“Quello che mi interessa è porre domande senza risposta”. Non è una citazione tratta da questo film, Le Bal des Folles, ma da un’intervista. L’ha rilasciata la scrittrice del libro omonimo da cui la pellicola diretta, scritta e interpretata da Mélanie Lauren trae la sua storia.
Victoria Mas, questo il nome dell’autrice del romanzo, è all’esordio, ma ha già scalato le classifiche. Il suo libro è acclamato e venduto, e si è meritato questa trasposizione cinematografica, distribuita da Amazon e prodotta da Légende uscita il 17 settembre su Amazon Prime Video.
Tra psichiatria e spiritismo, la storia ci accompagna nel manicomio femminile della Salpêtrière, diretto a fine ottocento da Jean-Martin Charcot, pioniere della sua disciplina. Tra le pazienti incontriamo due delle protagoniste, Louise ed Eugénie, accudite dalla capoinfermiera Geneviève. Ognuna di loro, con la propria storia, pone allo spettatore una di quelle domande senza risposta.
È davvero pazza?
Eugénie è la figlia di una ricca famiglia di Parigi. Giovane, indipendente, appassionata di spiritismo e poesia, non è in grado di adattarsi ad una società che la vuole figlia, poi moglie e infine madre. Le sue stranezze la allontanano dalla famiglia, che la rinchiude tra le mura del manicomio femminile di Salpêtrière. Qui, insieme alla popolana Louise e alla capoinfermiera Geneviève, vivrà la dura realtà che accomuna tutte le istituzioni psichiatriche di fine ottocento, anche quelle guidate da un luminare come il dottor Charcot.
Tra le terapie cruente, l’ipnosi e gli abusi, le tre donne contano i giorni che mancano all’evento dell’anno, il Ballo delle Pazze. Parte della terapia di Charcot, questo particolare ballo in maschera puntava a mostrare, come se fossero fenomeni da baraccone, le varie pazienti di Salpêtrière di fronte ai membri dell’alta società parigina.
Il film, con il suo inizio lento, quasi inganna lo spettatore ad aspettarsi uno sviluppo rettilineo verso un finale scontato. Ma come il manicomio cambia per sempre le protagoniste del film, muta anche l’andamento della pellicola. La storia si srotola veloce, danza fino al Ballo con disinvoltura, tra i dubbi che lascia nella testa di chi guarda.
Il lavoro di Mélanie Laurent dimostra coinvolgimento e passione. Autrice, regista e attrice protagonista del film, Laurent conduce in tutto e per tutto la pellicola nei panni di Eugénie. Sono le sue scelte, di scrittrice, di attrice e di regista, a farti chiedere più di ogni altra cosa: Eugénie, è davvero pazza?
È davvero solo una paziente?
Fin dalla primissima sequenza Laurent mette in chiaro che su questo film c’è la sua firma autoriale. Le inquadrature che scoccano insieme alle campane, suonate in morte di Victor Hugo nella scena che apre la pellicola, sono una dichiarazione di intenti. La regia in questo film si fa notare, è decisa e consapevole dei messaggi che vuole mandare.
In accordo con la fotografia, più discreta ma comunque fondamentale, le scelte registiche di Laurent disegnano i contorni della storia, ricamando solo laddove ci sia lo spazio. Nessun virtuosismo fine a se stesso, solo la cura dei dettagli di quella che infondo è la cornice di questo dipinto.
Il contenuto in sé fatica però a volte a risaltare. La prima metà del film in particolare risulta lenta. La scrittura indugia sulla vita di Eugénie per ampi tratti del primo atto, lasciando poco spazio ai personaggi di Louise e Geneviève per presentarsi. Ne consegue uno sviluppo a tratti leggermente caotico ma intenso, che concede alle protagoniste il tempo di raccontarci la propria personale tragedia. Il terzo atto, racchiuso nell’ultima mezz’ora, presenta il Ballo da cui il film prende il nome, ma risulta un po’ frettoloso.
Non mancano le scelte coraggiose. Molto spesso quando un media ritrae la follia, non resiste alla tentazione di darle un volto; di mostrare allo spettatore le visioni del folle, fargli ascoltare le voci, dare una causa evidente ai deliri. Aiuta a empatizzare, a immedesimarsi nel protagonista, altrimenti alienato dalla sua follia. Laurent invece compie la scelta di non mostrarci mai in cosa consista la follia di Eugénie.
Questo perché sono gli effetti della sua pazzia ad essere importanti. Sia quelli che le visioni hanno sulla protagonista stessa, che quelli che si manifestano sulle comprimarie, in primis Geneviève. Eugénie scuote le fondamenta di Salpêtrière, come voleva scuotere quelle della società che la opprimeva. Quello che la regista ci chiede, con questa scelta è: la nostra protagonista, in questo posto, è davvero solo una paziente?
È davvero tutto legittimo?
Le Bal des Folles si sviluppa su due piani. Il primo è quello descrittivo, semplice ritratto della vita a Salpêtrière, coerente al punto giusto alla realtà storica da non necessitare di forti prese di posizione. L’istituzione, guidata da uomini, usava le donne che la società riteneva indesiderate come cavie per sviluppare una nuova scienza.
È sul secondo piano di sviluppo che la pellicola si fa più intricata. Le scelte, sia della sceneggiatura che della regia, pongono dubbi sul valore della scienza in quanto tale, e sulla sua validità. Lo fanno con un sottile paragone, quello con lo spiritismo, prima evocato con il funerale di Hugo e le opere di Kardec, e poi incarnato nella follia, o nei poteri, di Eugénie.
Il film apre volontariamente dubbi nel pensiero dello spettatore, senza dar loro una vera risposta. Le domande che pone sono chiare: da dove la scienza trae la sua legittimità? Dal prestigio di un luminare? O dagli effetti che essa ha sui suoi soggetti?
E forse proprio questi dubbi, sono una delle poche note che mi hanno lasciato stupito. È una riflessione, quella sul rapporto tra scienza e società, che ha radici profonde, ma è curioso che si esprima in queste opere (libro e film), proprio ora.
Grazie alla pandemia, negli ultimi due anni la scienza è diventata divisiva. Nel dibattito pubblico non c’è via di mezzo: o sei con gli esperti, o sei contro. Inserirsi nel mezzo di queste fazioni, criticando la scienza come istituzione più che come interpretazione del mondo, è una posizione coraggiosa, come lo è ogni opinione che tenta di rompere la contrapposizione tra due estremi.