“Il parassitismo  è una forma di interazione biologica, generalmente di natura trofica, fra due specie di organismi di cui uno è detto “parassita” e l’altro “ospite”. A differenza della simbiosi mutualistica, il parassita trae un vantaggio a spese dell’ospite, creandogli un danno biologico”.

Uno schiaffo sulla faccia. Come quando qualcuno cerca di svegliarti dal torpore, come una reazione a un gesto inaspettato. Come quando Jane Fonda annuncia che il tuo è il primo lungometraggio in lingua straniera a portarsi a casa l’Oscar come miglior film.

Bong Joon-ho colpisce e stavolta colpisce forte. Dopo il mezzo passo falso di Okja, pellicola del 2017 targata Netflix, il regista sudcoreano trova il centro perfetto con Parasite, coronando con 4 Oscar (Film, Regia, Sceneggiatura, Film internazionale) una cavalcata letteralmente trionfale, iniziata lo scorso anno con la Palma d’Oro a Cannes come “miglior film” e proseguita poi con Golden Globe, BAFTA e un’altra chilometrica lista di premi.

L’ultima fatica dell’autore di Snowpiercer, cala lo spettatore in uno spaccato tanto assurdo quanto quotidiano della Seoul dei giorni nostri, raccontando una storia di confronto sociale tra due famiglie di classe differente.

“Nella scala evolutiva non necessariamente il parassita s’identifica in un organismo primitivo rispetto all’ospite. Il parassitismo è infatti in molti casi una sorta di specializzazione biologica che porta ad un’involuzione secondaria”.

Seoul. Giorni nostri. La famiglia Kim, composta da padre, madre e due figli (maschio e femmina) vive in un seminterrato, costretta ad andare avanti a fatica, vivendo di espedienti e piccoli lavori poco remunerativi. Grazie alla raccomandazione di un amico e a delle credenziali false, il figlio dei Kim riesce a farsi assumere dai Park, una famiglia benestante, come tutor d’inglese della loro figlia maggiore. Una volta entrato in casa loro, questi riuscirà a guadagnarsi la loro fiducia e a far assumere sua sorella come arteterapeuta dell’altro loro figlio, Da-song. Da qui in avanti si innescherà una rocambolesca serie di eventi che porterà ad incrociarsi le storie di due famiglie di estrazione completamente diversa, in un racconto dalle mille tonalità e sfaccettature. Che non farà sconti a nessuno.

In Parasite, il confronto tra le classi sociali non è una cordiale stretta di mano o un duro confronto verbale. È un impatto tremendo tra due autotreni lanciati a piena velocità in direzioni opposte, finché uno dei due non invade, improvvisamente, la corsia dell’altro. Una storia dove i riflettori non sono puntati sulla critica sociale, ma sulla semplice umanità dei suoi protagonisti con tutte le sue innumerevoli chiavi di lettura. Non ci sono buoni o cattivi nello script di Bong Joon-ho, non nel senso stretto del termine. Ci sono solo “belli” capaci a volte di provocare disgusto una volta spostata la loro maschera di falsa perfezione e “brutti” in grado di strapparvi qualche sorriso di sincera comprensione, anche quando non si dovrebbe. Non c’è politica, ne il bisogno impellente di fare la morale, ma solo la voglia di raccontare una storia che riesce a mutare progressivamente, spiazzando costantemente lo spettatore  e fornendogli punti di vista sempre diversi nell’arco dei 132 minuti della sua durata.

“Il trattamento delle parassitosi varia in base all’agente patogeno responsabile.
Ciò significa che, per curare correttamente una malattia infettiva da parassiti, è fondamentale risalire alla precisa causa scatenante”.

Parasite è la storia di un paradosso. Le vicende di qualcosa che non dovrebbe essere in un determinato posto, ma che c’è e sfrutta dissennatamente le risorse che improvvisamente la circondano. Con tutte le sue inevitabili conseguenze.

E Bong Joon-ho riesce a metterla in scena alla perfezione, districandosi abilmente tra un vasto corollario di generi senza legarsi fondamentalmente a nessuno, sceneggiando dapprima una commedia dal sapore amaro, poi un dramma familiare dai risvolti ironici, passando per uno strano ma intelligente carosello dove lo spettatore non deve fare altro che godersi una serie di assaggi di thriller, pulp e horror presentati in formato gourmet.

Parasite è un barattolo pieno di caramelle di gusti vari. Alcune buonissime, altre (in verità la maggior parte) fortemente sgradevoli. Ma saranno paradossalmente quest’ultime quelle che gradirete di più, convincendovi a mangiarne senza sosta, una dopo l’altra, senza sapere esattamente il perché, fino ad arrivare al fondo del contenitore, dove troverete l’ultima.

Una caramella unica che mescolerà sapientemente i gusti di quelle precedenti, lasciandovi soddisfatti di aver fatto fuori l’intero barattolo senza alcun senso di colpa.