Un calmo paesaggio collinare. Le prime luci dell’alba in una cittadina immersa nel silenzio. L’urlo improvviso di un infetto urlatore a squarciare lo strano velo di quiete… e la grossa portiera di un furgone blindato che lo travolge e lo zittisce. Benvenuti in State of Decay 2.
Il genuino “simulatore di Rick Grimes”, sviluppato da Undead Labs e pubblicato da Microsoft (che ci ha fornito la copia review), approda su Steam con la sua corpulenta “Juggernaut Edition”. Abbiamo davanti la migliore apocalisse zombie di sempre?
“Prima si fa, meglio si sta”
Le premesse di State of Decay 2 sono piuttosto semplici: gran parte della popolazione è ormai trasformata in non morti senza cervello, interessata solamente a cibarsi dei pochi esseri umani rimasti in vita. La società moderna non esiste più e i sopravvissuti si sono radunati in piccole e sparute comunità che provano ad andare avanti giorno per giorno, cercando di resistere alla minaccia dei “putridi” e dei gruppi di persone meno amichevoli. Il titolo di Undead Labs si presenta fondamentalmente come un gestionale: la nostra comunità ha infatti bisogno di una base stabile che va arricchita con strutture utili a produrre cibo, curare i feriti e sopperire ai bisogni secondari come armi e carburante, comunque fondamentali in una situazione di tale necessità. Nonostante tutto il sistema poggi su fondamenta piuttosto semplici e basilari, questo non manca di profondità e le opzioni di personalizzazione della base sono molteplici e capaci di rispondere in maniera specifica al tipo di approccio scelto per la partita. Il gioco infatti lascia ampia libertà al giocatore su come renderla più efficiente, presentando un menu con schermate intuitive e senza mai risultare troppo tedioso nelle spiegazioni di ogni singolo oggetto o struttura.
La nostra base ha però bisogno di approvvigionamenti continui per funzionare e qui entra in gioco il lato più action e survival del titolo: dopo un breve tutorial e lo stabilimento nella nostra primissima sede, siamo chiamati in prima persona (o sarebbe meglio dire in terza) ad armarci come meglio possiamo e partire in cerca di risorse, prendendo il controllo di uno qualsiasi dei membri della nostra comunità. Ognuno di questi ha le sue caratteristiche peculiari e le sue inclinazioni caratteriali, che li portano ad essere più efficienti in determinate azioni e meno in altre. Queste qualità vengono presentate sotto forma di perk migliorabili semplicemente compiendo attività correlate e possono evolvere in specializzazioni che permettono poi di fornire ulteriori strutture alla nostra base. Alcune di esse richiedono infatti la presenza di un membro con determinate competenze, anche solo per essere costruite. È quindi nostra cura tenere al sicuro medici ed ingegneri e scegliere i migliori uomini e donne d’azione per effettuare le nostre scorribande. Queste compongono senz’altro la parte più divertente di tutta l’esperienza, permettendoci di massacrare orde di non morti mentre siamo alla ricerca di risorse utili per la nostra comune. I combattimenti sono piuttosto ben fatti, sia per quanto riguarda quelli con arma da mischia che per quelli con arma da fuoco e il feedback generale è piuttosto soddisfacente in un titolo che non si risparmia in fatto di violenza ed effetti cruenti. Che si affronti un’orda a viso aperto e armati di sola katana o si decida di fare a pezzettini un colosso con fucili e granate, il risultato non cambia e ripulire il mondo dall’infezione risulta sempre molto divertente, con la ciliegina sulla torta rappresentata dalle spettacolari “finisher” eseguibili in furtività o su un bersaglio atterrato.
L’intrattenimento, tuttavia, non trascende dal fatto che ogni azione vada pianificata attentamente: trovarsi in mezzo a un capannello di non morti, disarmati e lontani dalla base, può creare diversi grattacapi e portare, nei casi più estremi, alla morte del personaggio sotto il nostro controllo e alla sua perdita permanente. Questo significa anche perdere i benefici che esso portava in dote e conseguenze più o meno gravi sull’equilibrio, anche solo morale, del nostro gruppo. Ogni abitante infatti, compiendo azioni di vario tipo, può aumentare la propria importanza all’interno della nostra base: partendo dal grado di Recluta, questi può essere promosso a Cittadino per poi raggiungere, infine, il rango di Eroe e fornire un bonus specifico alla comunità. Ottenuto tale grado, un personaggio può anche essere eletto Leader, prendendo una delle quattro specializzazioni presenti e stabilendo, di fatto, la declinazione della partita.
State of Decay 2 è infatti un’esperienza sostanzialmente sandbox, dove al giocatore rimane ampia libertà di scelta su come garantire la sopravvivenza della propria comunità. Non c’è una trama di fondo e, nonostante una lore abbastanza definita, la narrazione è affidata alle periodiche missioni secondarie fornite dai nostri “coloni”, dalle comunità amichevoli o, per l’appunto, dalla specializzazione del nostro Leader: in base al caso che questi sia un Costruttore, un Commerciante, uno Sceriffo o un Signore della Guerra, l’obiettivo principale della nostra campagna muterà, così come l’approccio generale al mondo di gioco. Non si tratta comunque di nulla di costrittivo e i margini d’azione restano comunque molto larghi. Nessuno ci vieta, ad esempio, di commerciare pur essendo un Signore della Guerra o di concentrarci sulla prosperità della nostra base pur agendo da Sceriffo. Il modo in cui sopravvivere in una delle quattro mappe disponibili, resta sempre e comunque a nostro appannaggio.
“Non piangevo così dai tempi del Titanic”
Dal punto di vista tecnico State of Decay 2 regala, purtroppo, più delusioni che gioie. Nonostante l’utilizzo dell’Unreal Engine 4 infatti, il dettaglio grafico fa tutt’altro che gridare al miracolo, presentandosi più come un gioco di parecchi anni fa che non un prodotto uscito nel 2018. La Juggernaut Edition ha comunque portato un piccolo upgrade in tal senso, lavorando sui dettagli e sul sistema d’illuminazione, rendendo il tutto visivamente più piacevole. I 4 scenari (compresa la nuova mappa di partenza, Providence Ridge), ambientati in una desolata America rurale, non vi mozzeranno il fiato ma faranno tutto sommato la loro dignitosa figura. Il comparto sonoro, già valido nella versione originale, è stato qui ulteriormente arricchito e riesce costantemente a creare la giusta atmosfera nelle varie situazioni di gioco, risultando uno degli elementi più riusciti dell’intera produzione. Ciò che proprio non va sono i glitch di varia natura che affliggono il lato action del titolo: si va da personaggi che si “inceppano” nel tentativo di salire su un marciapiede a veicoli che saltano in aria immotivatamente al termine delle riparazioni. Nel complesso non si tratta di nulla di troppo compromettente da rendere il titolo ingiocabile ma restano comunque fastidi decisamente non necessari per il giocatore. Che diventano poi inaccettabili se si considera la loro presenza in quella che dovrebbe essere la versione completa e definitiva di un titolo uscito quasi due anni fa e che sembrano addirittura aumentare quando ci si approccia al multiplayer: la cooperativa online vede infatti aggravarsi sensibilmente questi problemi e, complice un netcode che viaggia tra continui alti e bassi, regala qualche momento di frustrazione di troppo (qualcuno ha detto zombie invisibili?) in un’esperienza comunque divertente.
Già, il multiplayer. Il grande assente del primo capitolo diventa “croce e delizia” di State of Decay 2. E’ infatti possibile portare un proprio survivor nella partita di un amico e assisterlo nella progressione della sua partita, mantenendo comunque l’accesso all’armadietto della nostra comunità. Aiutare porta diversi vantaggi, tra cui la progressione del personaggio in uso, il guadagno di influenza (di fatto la valuta di gioco) e la possibilità di mantenere gli oggetti recuperati. Discorso diverso invece per le risorse generiche, che finiscono a rimpinguare esclusivamente il deposito del proprietario della sessione. In compenso, più il nostro aiuto è significativo, più la ricompensa sarà maggiore al rientro nella nostra partita, grazie a un sistema di casse premio che aumentano il proprio valore a seconda del contributo. Una struttura di gioco però che, nel complesso, lascia insoddisfatto il giocatore: non è infatti possibile creare e gestire in maniera continuativa una comunità in compagnia di un amico. Ogni partita ha un solo proprietario e quindi, alla fine della sessione, ognuno a casa propria. Non si tratta di un sistema sbagliato o fatto male, anzi, rimane piuttosto fedele all’anima da gestionale che permea il titolo e il sistema di loot anti-griefing è veramente ben fatto (supportando fino a 4 giocatori), ma poter collaborare con gli altri anche nella gestione di una base, e non solo in una semplice fase di raccolta risorse, sarebbe stata un’opzione decisamente affascinante.
Una colossale mole di divertimento
State of Decay 2, nel complesso, si rivela un titolo assolutamente valido e un vero e proprio must have per tutti gli appassionati di horror a tema zombie. Gestire una comunità, mentre si falciano non morti con il proprio arsenale, crea assuefazione e non è mai stato così divertente. La Juggernaut Edition fornisce infatti l’esperienza più completa di quello che, a tutti gli effetti, è un survival già piuttosto corposo nella sostanza e che si arricchisce di tutto il materiale aggiuntivo pubblicato dopo il lancio. Heartland, la campagna stand-alone ambientata nella Trumbull Valley del primo capitolo, è una piacevole aggiunta che accontenta i giocatori alla ricerca di un’esperienza più narrativa e meno impegnativa dal punto di vista gestionale mentre Daybreak, la frenetica modalità a orde, aggiunge la possibilità di arricchire le proprie partite con oggettistica esclusiva semplicemente affettando non morti, senza troppi pensieri. Il tutto risulta in un’esperienza decisamente soddisfacente, proposta ad un prezzo contenuto e capace di regalare tonnellate di divertimento sparse su circa un centinaio d’ore di gioco, a patto di scendere a compromessi per quanto riguarda una realizzazione tecnica non impeccabile e che a più riprese sembra perdersi in un bicchier d’acqua.
State of Decay 2 non è il survival a tema zombie definitivo ma ci si avvicina, mancando di poco il bersaglio grosso. Un appuntamento, forse, solo rimandato ad un terzo capitolo già in lavorazione.