Kingdoms of AmalurAlla fine degli anni 2000 un giocatore di baseball di Anchorage, fresco di ritiro, decide di entrare nel mondo dei videogiochi. É già un appassionato di Everquest, oltre che di World of Warcraft, e il suo sogno nel cassetto è realizzare un titolo fantasy tutto suo. Così fonda una software house, con tanto di nome ispirato al suo numero di maglia; recluta alcuni tra i migliori professionisti disponibili e mette in piedi il progetto di un MMORPG, anticipato con un prequel di alta qualità da giocare in single player per fungere da introduzione all’ambiziosa lore del gioco. E’ così che nasce Kingdoms of Amalur: Reckoning.

Sì, è vero, questa storiella sembra piuttosto strampalata, quasi con i contorni di una barzelletta, ma oltre ad essere estremamente curiosa è anche altrettanto vera. Il soggetto in questione è Curt Schilling, tre volte vincitore delle World Series che ha appena appeso al chiodo la sua giacca dei Boston Red Sox e si è gettato a capofitto nel mondo videoludico fondando la Green Monster Games, poi rinominata in 38 Studios. L’obiettivo è realizzare Copernicus, un nuovo gioco di ruolo online accompagnato da un prequel per giocatore singolo e, va detto, fa quasi tutto per bene: assegna la stesura della lore del mondo di gioco a R. A. Salvatore, uno degli scrittori fantasy più prolifici di sempre, e affida il comparto artistico nientemeno che a un certo Todd McFarlane. A capo del progetto, sempre per non sbagliare, mette Mark Nelson e Ken Rolston di Big Huge Games, due dei principali responsabili di titoli come Morrowind e Oblivion. Il risultato però non è quello sperato perchè il gioco fa un buco nell’acqua, Copernicus viene cancellato e la software house chiude. Ma il prodotto è valido. Non vende tanto, ma i relativamente pochi che lo giocano ne riconoscono l’indiscusso valore di una perla incompresa. E lo sa anche THQ Nordic, che qualche anno dopo ne acquista i diritti, decide di rifargli il trucco e di riproporlo al grande pubblico. E’ il 2020 ed è il momento di una seconda chance. Esce Kingdoms of Amalur: Re-Reckoning.

Kingdoms of AmalurRiscrivere il destino

Dopo otto anni è il momento di tornare a Faelandia, regno di Amalur, terra popolata dai Fae immortali, divisi in Corte del Sole e Corte del Gelo, oltre che da alcune tribù mortali di umani ed elfi. É qui che entra in scena il nostro protagonista, anche lui mortale, deceduto prima dell’inizio della storia e riportato in vita dallo gnomo scienziato Fomorous Hugues. Rinasciamo come un “Senzafato”, una singolare anomalia in un mondo che rivive ciclicamente gli stessi avvenimenti ancora e ancora, in un loop immortale da ripetere senza fine. Siamo l’occasione, per tutti, di riscrivere la storia e modificare, grazie alle nostre azioni, un destino già segnato. La possibilità concreta di avere finalmente la meglio sui Tuatha, frangia dissidente della Corte del Gelo che minaccia il regno.

La sinossi è piuttosto interessante e si svolge in una location senza dubbio affascinante. Le terre di Faelandia sono un mondo vivo e decisamente ispirato, che offre città, architetture, civiltà e biomi sempre diversi, ma perfettamente incastonati in un mondo di gioco forse di stampo un po’ classico ma assolutamente ben realizzato. Un mondo da ammirare, che trae sicuramente giovamento dai miglioramenti apportati con questa remastered. Questa, seppur senza grandi stravolgimenti, rifinisce il comparto tecnico del gioco andando a dare un po’ di lustro a delle texture attempate e aggiungendo il supporto al 4K. Il colpo d’occhio resta quello di un titolo che mostra tutti gli anni che ha, se non forse di più, ma il lavoro fatto da Kaiko (a cui THQ ha assegnato questa nuova versione), lo rende più piacevole e adeguato ad un RPG che viene comunque proposto nel 2020 con l’obiettivo addirittura di espandersi.

Proprio il comparto ruolistico era il fiore all’occhiello della produzione e anche con quasi un decennio sulle spalle si dimostra ancora piacevolmente unico nel suo genere. La struttura di Kingdoms of Amalur è infatti piuttosto atipica e si smarca da quella dei giochi di ruolo più classici. Partendo da tre semplici statistiche base (Forza, Destrezza e Magia), il giocatore può sbizzarrirsi a distribuire i suoi punti sui rami corrispondenti ad ognuna di esse, andando così a definire il destino del proprio eroe. Gli alberi delle abilità però presentano una forma piuttosto anomala per un titolo di questo tipo e appaiono molto più ispirati a quelli di un action che non ad un classico titolo di genere. Ecco quindi che i punti spesi sbloccano nuove skill e nuove mosse da concatenare in potenti combo piuttosto che limitarsi a fornire un mero progresso statistico del personaggio. Ne consegue una struttura ibrida e tutto sommato ben congegnata, che va a sostenere un combat system che all’epoca provava a mettere insieme le parti migliori di concept diversi, con il proposito di portare qualcosa di fresco in un mondo, quello degli RPG, che mostrava il fianco proprio nelle fasi in cui arrivava il momento di menare le mani (Skyrim ne era l’esempio più significativo). L’idea di Schilling era quella di creare un titolo che mescolasse lo stile di God of War con quello di The Elder Scrolls: Oblivion, un gioco di ruolo con tutte le caratteristiche più classiche che però si lasciasse giocare come la saga originale di Kratos. Un esperimento in definitiva piuttosto riuscito, con un gameplay hack ‘n’ slash che strizza l’occhio alle opere di Santa Monica e regala momenti di sincero divertimento, soprattutto grazie alla meccanica del “Reckoning” che permette di rallentare il tempo ed esibirsi in micidiali e sanguinose finisher. Anche qui il lavoro dei Kaiko è leggero e poco invasivo, attento a non modificare eccessivamente qualcosa che in fondo funziona e anche bene. Per questo le modifiche strutturali si limitano semplicemente all’aggiunta di una modalità very hard e ad un ribilanciamento generale dei livelli di difficoltà delle varie zone, con relativi accorgimenti applicati al sistema di loot. Semplici ritocchi, atti a sistemare le piccole sbavature di un prodotto nel complesso molto solido.

Kingdoms of AmalurDay of Re-Reckoning

Kingdoms of Amalur: Re-Reckoning prova a ridare lustro ad un gioco validissimo che in tanti, forse troppi, hanno trascurato al momento della sua release originale. Un RPG divertente, ben confezionato e sapientemente narrato, con tutte le potenzialità per diventare un mostro sacro del genere, che è stato però condannato all’oblio da un primo impatto forse troppo simile a quello di un titolo dei primi anni 2000 (in un mondo che stava ancora finendo la prima run di Skyrim…) e, soprattutto, da una gestione del marketing quanto meno discutibile. Un fallimento commerciale ma non artistico, che avrebbe meritato certamente una sorte migliore. THQ Nordic gli regala una leggera seduta di lifting e un biglietto per una seconda occasione indubbiamente meritata, con l’obiettivo di risollevare il brand e portarlo ai fasti che avrebbe meritato già nel 2012. L’operazione richiedeva un leggero rinnovamento e Kingdoms of Amalur: Re-Reckoning assolve pienamente questa funzione, permettendo di riscoprire il mondo di Faelandia in tutta la sua bellezza e completezza. Questa edizione contiene infatti sin da subito i due DLC, The Legend of Dead Kel e Teeth of Naros e si pone come base per una prosecuzione della storia prevista per il 2021, con l’arrivo dell’inedita espansione Fatesworn. Questa remastered rappresenta un’occasione assolutamente da non perdere per tutti gli amanti degli RPG: quella di (ri)mettere le mani su una vera perla passata quasi sotto silenzio all’epoca, con la speranza che, in modo simile a quanto succede nel mondo di gioco, il suo destino venga riscritto.