Questo articolo inizia con una premessa di quasi nessuna utilità se non per chi la scrive, potete saltarla direttamente o vederla come un piccolo capriccio autoriale, sperando che in mezzo al catasto di parole ci sia qualcosa di utile, ma non  è garantito. Il mio rapporto con Tarsier Studios e Little Nightmares nasce circa quattro anni fa, quando Bandai Namco decise di mostrare il gioco alla stampa nel corso della Gamescom 2016. C’è sempre curiosità intorno a nuovi progetti, a maggior ragione se presentati da publisher così rivelanti, anche se si trattava – e si tratta – di un progetto “minore”, che difficilmente catalizza grandi attenzioni in mezzo a eventi di questo genere, sempre ricchi di tripla A attesissimi, tra IP nuove e storiche.

Eppure, la demo di Little Nightmares messa a disposizione si rivelò essere un ottimo biglietto da visita per il progetto e per il team alle sue spalle e ricordo distintamente che dopo la piccola sessione di gioco e le chiacchiere con gli sviluppatori, uscimmo tutti molto colpiti dalla saletta dedicata ai piccoli incubi di Talajic e Mervik. Eppure, per anni, il mio rapporto con Six e la sua grottesca odissea si è arenato lì, fermo e sopito dalla trappola del “recupererò più avanti” macchinalmente formulata quando, qualche mese dopo, la copia review toccò a un altro collega. Essendo rimasto digiuno del primo capitolo, ho seguito distrattamente la produzione del “sequel”, fino a che qualche settimana addietro, mettendo in ordine una libreria, ho ritrovato un piccolo portachiavi di Six, presente nel press-kit fornitoci a quell’ormai lontana Gamescom. Banale, lo riconosco, ma è stato lo stimolo per addentrarsi nelle fauci del delirante sottomarino di Little Nightmares e conoscere finalmente Six in maniera approfondita.

Se nelle primissime battute il gioco non è riuscito a coinvolgermi totalmente, pur ammirando il suo stile tetro e grottesco da fiaba dark, dopo un’ora ero totalmente rapito e ammaliato dall’ordalia del capotto giallo. Con il crescere della tensione, e della fame della protagonista, è cresciuto anche il mio affetto verso quella piccola perla video-ludica, arenata e sopita così a lungo nei meandri della mio backlog, per motivi che onestamente non riesco bene a spiegarmi, soprattutto considerato quanto ami produzioni di questo genere (Inside è nella mia Top 10 di questa generazione). Un errore a cui ho posto rimedio finalmente e che mi ha permesso di mettermi subito – e subito a mio agio – nei panni di Mono, protagonista di Little Nightmares 2. Insomma, scrivo questo paragrafo in parte per fare ammenda, ma anche perché mi chiedo quanti siano caduti vittima del mio stesso errore e quanto sia facile sottovalutare alcune tipologie di produzioni, in grado di offrire molto più di quanto non appaia in superficie.

bosco

È questo, che più di tutto forse, colpisce di Little Nightmares: la capacità di evocare immagini, tratteggiare situazioni e ghermire il pubblico tenendolo incollato allo schermo, come un cittadino di Pale City sotto al giogo della nefasta Signal Tower. Questo secondo capitolo porta avanti alcuni dei temi trattati, in maniera così delicata e brutale, dal suo predecessore ma espande il nostro punto di vista e ci offre nuove domande, ma anche “tante” risposte sul distorto mondo creato da Tarsier. Se già nell’avventura in solitaria di Six il team ha dimostrato di saper padroneggiare capacità narrative eccezionali, il tutto senza mai far proferire parola ai propri personaggi, qui dimostra di aver compiuto un salto qualitativo assolutamente inaspettato. In un’epoca in cui la verbosità sembra d’obbligo quando si ha il desiderio di raccontare, spesso mostrandoci autori che, come raccontava Frankie Hi-Nrg: “a scriver son prolissi, a pensar troppo sintetici”, lo studio svedese và nella direzione diametralmente opposta, sorretto da uno degli story-telling migliori degli ultimi anni. Incarnando perfettamente quello che viene definito lo “show, don’t tell” , crea una storia carica di tensione, in grado di tenere il giocatore sempre attento, curioso, sulla corda, e al tempo stesso costruisce un intero mondo dotato di un background ricco e stratificato, spesso sfuggevole, criptico, ma incredibilmente ricco di fascino. Eppure, Little Nightmares 2 non punta esclusivamente a creare scenari e situazioni suggestive solo dal punto di vista artistico, ma racchiude in ognuna di esse uno spunto di riflessione.

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Alla deriva

Little Nightmares 2 ci proietta in mezzo al mondo che esiste al di fuori del The Maw, mettendoci nei panni del piccolo Mono, disperso in mezzo a un bosco disseminato di trappole e corpi senza vita, come dei televisori abbandonati. Divenuto il piccolo regno di un folle cacciatore tassidermista, e la prigione di Six, Mono si imbatte in quest’ultima e da lì parte effettivamente l’avventura del nostro alter ego dal volto coperto. È un susseguirsi di eventi terrificanti, ansiogeni e deliranti, inframezzati da qualche piccolo momento di tranquillità che amplia la nostra visione sul mondo di Little Nightmares e che ci offre varie “fotografie” di una realtà corrotta e disperata ma in qualche modo anche melanconica, ferita e umana, nonostante tutto. Ed è davvero impossibile scindere game-play da narrazione poiché, in maniera non dissimile dallo scorso capitolo, le due dinamiche sono indissolubilmente fuse assieme. Inutile valutare i puzzle per la loro complessità o le sessioni platform per la precisione necessaria nell’esecuzione dei comandi, se si dovesse guardarle in un’ottica esclusivamente analitica pochi sarebbero i momenti brillanti ma sarebbe anche il modo peggiore per valutare l’aspetto ludico dell’esperienza.

Il filtro posto da Tarsier Studios rende ogni sessione di gioco, semplice o articolata che sia, in un momento ricco di significato, sempre avvolgente e magnetico, ne consegue che la ricchezza dell’esperienza ne esce incredibilmente rafforzata e il genuino divertimento che ne scaturisce, è sempre ai massimi livelli. Correre disperatamente in mezzo all’erba per evitare le esplosioni di un fucile, acquattarsi fra i banchi di una classe per evitare la grottesca maestra con manie di sadismo o evitare le insidie nascoste nell’ombra di un ospedale – apparentemente – abbandonato, non portano nulla di nuovo nel genere di per sé sul piano della giocabilità, ma il modo in cui vengono proposte e presentate riescono a far apparire ogni momento come unico e originale. Sebbene alcune tipologie di situazioni tornino costantemente, per esempio le splendide sessioni votate alla fuga dagli orrori che si annidano in ogni anfratto della città, non si avverte mai un senso di ripetitività o riciclo. Ciò in parte è dovuto sicuramente alla durata contenuta della produzione ma, soprattutto, alla capacità di interpretare in maniera sempre fresca ogni porzione dell’avventura.

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Probabilmente, la leggerezza della formula ludica non incontrerà il gusto di tutti ma non sarebbe corretto vederlo come un difetto, così come anche il sottile, ma determinante, aumento della difficoltà generale dell’esperienza rispetto al primo Little Nightmares, qui più votato verso il trial & error che riesce però a non essere mai frustrante e spinge a prestare più attenzione e calibrare al meglio i propri movimenti. Le tanto criticate parti dedicate al “combattimento” inoltre, grazie anche alla saggezza con cui vengono diluite, possono sì risultare ostiche e macchinose – è richiesto buon tempismo e precisione, a fronte di controlli non sempre pulitissimi – ma incarnano nuovamente una scelta di sviluppo che rende la giusta tensione di quei momenti, oltre a sottolineare l’impaccio del protagonista nell’imbracciare un’arma grossa quanto lui. È vero, ripetere due o tre volte il medesimo scontro potrebbe risultare indigesto per qualcuno ma dopo aver avuto la meglio una volta capite le dinamiche e i ritmi dello stesso, il gioco offre il tempo di posizionarsi al meglio, spesso necessario considerato che in alcuni frangenti determinare la distanza del nemico non è così immediato, e ci viene in soccorso anche una generosa hurtbox, pronta a fornirci qualche margine d’errore.

Alcune sbavature sono comunque presenti, una curva di difficoltà non sempre calibrata, la già accennata imprecisione dei controlli – comunque minima e facilmente controllabile- ma nulla che davvero possa affossare, o scalfire, la qualità del prodotto. Spendendo qualche parola su Six nel contesto di gioco, con la sua AI preparata e precisa in pressoché qualsiasi situazione, la ragazzina non incespica né si perde ed è sempre molto reattiva nell’aiutare Mono a risolvere puzzle o sessioni platform. Certo il lavoro che grava sulle sue spalle non è così sfaccettato o complesso ma per un gioco di questa caratura è sicuramente brillante e merita di essere menzionata.

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Cosmogonia famelica

L’ineccepibile lavoro artistico di Tarsier Studios e, come già detto, la sua maestria nel riuscire costantemente a fonderlo con il gameplay, sono il fiore all’occhiello della produzione. In maniera ancora più accentuata di quanto visto nella scorda (dis)avventura il team riesce in poche ore a costruire contesto ricco e profondo, che bombarda il giocatore di quesiti e compone quadri di rara bellezza, perfettamente bilanciati nel contesto in cui vengono calati. È facilissimo, parlo per esperienza, restare vittima di queste insidie visive e lambiccarsi il cervello alla ricerca di una chiave di lettura per ogni singolo elemento proposto. Ma di incubi e sogni si parla e non tutto deve avere necessariamente un senso, eppure Little Nightmares 2 non sembra mai imbastire immagini e situazioni fini a loro stesse e si può percepire come dietro a ogni dettaglio ci sia “qualcosa di più”.

Senza dire un parola, il gioco parla di tantissime cose, che a lavoro volta si frammentano e dividono in un’infinità di diverse interpretazioni e compongono una ragnatela di teorie e riflessioni che arricchiscono ancor di più l’opera che si cerca di inquadrare. È un racconto di ossessioni insaziabili, di mostri che creano altri mostri, di una disperata battaglia contro lo scorrere del tempo e, soprattutto, della solitudine e dei suoi famelici tentacoli pronti a portare chiunque verso la follia e la disperazione. La cifra stilistica poi, è semplicemente brillante. Se il primo capitolo poteva sembrare un po’ più derivativo e “appoggiato” ad alcuni artisti del cinema d’animazione, con rimandi a Miyazaki e alla sua Città Incantata o a Selick e la sua visione sul racconto di Coraline (Neil Gaiman), ma anche più in genere quel taglio visivo che ricorda fortemente la claymation dello studio LAIKA, in questo titolo il team raggiunge una maturità artistica estremamente più forte e personale che d’ora in avanti farà scuola a sé. Tarsier smorza leggermente i toni più grotteschi e ci pone di fronte a meno personaggi dall’aspetto aberrante e stomachevole – senza però abbandonarli – e crea sequenze dell’orrore più tenui e nevrotiche, che pendono più verso Edgar Allan Poe o Lovecraft ma che, pur presentando e reinterpretando vari cliché del cinema horror, riescono a confezionare uno stile unico e irresistibile.

Little Nightmares 2 vive di queste immagini costantemente in bilico tra il tenue e lo straripante, tra il silenzio e il fragore, il dolce e l’amaro. Il merito è anche di una colonna sonora perfetta nel supportare la narrazione, con melodie ora più dolci e ammalianti, ora slegate, assillanti e opprimenti. Gli strumenti utilizzati oscillano  fra melodie levigate e cacofonici componimenti digrignanti, comunicando perfettamente con un sound design ineccepibile, che arricchisce in maniera determinante ogni situazione, restituendo perfettamente “l’estetica” di ogni rumore, da quelli più ruvidi, strascicati e sommessi a quelli prorompenti e inquietanti.

L’unico punto dolente del prodotto, a livello tecnico, è la versione per Nintendo Switch, afflitta da un aliasing consistente e, in generale, di un’immagine molto impastata e compressa, che non sitrugge l’atmosfera ma sicuramente penalizza fortemente la resa generale. Su PC e console, di contro, la produzione si mostra sempre in forma anche al netto di qualche sporcatura dovuta a un saltuario tearing e qualche inciampo nelle collisioni. Ci sono piccoli problemi sulle animazioni o su alcuni dettagli ed elementi non proprio “a fuoco” ma anche in questo caso il lavoro artistico sopperisce fortemente a queste lacune, sì visibili, ma mai invalidanti. Per il resto il gioco è fluido e scorrevole e non ostacola nessuna situazione, nemmeno quelle più concitate.

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Not so Little Nightmares

Difficile dire in maniera così arbitraria se Little Nightmares 2 sia o meno un capolavoro. Prima di tutto perché serve del tempo, solitamente, per potersi fregiare di un termine così oneroso ma anche perché il discorso – immaginifico e non – che porta avanti risulta personale e soggettivo, seppur obiettivamente curato in maniera magistrale. Inoltre, ho l’impressione che in questo ambito si tenti di affibbiare con troppa facilità questo termine, che lentamente perde di significato e non riesce a definire effettivamente la bellezza di una produzione.

Ma il lavoro di Tarsier Studio ha creato un prodotto eccezionale ed è un prodotto che non può e non deve passare in sordina. E il pericolo più grande e questo, come si diceva a inizio articolo. Il fatto che Little Nightmares 2 sia un gioco molto contenuto a livello produttivo rischia, al netto della buona risposta della critica e gli alti numeretti in fondo alle recensioni (che tanto vengono agognati ma che poco raccontano), che il titolo passi come un buon prodotto sì, ma comunque minore e non degno delle vette – o dell’importanza – conquistate da tripla A e prodotti di altra caratura, ed è qui il potenziale errore.

Little Nightmares 2 è un’opera magnifica e potente, ed è forse la prima vera eccellenza di questo 2021 che sembra così fitto di giochi grandiosi all’orizzonte. Aspra, tagliente, geniale, malinconica, spaventoso: la storia di Mono e Six è un trionfo sotto ogni aspetto e, a differenza dei sogni, non sbiadisce frettolosamente una volta terminata, ma rimane dentro le viscere, come un incubo al quale ci siamo affezionati.