A distanza di quasi un anno dalla release occidentale di Persona 5 Royale e quattro dal titolo originale, i Phantom Thieves tornano sulle nostre console con Persona 5 Strikers. La deriva musou di questo sequel ha saputo rubarci il cuore?

Vacanze tokyensi

Persona 5 Strikers si colloca a livello temporale pochi mesi dopo il finale di Persona 5, ignorando totalmente gli avvenimenti della versione Royale in quanto i due titoli sono stati sviluppati quasi in contemporanea. Joker si prepara a godersi le vacanze estive tornando a Tokyo ma, una volta ricongiuntosi al resto dei Phantom Thieves, le cose prendono una piega inaspettata. La trama di questo vero e proprio sequel vede protagonista ancora una volta il piano cognitivo, ma in modo diverso rispetto a quanto visto nel titolo originale. Se nel premiato Jrpg i nostri eroi erano chiamati a completare i Palazzi per rubare il cuore dei malvagi, qui Joker & Co. devono infiltrarsi nelle Prigioni, manifestazioni della malvagità dei villain di turno – chiamati Monarchi – che ricoprono intere città nipponiche.

Il sempre presente incrocio di Shibuya in versione Prigione

In Strikers infatti non ci si deve muovere solamente per la capitale ma, per debellare la nuova minaccia, sono esplorabili anche altre famose città giapponesi come Kyoto, Osaka e Sapporo. L’avventura on the road per scovare i Monarchi scorre piacevolmente, anche grazie ai due nuovi personaggi esclusivi del titolo: Sophia e l’ispettore Zenkichi. Entrambi offrono punti di vista diversi rispetto ai Ladri Fantasma: la prima è una misteriosa Intelligenza Artificiale installata negli smartphone dei protagonisti capace di manifestarsi fisicamente nelle Prigioni, mentre il secondo è un poliziotto che avvicinerà il gruppo di eroi. La polizia è infatti convinta che dietro alla misteriosa minaccia ci siano proprio i Phantom Thieves, e non perde occasione per stare alle costole del gruppo.

Non chiamatelo Musou

Contrariamente a quanto potesse sembrare dal trailer d’annuncio, Strikers non è un musou. Non nel senso stretto del termine almeno. Scordatevi le missioni di conquista tipiche del genere, così come i dialoghi fini a se stessi, in questo gioco si parla – tanto – e si esplora. La struttura non presenta missioni interconnesse da un flebile canovaccio narrativo, ma la trama è costantemente presente tramite cutscene animate e dialoghi. Proprio questi ultimi sono presenti in modo davvero massiccio, specialmente considerando il genere non proprio famoso per lo spessore narrativo offerto. Presenti, come nel titolo originale, le risposte multiple che possono portare a siparietti comici che ci portano a legare ancora di più con i personaggi che già dovremmo già aver imparato ad amare.

Parlando di esplorazione, è possibile girare liberamente per le vie dei quartieri di Tokyo (gli stessi di Persona 5) e delle altre città, molto spogli e privi attività.

Yongenjaya appare da subito più spoglia

Scordatevi le vie piene di persone e di minigiochi, qui non sono presenti. Assenti anche la pianificazione del tempo dettato dal calendario che, seppur presente, non lega il giocatore a dei limiti temporali e i Social Link, sostituiti dall’indicatore di Legame.

Palazzi 2.0

Nonostante la premessa inserita nel paragrafo precedente, anche in quest’opera di Omega Force le botte non si sprecano affatto. Niente orde di nemici da affrontare senza un piano o uno schema ben preciso però, qui le Prigioni sono veri e propri Dungeon contenenti enigmi, fasi stealth e platform, esattamente come in Persona 5.

Questi possono essere completati senza seguire un percorso predefinito, e comprendono dei checkpoint che permettono al giocatore di spostarsi tra le zone della Prigione già esplorate, tornare nel mondo reale e salvare la partita. Le aree non pullulano di minions come accade nei musou, ma sono presenti alcuni nemici che, una volta attaccati, faranno comparire una schiera di avversari da sconfiggere. Ottima la possibilità ripresa dal titolo originale di prendere alla sprovvista queste sentinelle per cominciare la battaglia con un vantaggio extra.

Ma quindi si menano le mani, o no?

Passando al sistema di combattimento, questo risulta di difficile comprensione se paragonato ai vari Dinasty Warriors e derivati, perché ogni personaggio è dotato di una grande varietà di attacchi affidati ad una mappatura del controller non molto intuitiva. Abbiamo quindi gli attacchi corpo a corpo, gli assalti, i colpi da fuoco con munizioni contate (ma che si ricaricano dopo gli scontri) e, soprattutto, le abilità delle Personae.

Queste ultime sono la chiave di volta durante gli scontri, in quanto permettono di sfruttare le debolezze elementali dei nemici e di offrire supporto ai personaggi grazie a buff e cure. La scelta delle Personae da equipaggiare sarà quindi di fondamentale importanza per vincere ogni scontro, garantendo una profondità di gameplay più unica che rara all’interno del genere di appartenenza. Discorso simile anche per l’equipaggiamento che, a ricordare nuovamente la natura ruolistica del titolo di provenienza, può essere sempre aggiornato e migliorato grazie ai negozi presenti per le città. Molto bene anche l’interazione con l’ambiente grazie al Guizzo Fantasma, feature che permette al giocatore di sfruttare gli elementi della mappa come pali della luce, automobili e punti sopraelevati per aggirare o danneggiare le Ombre presenti.

Aggiunta davvero intelligente è lo Scontro Hacking, ossia una feature che vede protagonista Futaba alla prese con il sabotaggio dei sistemi di sicurezza dei Dungeon. Compito del giocatore proteggere la ragazza dalle orde di nemici fino alla fine della manovra di Hacking. Aggiunta necessaria? Assolutamente no, ma dona maggiore spessore ad un personaggio che in Persona 5 non aveva un vero e proprio ruolo attivo.

Stile da vendere, anche stavolta

Inutile girarci attorno, Persona 5 Strikers riprende in toto lo stile artistico che ha portato al successo Persona 5. Lo stile visivo, nonostante sia il quarto titolo ATLUS a presentarlo, risulta ancora fresco e accattivante, così come il character design dei personaggi.

Discorso analogo per la colonna sonora, caratterizzata da ottimi riarrangiamenti dei brani nati dalla geniale mente del compositore Shoji Meguro e interpretati dalla riconoscibilissima Lyn Inaizumi. Ottimo anche il doppiaggio nipponico e inglese con il cast di voci originale chiamato nuovamente a dar vita ai Phantom Theaves & Co. Tecnicamente il titolo gira a 60 fps stabili su PS4, mentre su Nintendo Switch si raggiungono i 30 fps per una risoluzione di 900p in modalità fissa. Nulla di eclatante, ma in questi giochi l’importante è la stabilità del frame rate, e su questo non c’è da lamentarsi.

L’ultima efficace critica alla società giapponese

Persona 5 Strikers non è solo un buonissimo hack and slash (chiamarlo musou è davvero troppo riduttivo), ma è l’ennesima critica da parte di Atlus alla società giapponese. Se nel quinto capitolo si puntava il dito verso il marciume che si cela dietro alla politica, alla scuola e ad un sistema che tende a voler uniformare ogni individuo, questo sequel rincara la dose in tutto e per tutto nel corso delle circa quaranta ore necessarie per portarlo a termine. Non volendo fare spoiler evito di scendere nei dettagli, sappiate solo che la prima Monarca è una palese critica allo Star System asiatico e alle sue idol vendute come pure e perfette.

Nota di merito al personaggio di Zenkichi Hasegawa che offre un punto di vista adulto e maturo sull’intera vicenda, risultando la migliore aggiunta dal punto di vista narrativo di questo capitolo (e non solo).

Last Surprise

Nonostante alcuni innegabili difetti, come l’intelligenza artificiale nemica praticamente inesistente, una traduzione italiana non eccellente, modelli poligonali che ormai risentono della loro età e una comprensione totale riservata solo a chi ha giocato il titolo originale, Persona 5 Strikers è un’opera estremamente godibile. Se dovessi giudicarlo come musou – definizione come già detto estremamente limitante – sarebbe il migliore del suo genere, scalzando dal podio anche il recente Hyrule Warriors: L’era Della calamità. Ma P5S è molto di più. Siamo infatti dinanzi al successo di una mossa estremamente azzardata: proseguire una storia già ottimamente conclusa e che non aveva nessun bisogno di un sequel.

Sia chiaro, questa nuova iterazione non aggiunge nulla di eclatante alla lore della saga, ma permette a tutti coloro che hanno amato Persona 5 di vivere una nuova – e presumibilmente l’ultima – avventura in compagnia dei Phantom Thieves. Se avete amato Joker, Fox, Skull Morgana, Panther, Queen e Oracle, questa è l’occasione perfetta per farvi nuovamente rubare il cuore.