La causa legale scaturita dalla querelle tra Apple e Epic si sta trasformando in una finestra privilegiata sul mondo dell’industria videoludica. Gli eserciti di avvocati assunti dalle due multinazionali hanno pubblicato mail, chiamate e documenti che stanno mettendo a nudo le strategie e gli accordi non solo delle parti coinvolte, ma di tutto il settore.

Il processo sta per entrare nel vivo, e potrebbe cambiare per sempre il modo in cui utilizziamo gli store di videogiochi. Le rivelazioni emerse hanno però già fatto molto discutere.

Introduzione: a che punto siamo?

Anche se la vicenda è stata al centro delle notizie negli ultimi mesi, è facile perdere il filo degli eventi. Prima di analizzare le rivelazioni emerse dalle carte del processo, è meglio capire come siamo arrivati a questo punto.

Nell’agosto del 2020 Epic pubblica un piccolo aggiornamento per Fortnite mobile. Nessuna modifica al gameplay, soltanto la possibilità di acquistare la valuta in game, i V-Bucks, direttamente da Epic tramite l’app di Fortnite.

Questo aggiornamento viola però i termini del contratto che Epic aveva stabilito con Apple e Google in modo che la app fosse venduta sui due store più utilizzati al mondo. Come per tutte le app, Fortnite doveva versare il 30% dei profitti derivati dagli acquisti in app all’azienda proprietaria dello store. La prima conseguenza è la rimozione di Fortnite sia da App Store che da Play Store.

La risposta di Epic non si fa attendere. Pubblica un controverso video che imita alla famosa pubblicità di Apple del 1984, in cui l’azienda di Cupertino viene descritta come un tiranno contro cui ribellarsi.

Mentre tutti si interrogano sull’etica di esporre il giovanissimo pubblico di Fortnite a questa pubblicità/propaganda, Epic è già al lavoro per fare causa a Apple e Google. Una mossa calcolata, cui dietro le quinte gli avvocati di Epic si riferiscono con il nome “Project Liberty”.

L’obbiettivo di Epic non è soltanto liberarsi delle trattenute applicate dagli store. La strategia mira anche a rompere l’ecosistema chiuso che da sempre caratterizza i dispositivi Apple, aprendo gli iPhone ad altri store.

La risposta di Apple non si fa attendere. Tutti gli account developer di Epic operanti nell’App Store vengono chiusi. In pratica chiunque utilizzasse il popolarissimo Unreal Engine si trova escluso dagli iPhone. Anche se Epic riesce a contenere le perdite proteggendo il proprio motore grafico con un’ingiunzione del tribunale, gli account rimangono chiusi e Fortnite bloccato.

Qui termina la prima fase, le prime scaramucce. A fine settembre 2020 entrambe le parti in causa rifiutano il processo per giuria, convinte di poter vincere in un procedimento legale vero e proprio.

La corte dovrà riunirsi il 3 maggio dell’anno successivo, presieduta da Yvonne Gonzales Rogers. La giudice ha da subito avvisato che, visto che l’obbiettivo di Epic è attaccare l’ecosistema Apple, questa sentenza può avere ripercussioni enormi per tutta l’industria videoludica.

Nel frattempo Google ha preferito agire sotto traccia. Le cause contro Alphabet stanno procedendo in parallelo, con meno clamore. Da Mountain View è anche arrivata la richiesta, poi respinta, di posporre il processo fino ad ottobre del 2022.

Le prime battute

Lunedì 3 maggio 2021 comincia quindi il processo, con le dichiarazioni di apertura di entrambe le parti.

Epic definisce iOS come un monopolio, e accusa lo staff di Apple, incluso il defunto Steve Jobs, di intrappolare i consumatori. Le trattenute dall’App Store sono inoltre definite non omogenee, mirate soltanto a certi prodotti.

Apple da parte sua sottolinea come il modello di business dell’App store abbia portato vantaggi al consumatore. Inoltre attacca la definizione che Epic ha proposto di mercato unico, e questo lato molto tecnico del processo potrebbe essere decisivo nell’influenzare la sentenza.

Fin dal primo giorno il processo non è stato privo di incidenti, dovuti anche al fatto che la pandemia ha costretto le parti a riunirsi via internet. Ad esempio la corte non ha mutato tutti gli spettatori della chiamata, e per venti minuti alcuni giovani fan di Epic hanno gridato “Free Fortnite” impedendo al processo di cominciare.

Un incidente più grave è stato quello che ha visto la pubblicazione alcuni documenti che avrebbero dovuto rimanere privati. Proprio da alcuni di quei documenti giungono le informazioni più interessanti, che riguardano non solo Epic ed Apple, ma anche Sony e Microsoft.

Giorno 1: Fortnite non è un gioco, è un “metaverse”

Il primo testimone ad essere chiamato dalla corte è stato Tim Sweeney, amministratore delegato di Epic. La sua testimonianza ha da subito introdotto uno dei temi più importanti del processo: la visione che Epic ha del fenomeno Fortnite.

Fortnite è un fenomeno che trascende il videogioco. […] L’evoluzione a lungo termine di Fortnite lo renderà più simile ad una piattaforma che permetta ai creativi di tutto il mondo di distribuire le proprie opere agli utenti […] e di trarne la maggior parte dei profitti. […] Se apple continuasse a trattenere il 30% dei profitti, questa visione sarebbe irrealizzabile.”

Sweeney supporta la visione del “metaverse” sia con elementi teorici che pratici. Dapprima utilizza la definizione che Neal Stephenson riporta nel romanzo Snow Crash. Poi sottolinea che il concetto non sia nato durante la preparazione del processo, ma nasca quattro anni fa, al Devcom, quando per la prima volta Epic attaccò Apple sulle trattenute. Ultimo tassello della testimonianza di del CEO è stata la notizia recente che Sony avrebbe investito nel metaverse di Fortnite un miliardo di dollari.

La testimonianza dell’amministratore delegato non è però stata perfetta per Epic. Le domande degli avvocati di Apple hanno portato la questione sulle conseguenze che questa sentenza potrebbe avere. Sweeney è promotore della Coalitiion for App Fairness (CAF), che si propone di aiutare tutti gli sviluppatori a ottenere migliori contratti dagli store.

Incalzato però sulla questione delle conseguenze, il CEO ha ammesso di non comprenderle appieno. I legali di Apple hanno già affrontato la CAF in alcune cause minori in North Dakota e Ariziona, riportando già alcuni successi.

Giorno 1: I conti in tasca ad Epic

La strategia di Apple sembra quindi incentrata sul fatto che l’attuale sistema funzioni. Questo però non significa che gli avvocati di Cupertino abbiano elaborato una strategia puramente difensiva. Parte fondamentale della loro linea è mostrare come l’alternativa allo status quo, quindi lo store di Epic, non sia sostenibile.

Dalle carte presentate sono quindi emersi i conti in rosso di Epic Games Store. Buchi milionari creati da accordi di esclusiva estremamente dispendiosi e dalla politica dei giochi gratuiti. Lo store è sempre stato in perdita, ed è lungi da diventare sostenibile. Questo nonostante l’enorme successo di Fortnite, che in due anni ha generato un fatturato di nove miliardi di dollari.

Da queste carte è anche emersa la prima rivelazione su parti non coinvolte nel processo. Epic avrebbe trattato con Sony per ottenere il cross-play di Fortnite su PlayStation 4. La multinazionale giapponese avrebbe ottenuto in cambio proprio una trattenuta sui profitti in game, per compensare le perdite economiche che l’accordo avrebbe comportato.

Gli avvocati di Epic non hanno dato battaglia su nessuno di questi punti. Hanno preferito incassare l’attacco di Apple, in modo che la corte potesse concentrarsi su argomenti più difendibili.

Giorno 2: Nvidia e una strana scappatoia

Il secondo testimone chiamato dalla corte è, un po’ a sorpresa, Nvidia. Leader nella produzione di schede grafiche, l’azienda è stata chiamata a testimoniare su un’altra questione, il proprio servizio di streaming di videogiochi GeForce Now.

Apple è estremamente ostile ai servizi di streaming di videogiochi, e non permette che vengano resi disponibili tramite App Store. Questo non ha però impedito a Nvidia di creare un’applicazione web per Safari, il browser di Apple.

Se a questa notizia si aggiunge che Nvidia è in trattativa con Epic per portare Fortnite su GeForce Now, il quadro diventa completo. Fortnite potrebbe tornare su iOS, ma non su App Store, già da ottobre. E proprio i servizi di streaming sono l’argomento che ha coinvolto un altro colosso del mercato nel processo.

Giorno 3: I conti in tasca a… Microsoft?

La testimone principale del terzo giorno del processo è stata Lori Wright, vice presidente di Microsoft Gaming. Inizialmente la testimonianza sembrava incentrata sulla stessa questione che il giorno precedente aveva coinvolto Nvidia. Come GeForce Now, anche xCloud, il servizio streaming di Xbox, ha dovuto ricorrere ad una web app dopo che App Store ha rifiutato l’applicazione per ragioni di sicurezza.

Wright ha attaccato Apple su questo punto. Secondo l’azienda proprietaria dell’App Store infatti il motivo per cui i servizi di streaming di videogiochi non sono ammissibili nel proprio store è che ogni gioco deve essere valutato indipendentemente. Ma questo non vale per altri servizi di streaming. Netflix infatti può operare su App Store senza che ogni episodio delle proprie serie TV sia valutato come singola entità da Apple.

Presto però la dirigente è stata costretta a rispondere a domande sul modello di business di Xbox, rivelando che Microsoft non ha mai tratto alcun profitto dalle proprie console.  Le entrate dipendevano quasi interamente dagli abbonamenti e dalle trattenute dello store, pari al 30%, esattamente come Apple.

La conversazione si è infine spostata sulla riduzione delle trattenute dello store Microsoft su PC. La percentuale che lo store si tiene dalle vendite delle app è infatti recentemente scesa da 30% a 12%, allineandosi con Epic. Wright ha però affermato che questo cambiamento non avverrà anche su Xbox.

Il nome di Microsoft non è però emerso soltanto durante questa testimonianza. Alcune carte del processo riportano una sorta di alleanza tra Epic e Xbox. Sembra che sia stata proprio Epic a spingere perché Microsoft facesse cadere la necessità di avere un abbonamento Live Gold per giocare a giochi free to play online su Xbox.

Altro documento interessante è lo scambio di mail tra Sweeney e Phil Spencer, direttore di Microsoft Gaming. Il fondatore di Epic avrebbe chiesto al direttore di Xbox di aiutarlo con “certi piani” proprio ad agosto del 2020. Spencer ha rifiutato, e Sweeney lo avrebbe quindi invitato a “godersi i fuochi d’artificio” che sarebbero seguiti.

Conclusioni: Tutti gli amici di Epic

La prima settimana del processo sta rivelando come Epic abbia creato una rete di relazioni che si espande in tutta l’industria del gaming. Sfruttando il successo di Fortnite, la compagnia ha approcciato quasi tutti i maggiori attori del mercato per ottenere contratti di esclusiva per il proprio store.

La strategia sembra aver funzionato con Sony. Uno dei documenti del processo svela un’offerta di oltre 200 milioni di dollari da parte di Epic per ottenere esclusive Sony. Un’offerta simile è stata proposta a Microsoft senza successo, per timori legati alla compatibilità con il programma Game Pass su PC.

Epic avrebbe addirittura considerato di approcciare Nintendo su questo fronte. Il piano sarebbe stato però subito accantonato per le eccessive difficoltà della trattativa.

Questi rapporti sono però anche alla base del tentativo degli avvocati di Apple di escludere dal processo le testimonianze dei dipendenti Microsoft. Secondo gli avvocati che difendono l’azienda di Cupertino, l’allineamento di intenti tra le compagnie sarebbe troppo evidente. Inoltre alcuni documenti portati a sostegno della testimonianza di Wright non sarebbero stati forniti agli avvocati di Apple, pratica che viola le regole dei processi statunitensi.

Il processo continuerà nelle prossime settimane, con altri testimoni e probabilmente altre rivelazioni. Sembra che anche Facebook sarà coinvolta, e Apple ha già attaccato i suoi testimoni definendoli inaffidabili. Una cosa sembra essere certa, qualunque sarà la sentenza, dopo che sarà emessa l’industria videoludica cambierà per sempre.