Far Cry 6 è ormai prossimo all’uscita. Ubisoft ha annunciato la data e pubblicato uno spettacolare nuovo trailer. Ma fin dalle prime rivelazioni sul gioco è stato palese quale fosse fosse l’ispirazione per l’isola di Yara, dove la storia sarà ambientata.

L’architettura, le macchine, la gente, tutto richiama con forza Cuba, e non è solo speculazione. In diverse occasione il direttore del progetto Navid Khavari ha raccontato dell’impegno che il suo team ha messo nella ricerca per l’ambientazione del prossimo capitolo di Far Cry.

Il lavoro non è stato soltanto teorico, ma ha incluso un mese di permanenza a Cuba durante il quale il team di sviluppo ha potuto vivere la cultura che avrebbe poi dovuto rappresentare.

Questo intenso lavoro di immedesimazione, Khavari l’ha descritto a The Gamer in un’intervista estremamente dettagliata. Il direttore ha tra l’altro raccontato come gli sviluppatori abbiano avuto modo di rapportarsi con la gente del luogo, e soprattutto intervistare ex guerriglieri. Ed è stato proprio questo dettaglio ad attirare l’attenzione del pubblico e dell’intervistatore.

Far Cry 6 non è solo ambientato in un’isola identica a Cuba. Racconta la storia di una rivoluzione contro un efferato dittatore, che governa l’isola con il pugno di ferro. Se a questo si aggiunge l’interesse per le storie di veri e propri guerriglieri la domanda sorge spontanea: Ubisoft sta commentando la situazione politica Cubana? 

Navid Khavari ovviamente nega: 

Quando parli di guerriglia, pensi ai guerriglieri negli anni ’50 e ’60, quindi siamo andati laggiù per parlare con veri guerriglieri che hanno combattuto allora, e ci siamo innamorati delle loro storie. Ma ci siamo anche innamorati della cultura e delle persone che abbiamo incontrato. […] ci siamo resi conto che [Cuba] è un’isola complicata e il nostro gioco non vuole fare una dichiarazione politica su ciò che sta accadendo a Cuba in particolare.

Effettivamente la storia ricorda più la rivolta guidata da Castro negli anni cinquanta contro un altro dittatore, Batista, piuttosto che un’improbabile rivolta anti-Castro ambientata ai nostri giorni. Se questo fosse il caso, anche dipingere i rivoluzionari cubani come i buoni ha i suoi lati problematici. 

Rimane il fatto che a Ubisoft piace toccare determinati temi di rilevanza politica, professando però assoluta neutralità. Ma i racconti di argomenti come estremismo religioso, dittature e terrorismo portano con sé un commento quasi inevitabile, che trascende l’intenzione, velata o esplicita, dell’autore.