Deliver Us the Moon fu lanciato nell’oramai lontano 2018, dopo una campagna Kickstarter che prometteva un gioco molto diverso dal risultato finale. Furono costretti a ritirarlo dal mercato ed a rilanciarlo nell’ottobre 2019, con una nuova veste grafica e finalmente con l’ultimo atto dell’avventura.
Hard Sci-Fi per una volta
Ci troviamo di fronte ad un’avventura grafica in terza persona, in cui giochiamo nei panni di un coraggioso astronauta sul quale pesa un compito importantissimo. Il background narrativo di Deliver Us the Moon è interessante e poggia su basi scientifiche molto più solide di quel che si potrebbe pensare. Nel prossimo futuro il gioco immagina una grossa crisi ecologica ed energetica che porta al quasi collasso l’intera umanità. La Luna si rivela essere la chiave di volta per la sopravvivenza umana. Sul suolo nel nostro satellite infatti c’è elio-3, un isotopo dell’elio, in quantità molto superiori rispetto alla Terra. Questo è importantissimo per ottenere processi di fusione nucleare di secondo tipo. Il problema è ovviamente trasportare quest’energia sulla Terra. Ecco quindi che viene costruito un sistema di trasferimento di energia basato sulle microonde: in sostanza, l’energia viene prodotta direttamente sulla Luna da un gigantesco reattore a fusione e viene incanalata sulla terra grazie a delle parabole trasmittenti e riceventi.
Un fatidico giorno, dalla Luna non arriva più energia. La Terra è nel panico e non si tenta neanche un’azione di salvataggio. A 5 anni di distanza dal blackout, voi siete gli unici che ancora credono nella possibilità di mettere le cose a posto. E qui il titolo del gioco, Deliver us the Moon, acquista tutto il suo senso. Da qui la narrativa si sviluppa con metodi abbastanza classici per giochi di questo tipo: audiolog sparsi per i livelli, registrazioni olografiche, testi, email, terminali ed elementi che costellano gli scenari di gioco.
Chi è che lascia i propri audiolog in giro?
L’impianto narrativo funziona: c’è voglia di capire cosa sia successo nella stazione e le informazioni sono centellinate nel giusto modo per mantenere quell’alone di mistero fino alle battute finali. A questo si unisce la bellissima atmosfera che si respira dall’interno della propria tuta da astronauta. Gli ambienti sono evocativi al punto giusto rimanendo principalmente pragmatici e plausibili. Manca un po’ l’effetto wow, l’effetto straordinario che altri giochi simili riescono ad avere perché spaziano molto di più con la fantasia, ma io ne ho apprezzato molto l’impronta più hard-sci-fi.
Purtroppo l’esperienza complessiva di Deliver us the Moon non si eleva oltre il “semplicemente piacevole“. Gli enigmi ambientali da risolvere ripropongono troppo spesso gli stessi concetti, risultando ripetitivi e sono anche molto semplici. Le meccaniche a disposizione del giocatore, un raggio laser per rimuovere ostacoli ed un robottino da pilotare per raggiungere posti inaccessibili, sono molto sottoutilizzate. L’intera esperienza è lineare ed estremamente guidata, sono rarissime le opportunità di esplorazione lasciate al giocatore, fini a se stesse, giusto per raccogliere qualche obiettivo e racimolare qualche collezionabile nascosto.
E siamo a quasi 10 giochi con Ray Tracing
Un punto di lode per gli sviluppatori olandesi di KeokeN Interactive è l’aver implementato in un gioco indie le ultime tecnologie grafiche di Nvidia: Ray Tracing e DLSS. Il risultato è ottimo, soprattutto in un gioco come questo, dal ritmo lento e che porta naturalmente lo sguardo del giocatori sui particolari. Il Ray Tracing qui implementato permette di ottenere ombre più realistiche e riflessi accurati sia su superfici trasparenti che opache. Il risultato è ottimo e quando si viaggia nella stazione, osservare l’esterno guardando i propri riflessi sul vetro della struttura spaziale ha qualcosa di magico e nuovo. Non c’è più bisogno di trucchi ed inganni per ottenere questo effetto, ma è tutto naturale.
A livello di performance ovviamente il tutto ha un prezzo. Sulla mia RTX 2060, giocare in 2560×1080 con tutto abilitato al massimo, porta il framerate sui 40 fps. Fortunatamente, Deliver us the Moon implementa anche il DLSS in versione 2.0, versione estremamente migliorata dell’upscaling basato su algoritmi di intelligenza artificiale. Sono rimasto positivamente impressionato dalla qualità dell’immagine finale, che non appariva troppo sfocata, né che perdeva troppa qualità. L’unico artefatto introdotto è una scia al personaggio quando si muove troppo velocemente, probabilmente a causa della componente temporale del filtro DLSS.
Le performance con DLSS in modalità bilanciato superano abbondantemente i 60fps nella stragrande maggioranza delle ambientazioni di gioco, permettendo quindi a chiunque abbia anche la più piccola di Nvidia in grado di accelerare il Ray Tracing di godersi il gioco senza il minimo compromesso nel dettaglio grafico. Unico punto dolente è da ricercare nel motore grafico usato: l’Unreal Engine. Purtroppo, con il Ray Tracing attivo, la costruzione delle strutture di accelerazione, le BVH, è legata ad un solo core e quindi chi ha processori un po’ più vecchi, come il mio Xeon 1650, può trovarsi in fenomeni di collo di bottiglia lato CPU.
Riassumendo e concludendo, Deliver us the Moon è un’avventura graficamente pregevole, che si lascia giocare con piacere, ma dopo le 4-5 ore necessarie per vedere i titoli di coda, avrete davvero poco da portare nei vostri ricordi.