Nella maggior parte dei casi il grande pubblico si limita a consumare un prodotto d’intrattenimento, senza scalfire la sua superficie. E parlando appunto dei Grandi Classici Disney, non tutti conoscono le persone e le storie dietro ad alcune delle canzoni più famose nella storia dell’animazione. Certo, una ricerca su Google e diventiamo tutti dei geni ma in questo caso la rete contiene informazioni sparse, rielaborate, distorte, insomma: un bel casino. Con Howard: la vita, le parole la casa del topo cerca di facilitare il processo d’apprendimento racchiudendo in un unico pacchetto i momenti più importanti e significativi della vita dell’uomo dietro i testi de La Sirenetta, Aladdin e La Bella e la Bestia: Howard Ashman.

Howard: una carriera tra sudore, lacrime e sofferenza

Impostato come un docufilm, Howard: la vita, le parole racconta a grandi linee la carriera di Howard Ashman, scrittore e compositore dalla vita tutt’altro che tranquilla. Partendo dai suoi primi passi e dai suoi primi guizzi creativi – all’interno della camera da letto della sorellina Sarah Ashman – passando poi per gli anni della sua formazione accademica, fino ad arrivare alla sua ascesa nel mondo del teatro, attraverso la Children’s Theatre Association durante l’infanzia e successivamente all’interno del WPA Theatre di New York City, nelle vesti di sceneggiatore.

Durante quest’ultima esperienza, l’autore effettua un drastico cambio di rotta e devia la sua carriera, passando dalla scrittura dei dialoghi alla scrittura dei propri musical. Da qui, l’intero documentario si trasforma e ci porta all’interno delle montagne russe della vita, tra fallimenti, successi e imprevisti. Inoltre, l’opera porta lo spettatore più giovane alla scoperta di produzioni al di fuori del mondo Disney, come il classico Little Shop of Horrors (1982), uno dei successi più importanti di Ashman.

A raccontare la vita di Ashman ci pensano le persone più vicine a lui: dalla già citata sorella, dai colleghi come il produttore Don Hahn o il suo socio Alan Menken fino al suo compagno Bill Lauch.

Dentro la mente del creatore

Riportiamo in auge il gioco del point of view: siamo degli statisti. Prendiamo in considerazione un campione di 100 persone cresciute durante gli anni 90′ e raduniamole in una piazza. Mettiamo in play un CD con le migliori canzoni provenienti dai Grandi Classici Disney. Un buon 85% di loro dice “Questa canzone stava in…” o “Questa canzone l’ho sentita durante il…”, mentre il 45% riesce addirittura a replicare il testo a memoria. Ma alla domanda “Qual è il messaggio o la storia dietro alla canzone?” la percentuale delle risposte si abbassa fino ad arrivare ad un risicatissimo 10%.

Nel caso di Howard Ashman, le sue canzoni raccontano uno spaccato della sua vita e dei suoi pensieri: la sua anima, in poche parole, è immortalata all’interno dei testi e il documentario mette bene in chiaro come alcune canzoni – rispetto ad altre – rappresentino il suo lascito più importante.

Con Part of Your World (Come Vorrei in italiano), il desiderio di Ariel di voler esplorare la superficie riflette non solo il percorso evolutivo effettuato dall’autore – nel passaggio dal teatro ai musical – ma anche la sua voglia di uscire dal piccolo studio nel quale era stato “rinchiuso” al suo arrivo ai Walt Disney Animation Studios.

Beauty and the Beast (È una storia sai) racconta invece la sua visione personale dell’amore, raccontata da un punto di vista esterno: quello di Mrs. Potts durante una delle scene chiave de “La Bella e la Bestia”. La storia di un’ amicizia che col tempo muta, fino ad arrivare al sentimento più grande cattura il consenso del pubblico e dell’Academy, che lo premia con il Premio Oscar per “la miglior canzone originale” nel 1992.

Mob Song (Attacco al Castello) nasconde un sottotesto umano e paurosamente attuale. Nelle parole della folla inferocita capitanata da Gaston, Howard cattura la paura e la non accettazione del diverso, un tema che ha segnato la lotta alla discriminazione delle persone omosessuali durante l’epidemia di HIV degli anni 80/90′. Come testimoniano i creatori del film, La Bella e La Bestia non può esser separato da questo sottotesto senza subire pensanti modifiche.

Humiliate the Boy infine, racchiude la parte più buia e aggressiva dell’autore. L’ultimo brano scritto da Ashman prima della sua morte, è aggressivo e scorretto. Scritto per il film Aladdin ma mai rilasciato, propone un Jafar fin troppo crudele nel privare Aladdin delle sue ricchezze e risulta fortemente incoerente con la “regola dei 3 desideri del genio”. Uno specchio della sua condizione fisica, afflitto da una neuropatia che piano piano lo priva della vista e del tatto.

L’intervista senza il gobbo

Sebbene questo documentario offra tantissimo materiale dal grande valore informativo e didattico, la realizzazione tecnica lascia un po’ a desiderare. Per carità, da un punto di vista personale – avendo una formazione nell’arte della produzione cinematografica e del DAI DAI DAI! alla Boris – è affascinante accedere ai retroscena di una produzione targata Disney, nel bene e nel male, e i vari concept art legati a questi grandi classici fanno viaggiare la mente dello spettatore; ma il tutto è messo insieme attraverso un montaggio fin troppo banale.

Per fare un esempio: nella maggior parte delle sequenze ci troviamo davanti a delle foto o filmati presi dall’archivio Disney o da vari reti americane, con una voce in sottofondo che proviene da un’intervista fatta ad Howard Ashman o ai suoi amici e parenti e che rende il prodotto simile ad un podcast, ascoltabile durante un’altra attività piuttosto che un docufilm vero e proprio. Ovviamente non mi aspettavo un montaggio alla Standard Operating Procedure (Errol Morris): stiamo parlando comunque di un produzione destinata ad un servizio di streaming e dal budget ridotto, rispetto ad altre produzioni Disney.

Come accennato nell’anteprima di PROPS CULTURE, Disney+ si presta a questo tipo di prodotto. Se nel mainstream, l’azienda offre nuovi prodotti d’intrattenimento e nuove idee, lo streaming porta il fan appassionato all’interno del contenuto extra. Howard: la vita, le parole è un buon esponente di questo approccio, che viene strozzato da alcune scelte in fase di post produzione che non lo consentono di promuoverlo a pieni voti.