Sarò sincero: parlare di Genshin Impact al momento è come camminare sopra un campo minato. Come nella maggior parte dei casi, qualsiasi gioco che diventa popolare tende a ricevere tante lodi e tante critiche, entrambe che oscillano tra discussioni pacifiche e vere e proprie kermesse del linciaggio. Quindi, piuttosto che valutarlo nel suo insieme, questo articolo funge da retrospettiva sullo sviluppatore MiHoYo e sul fenomeno, cercando inoltre di capire perché questo nuovo gioco sia diventato così popolare, ma anche così contorverso.
Dalla Cina con Moé e Waifu
MiHoYo nasce come software house indipendente nel 2011 dalle menti di tre neolaureati alla Shanghai Jiao Tong University, una delle più grandi università del paese, in grado di ospitare corsi dedicati alle arti digitali e non. L’intento del team composto dai giovani Cai Haoyu, Liu Wei e Yuhao Luo era quello di condividere col mondo del mobile gaming – mercato all’epoca già in rapida ascesa attraverso l’introduzione dei primi modelli di smartphone – la loro passione per l’estetica ed il fascino della cultura anime giapponese dalla quale poi prenderanno spunto non solo per i giochi ma anche per il motto della software house: Tech Otakus Save the World.
Parlando del lato software, i primi lavori dello studio rientrano nei canoni delle classiche produzioni a basso costo che inondano ancora oggi il mercato mobile, ma mascherati da estetiche un po’ più elaborate e create dall’illustratrice CiCi, aggiuntasi successivamente. Flyme2themoon e Zombiegal Kawaii rappresentano appieno i due generi che all’epoca comprendevano una gran fetta degli store: platform e sparatutto a scorrimento. Nel loro piccolo, i due titoli riscuotono un successo abbastanza grande da permettere al team di MiHoYo di ingrandirsi e arrivare fino ai 200 dipendenti attuali.
Con l’aumento dei collaboratori disponibili, si aprono le porte a delle produzioni sempre più grandi e ad altri generi videoludici. Con l’arrivo di Houkai Gakuen nel 2012 e del suo sequel nel 2014, MiHoYo raggiunge il primo picco di popolarità nella madre patria, creando un brand che è arrivato a toccare vari media al di fuori del videogioco: manga, anime, merchandising e ovviamente eventi virtuali dedicati alle loro idol, piatto forte di ogni gioco. Sempre nel 2014, intanto, MiHoYo inizia la pre-produzione ad un gioco un po’ più ambizioso e orientato verso il genere action RPG: Honkai Impact 3rd che vede il suo rilascio nel 2016.
L’Impatto
Prendendo spunto dai titani del genere come Bayonetta e Devil May Cry, Honkai Impact 3rd divenne un successo su tutto il territorio, raggiungendo il milione di download in poche settimane. Nel 2018 MiHoYo aprì le porte del suo titolo a tutto il mondo, ottenendo ulteriori consensi venendo addirittura paragonato ai vari titoli presenti nel panorama console. Nella sua forma completa, Honkai Impact 3rd risulta essere un pacchetto che non si vergogna della sua natura full weeb, premendo l’acceleratore con un sacco di personaggi giocabili – ognuno con meccaniche e stili di combattimento diversi e che danno varietà al gameplay – pronti a scendere in campo per adempiere al loro obiettivo: apparire dentro a centinaia di video montati ad arte, in quello che io definirei il circlejerking artistico definitivo per ogni giocatore fissato con le combo da Smokin’ Sexy Stylers.
In parallelo a Honkai Impact, nel 2017, MiHoYo mette in moto la produzione di un altro titolo Action RPG, ma molto più ambizioso che, nel bene o nel male, avrebbe fatto parlare di sé: Genshin Impact.
Il progetto è la più grande produzione del team. Con un budget di oltre 100 milioni di dollari tra sviluppo e marketing, MiHoYo ha puntato tutto sugli elementi che hanno fatto la fortuna di Honkai Impact, implementandoli in una formula di gameplay Breath-Like: tante waifu e husbando con moveset unici e combo concatenabili tra di loro, che riescono a rendere il gameplay dinamico e molto più vicino ad un Astral Chain e ai già citati Devil May Cry e Bayonetta, piuttosto che a Breath of the Wild. E con un cast di personaggi doppiato da alcuni dei Seiyuu giapponesi più popolari del momento (subito riconoscibili grazie a serie come Jojo, Demon Slayer e Touhou Project) ed una colonna sonora di alto livello, il successo in larga scala era più che assicurato.
Annunciato alla convention ChinaJoy lo scorso Giugno 2019, il titolo venne fin da subito bersagliato da una valanga di polemiche. Ricorderete infatti la folla infercita che creò disagi durante le presentazioni del gioco, arrivando non solo a “flippare” il ditino magico, alzando al cielo le proprie Nintendo Switch in segno di protesta, ma anche a distruggere una PS4 davanti a tutti i presenti all’esposizione. E sebbene questi comportamenti rappresentino una fetta estremista e molto tossica della community Nintendo, è comunque un’eredità che il titolo si è portato avanti fino alla release e continuerà a farlo.
Qualche giorno dopo la sua release, il gioco è infatti ripiombato all’interno dell’occhio del ciclone dopo la divulgazione di un video su Twitter, che metteva a confronto le animazioni di 2B (Nier Automata) con quelle del personaggio Noelle di Genshin Impact, accusando MiHoYo di plagio. Inutile dirlo, in poche ore il video è stato ricondiviso ovunque, dividendo la community di videogiocatori in due: chi sosteneva le accuse e chi invece, analizzando frame dopo frame le animazioni incriminate, è riuscito a provare l’effettiva validità del gioco.
Insomma, da qualunque parte si provi a guardare questo fenomeno, l’uscita di Genshin Impact ha generato – come detto all’inizio di questo articolo – un bel po’ di trambusto per la rete. Ma come mai? Perché questo genere di gogna mediatica non ha colpito anche titoli che hanno trovato la loro fetta di pubblico attraverso fondamenta altrui? Come mai questo putiferio non ha colpito titoli come Paladins o Dauntless? Qual è il minimo comune denominatore che alimenta il fuoco del flame? La Cina ed il suo mercato “giovane”.
Fuggire dal passato
Sebbene in questo momento il mercato del videogioco cinese rappresenti una grande fetta del pubblico mondiale, va comunque ricordato come questo interesse sia nuovo. Fino al 2015 infatti, la maggior parte dei videogiochi e delle console non potevano esser vendute per via del ban del medium imposto durante l’inizio degli anni 2000. Questo ha portato ad una atrofizzazione dell’audience e soprattutto del marketing; fermo, per quel che ne sappiamo, agli anni 80’, ovvero l’era dei famiclone a forma di tastiera targati Suborg, una delle tante macchine presenti nel mercato nero dell’epoca.
Spezzando una lancia a sostegno dei detrattori infatti, è palese come questo modo di intendere il medium faccia fatica a morire in Cina. Ancora oggi, centinaia di app bootleg riempiono gli app store, ufficiali e di terze parti. Kirby storpi, console android con giochi precaricati, Pokémon con animazioni rubate e “Grand Dad!” (ciao Joel) che continuano a mettere il dubbio nel giudizio dei giocatori e a danneggiare la reputazione dei titoli che, una volta ogni tanto, cercano di fare il salto di qualità.
Dal mio punto di vista, bisognerà aspettare ancora qualche anno prima che questo piccolo neo svanisca del tutto, ma è comunque evidente che sia stata messa in moto un’intera macchina dedicata all’evoluzione del videogioco in Cina. Nel bene o nel male, compagnie come Tencent continuano ad investire nel gaming e ad espandere la loro influenza sul mercato internazionale, nel mentre piccole software house o persino singoli sviluppatori cominciano ad emergere. È un inizio, ma magari giochi come Genshin Impact, Bright Memory e Black Myth: Wukong fungeranno da trampolino di lancio per nuovi protagonisti nel panorama videoludico. La mia domanda, alla fine di tutto questo ragionamento è la seguente: noi giocatori saremo pronti al loro arrivo?