mia carriera da videogiocatore ho affrontato le più disparate avventure legate al genere, ma ultimamente, soprattutto nell’ultimo paio d’anni, il fascino di questo tipo di esperienza non mi ha più entusiasmato come una volta. Basti pensare che avrò probabilmente sulla coscienza l’onta indelebile di aver iniziato, senza mai terminarlo, Hollow Knight. Vi sono infatti alcune meccaniche in questa tipologia di opere che mal si sposano con il mio orientamento videoludico attuale. Proseguendo nella recensione capirete anche voi il motivo di questa prolissa, quanto doverosa, premessa.
Kunai è un titolo sviluppato da un gruppo formato da tre ragazzi, conosciuti insieme come Turtle Blaze. Distribuito lo scorso 6 febbraio su Steam e Nintendo Switch, ha avuto i riflettori puntati su di sé grazie al Nindies Showcase organizzato lo scorso mese dalla Società giapponese con sede a Kyoto.
Di cosa parla Kunai? Ma che ce ne importa!
La storia narrata in Kunai mette il videogiocatore nei panni di Tabby, un essere robotico il cui viso richiama non velatamente le forme di un tablet. Il nostro alter-ego, dormiente nel corso di tutto l’incipit narrativo, viene attivato dalla resistenza robotica per combattere la guerra contro l’esercito dei computer cattivi. Ecco, a descriverla in questa maniera la storia potrebbe sembrare un tantino sempliciotta, e di fatto lo è: ci ritroviamo in una ambientazione post apocalittica nella quale le intelligenze artificiali, prendendo il sopravvento, hanno sterminato completamente la razza umana; in questo scenario vi sono però alcuni esseri cibernetici dotati di una certa coscienza e in lotta quindi per la liberazione dalle forze malvagie. Il nostro compito è dunque quello di vestire i panni dell’eroe, il che generalmente significa fare tutto da soli.
Tutto quello che Kunai perde dal punto di vista narrativo, guadagna però nello stile. Generalmente le ambientazioni e la palette di colori utilizzate risultano essere davvero piacevoli, ma sono alcuni dettagli, come gli effetti grafici nel corso delle lotte e le piccole scene di intermezzo semi-animate tra uno scontro e l’altro, a garantire un’immersività davvero notevole all’opera nella sua completezza. Il design dei personaggi risulta essere accattivante sia per quanto riguarda il protagonista e i suoi alleati, sia per l’esercito di computer ostili. La varietà dei nemici comuni è soddisfacente, ma è quando entrano in scena i boss che la direzione artistica adottata dagli sviluppatori riesce ad emergere in tutto il suo splendore. Ogni singolo boss è di fatto diverso dagli altri sotto ogni dettaglio, sia l’aspetto estetico, sia che si parli delle meccaniche.
A conti fatti dunque l’impatto deludente della presentazione del gioco, poco ispirata e chiaramente solo un pretesto per menare le mani, viene completamente neutralizzato già dopo pochi minuti all’interno del mondo di gioco, vario e sempre caratteristico, ideato dai ragazzi di Turtle Blaze.
Prendere il controllo di Tabby è stata un’esperienza davvero piacevole. Di per se il sistema di movimento e di salto non risulta essere particolarmente responsivo e preciso. Anzi, almeno inizialmente potreste avere difficoltà ad affrontare salti particolarmente ostici. Il gioco cambia faccia quando ci viene data la possibilità di utilizzare, già dopo pochi minuti in realtà, gli attrezzi del mestiere: i kunai per l’appunto. All’interno del gioco i nostri kunai non vengono utilizzati come un arma, ma bensì come dei rampini. Grazie a questa scelta di design, il nostro personaggio si muove all’interno della mappa come se fosse grado di sparare ragnatele. Tranne che su alcune pareti, appositamente contraddistinte da una texture lucida, Tabby è in grado di dondolarsi su qualsiasi superficie, rendendo gli spostamenti rapidi, tecnici e davvero molto divertenti. Il sistema di movimento va inoltre a braccetto con un combat system efficace, anche se non molto stratificato.
Inizialmente il giocatore è munito di una semplice katana, la quale funge da arma primaria per tutto l’arco dell’avventura. A tale strumento vanno inoltre aggiunti tutti i successivi equipaggiamenti, i quali fungono anche da effettivo power up per le possibilità di esplorazione del mondo di gioco. I mitragliatori, ad esempio, oltre ad essere delle armi davvero potenti (anche se poco precise) ci permettono di fluttuare in aria per tutta la durata del caricatore, grazie al rinculo ottenuto sparando verso i piedi del nostro protagonista. Tale meccanica ci permette dunque di superare spazi troppo ampi per essere coperti con un semplice doppio salto. Come facilmente intuibile dal lettore, il tema metroidvania trova risalto proprio grazie a questa struttura di equipaggiamento dalla duplice funzione combattimento/esplorazione. Quasi ogni location pensata dai creatori del gioco mette nelle mani del giocatore un nuova funzione del nostro Tabby tramite l’ottenimento di nuovi strumenti. Grazie ad esse si è quindi in grado di superare un determinato ostacolo che non permette il proseguimento dell’avventura.
Malgrado la definizione e la descrizione all’interno del quale Kunai è stato rappresentato fino a questo punto, il gioco risulta essere atipico nei canoni del suo genere. A discapito di un mondo sufficientemente ampio vi è una netta linearità nell’esplorazione degli ambienti ed un backtracking che, se pur presente, non invoglia il giocatore a tornare sui suoi passi per esplorare e trovare segreti o collezionabili facoltativi. A questo va inoltre aggiunta la presenza di una mappa di gioco consultabile davvero dettagliata: talmente tanto dettagliata da far in modo che le situazioni in cui il giocatore si ritrova spaesato e senza una precisa meta, scenario tipico dei titoli di questo stampo, si possano contare sulla punta delle dita. Tutto questo nel suo complesso comporta si che Kunai si ritrovi ad essere un’esperienza non prettamente classica nei termini del suo genere di appartenenza, ma anche decisamente più accessibile, più rapida e meno impegnativa.
Ad aggiungere un po’ di pepe ci pensano gli scontri con i boss. Probabilmente si tratta dell’aspetto meglio riuscito di tutta la produzione: ogni bossfight risulta essere non solo davvero diversa dalle precedenti come già anticipato, ma anche equilibrata ottimamente rispetto alla curva di apprendimento del giocatore. Alcuni degli scontri finali risultano infatti davvero ostici, mentre i primi fungono quasi da tutorial. A questo perfetto bilanciamento va ad aggregarsi una magistrale tempistica delle battaglie: alcune sono tatticamente collocate per far apprendere all’utente l’utilizzo al meglio delle possibilità di un nuovo strumento,altre sono invece capaci di smorzare i ritmi di un’esplorazione protesa per troppo tempo o, al contrario, rappresentare il culmine di una scalata (neanche troppo figurata in un preciso caso) verso la conclusione di un ambiente particolarmente ostico ed intricato.
Tecnicamente il gioco scorre fluido per tutte le circa 6/7 ore necessarie per portare a compimento la storia senza stare a perdere troppo tempo in esplorazione superflua. La versione Steam di Kunai si è dimostrata stabile ed in grado di gestire in maniera egregia anche le situazioni più concitate. L’azione si mostra sempre in maniera chiara e pulita nell’immagine. Stiamo ovviamente parlando di una produzione indipendente a bassissimo budget: non aspettatevi quindi di trovarvi di fronte a chissà quale menù dei settaggi grafici. Al netto dunque di una direzione artistica e stilistica nettamente sopra la media, il comparto grafico non particolarmente dettagliato raggiunge la sufficienza grazie al lavoro di ottimizzazione riscontrato nel corso della nostra prova.
Medesimo discorso per la composizione sonora, la quale accompagna il giocatore con motivetti mai fastidiosi e ben riconoscibili. Le musiche sono capaci inoltre regalare anche un certo senso di pathos nel corso dei passaggi più importanti all’interno della, seppur semplice, narrativa offerta dagli sviluppatori.
Menzione infine per i collezionabili, unico vero e proprio motivo di esplorazione al di fuori dei binari predisposti dai creatori del gioco. Tabby può essere personalizzato con tutta una serie di oggetti applicabili al suo volto. Non aspettatevi che le possibilità di personalizzazione siano particolarmente ampie, ma vi assicuro che affrontare un temibile nemico equipaggiati con gli occhiali dello zarro di quartiere ha saputo strappare al sottoscritto non pochi sorrisi. Inoltre va anche evidenziato come la animazioni, facciali e non, del nostro protagonista riescano ad essere sempre azzeccate rispetto a quanto accade a schermo e, soprattutto, visivamente ben riuscite.
Genericamente parlando, Kunai è un titolo sufficiente. Credo però che lo scopo ultimo che si intraprende con una recensione sia quello di saper consigliare (o sconsigliare a seconda dei casi) un determinato prodotto ad un tipo di utenza di riferimento. Qual è quindi il giusto giocatore, nonché potenziale acquirente, di un titolo simile?
La risposta è molto semplice: io.
All’inizio di questa lettura ho fatto una premessa tanto chiara quanto lapidale. Non riesco a portare a compimento qualsiasi titolo di stampo metroidvaniesco in questo momento della mia vita. Affrontare il gioco in questione è stata invece un’esperienza per me molto positiva. Quasi naturale, aggiungerei; molto lontano dunque dal concetto di sforzarsi per portare a termine un lavoro affidato.
Kunai non propone niente di nuovo per chi mastica il genere da tanti anni. Vi sono alternative sul mercato meglio rifinite, più profonde nella loro giocabilità o semplicemente più belle da vedere. L’opera di questi tre ragazzi però ha reso possibile giocare a questa tipologia di videogioco senza doversi perdere obbligatoriamente in decine di ore per il raggiungimento di un determinato obiettivo o a esser chiamati ad usare tutta la materia grigia di cui si dispone per uscire da un labirinto di cunicoli e vicoli ciechi. Kunai è lineare senza dare la sensazione di esserlo; è breve ma davvero molto intenso.
Kunai è il titolo pensato e sviluppato per chi non ha tempo e voglia di dedicarsi all’impegno che il genere a cui appartiene solitamente comporta ma del quale, allo stesso tempo, ne sente estremamente bisogno.