Dal primo momento in cui ho letto la descrizione dell’esperienza che A Long Way Down voleva fornire, un pugno di nostalgia mi ha colpito dritto alla bocca dello stomaco.“Un Rogue-like basato sulla costruzione di un mazzo di carte, con combattimento a turni” Un’avventura. Con delle carte. Combattimento a turni.

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Dragon Ball Z Legendary Super Warriors: chi si ricorda questo gioco per GameBoy Color? Solo io probabilmente, ma da bambino ci ho perso ore, anche perché non era facilissimo. Così, carico di ricordi, mi sono buttato in A Long Way Down. Il gioco è realizzato da una casa francese, Seenapsis games, e va detto che è ancora disponibile solo in accesso anticipato, anche se molto vicino ad una versione definitiva.

Storia

La trama del gioco, assolutamente secondaria, è semplice. Il protagonista, Sam, è morto e deve attraversare l’aldilà per salvare la propria anima. Viene guidato da una divinità della morte e osteggiato da un crudele Dungeon Master. Durante la sua avventura incontra altre anime perdute che lo aiutano nel suo cammino.

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Come si gioca?

Il gameplay di A Long Way Down è diviso in due parti: Il Labirinto e i combattimenti. Nella prima dobbiamo costruirci la nostra via attraverso un dungeon, piazzando e modificando caselle. In questa fase possiamo così decidere se andare dritti al nostro obbiettivo, esplorare il dungeon alla ricerca di equipaggiamento oppure costruire barriere contro i mostri che tentano di attaccarci. A rendere le operazioni più complesse ci pensa il malvagio Dungeon Master, che ruba le nostre caselle usandole contro di noi. Una volta raggiunti dai mostri, siamo costretti a combattere, e qui entrano in gioco le carte: il nostro protagonista e i vari amici che trova per la sua strada, possiedono un mazzo di carte che permette loro di lanciare attacchi e magie di vario tipo. Il combattimento è a turni con un sistema di punti azione. Carte più deboli usano meno punti, carte più forti potrebbero anche richiedere un’intero turno per essere giocate.

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Questo scheletro di gameplay è arricchito da un classico sistema elementale, che assegna a buona parte delle carte un elemento diverso (acqua, terra, aria, elettricità, fuoco) che interagisce con gli avversari ma anche con il nostro equipaggiamento. Sia le carte che le armi e le armature possono essere potenziate tramite la Polvere, che otteniamo sconfiggendo mostri. Perdere è molto facile in tutte le fasi di gioco. In quella di combattimento ovviamente basta finire i propri punti vita, mentre in quella del Labirinto finire le caselle equivale a una sconfitta. Essendo un Rogue like non si può salvare a metà livello, e una sconfitta significa perciò ricominciare l’intero dungeon.

Idea buona, realizzazione meno

Inizialmente, durante il tutorial e il primo livello, pensavo che tutta questa profondità di gameplay fosse eccessiva. Le armi e le carte del protagonista sembravano abbastanza forti per ignorare tutto il sistema di potenziamento e di elementi. Mi sbagliavo di grosso: già il secondo livello, Marinette’s Wallow, si è dimostrato ostico anche negli scontri con il nemici più comuni. Sono stato costretto a pensare strategicamente sia nella fase di potenziamento tra le partite sia nella fase del labirinto. Ci sono voluti diversi tentativi per arrivare in fondo, e la curva di apprendimento non è stata affatto clemente. Dal secondo livello il gioco però inizia anche a diventare frustrante. La fase del labirinto è ripetitiva, punisce in maniera eccessiva anche la minima disattenzione nel piazzamento delle caselle e costringe spesso a rinunciare per l’impossibilità di proseguire.

Il gioco è avaro di premi in caso di sconfitta, il che rende difficile esplorare la profondità di gameplay. Rigiocare i dungeon non è divertente, e quindi anche il farming diventa un fastidio.

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Dal punto di vista tecnico, la grafica non incontra particolarmente i miei gusti, ma non è nemmeno definibile brutta. È uno stile 2D dai toni cupi, i personaggi sono spigolosi e sicuramente riconoscibili. Sono presenti inoltre alcune imperfezioni tipiche di un gioco in accesso anticipato, come il posizionamento impreciso delle linee di dialogo che finiscono per essere coperte dagli avatar dei personaggi che parlano. Un fastidio non insormontabile, che verrà sicuramente corretto a breve.

A long way down è un gioco sicuramente ancora incompleto. Parte da premesse potenzialmente divertenti e anche innovative sotto certi punti di vista. Costruire la propria via invece di “subire” un dungeon è una buona idea, e le carte permettono un gameplay profondo e sfaccettato. Ma al momento su queste premesse è stato costruito poco: il gioco finisce presto per essere ripetitivo e non stimola il giocatore ad esplorarne le possibilità. Siamo lontanissimi dalle vette raggiunte dal gioco che gli sviluppatori hanno indicato come fonte di ispirazione, Darkest Dungeon.

La nostalgia insomma mi ha ingannato un’altra volta. Volevo provare ancora il divertimento misto a frustrazione che Dragon Ball Z Legendary Super Warriors riusciva a creare, ma sono rimasto abbastanza deluso. Ora scusate, devo andare a soffiare in una cartuccia del Game Boy.