Parto con uno spoiler: reputo che Dying Light 2, nel complesso, sia un gioco valido. Che non è poi tanto spoiler considerando che, bene o male, la critica ha dato pareri postivi al prodotto. Qualcuno è stato più tiepido – o severo – ma sostanzialmente è stato promosso più o meno da tutte le realtà. Ma il fatto che il gioco risulti per me più che sufficiente serve solo a dare un senso al discorso che segue. Risulta infatti lampante, almeno così è stato per me, quanto il potenziale inespresso del titolo, e le sue innegabili mancanze, gli conferiscano una natura “meta-game” al quale non riesco a non pensare.
Denti nella carne
Non si è ben capito cosa sia andato effettivamente storto nell’iter produttivo di Dying Light 2, ma qualcosa è successo. Il tutto è iniziato con l’allontanamento di Chris Avellone, la cui scrittura era stata – comprensibilmente – annunciata a gran voce dal team polacco, assicurando ai giocatori che le maglie narrative del titolo sarebbero state intessute da uno dei migliori scrittori del medium. Certo è che il tentennamento del reparto narrativo non basta a inficiare ogni aspetto dell’opera, per quanto in una produzione del genere è chiaro che ogni tassello che viene a mancare in maniera improvvisa rischi di far crollare tutta la costruzione.
Impossibile poi non immaginare quanto la pandemia abbia influito sullo sviluppo, ma il problema centrale dell’open-world zombiesco potrebbe anche essere riscontrato in una semplice ingenuità produttiva. L’estro di Techland era intenzionato infatti a confezionare un’opera più densa, profonda e sfaccettata, non solo irrobustendo quanto di buono era stato creato con il primo Dying Light ma esplorando altre strade e abbracciando nuove soluzioni. L’allineamento della città è un esempio perfetto per descrivere quanto sopra. Lo stesso Smektala, lead game designer, nel corso dell’aprile scorso ha specificato quanto la feature fosse sfuggita al loro controllo, dapprima sarebbe dovuta essere più permeante e impattante sulla struttura della mappa e modularsi a seconda prese dal protagonista. È diventata invece un’aggiunta sicuramente gradita e che si presta alle esigenze dei giocatori, ma sicuramente molto più slavata di quanto non avrebbe dovuto essere. Giocoforza, fare dei passi indietro su questo aspetto di game design può aver facilmente influito su tutta la produzione.
Ed è per questo che Dying Light 2 veste i panni dello zombie in prima persona. La qualità altalenante dell’opera incarna involontariamente quella dei suoi protagonisti. È un titolo trascinante e con mordente, ma al tempo stesso zoppica, si muove nevroticamente, spesso a vuoto e non riuscendo sempre a colpire il giocatore.
“Sii come acqua.”
Quello che funziona meglio all’interno di Dying Light 2 è sicuramente il Level Design. Non solo viene sorretto da una caratura artistica solidissima ma riesce a creare un mondo organico e verticale da esplorare senza soluzione di continuità, un enorme parco giochi che però non appare mai artificioso o veicolato. Quando si tratta di esplorazione e delle dinamiche parkour, il gioco dà il meglio di sé. Ci sono dei difetti, Dying light 2 infatti scopre il fianco ad alcuni problemi tecnici legati a collisioni e animazioni che pur non essendo ingerenti spezzano in alcuni casi una fluidità di movimento altrimenti perfetta. Nonostante queste sbavature, comunque da tenere presenti, l’anima platform di Stay Human è il suo fiore all’occhiello e farà la gioia di ogni amante dell’esplorazione. Si passa fra interni ed esterni in un battito di ciglia, si svetta sui vari livelli senza mai dover prendere fiato e ogni appiglio mancato può portare a una nuova strada, a una soluzione differente per arrivare all’obbiettivo.
Purtroppo, lo stesso non si può dire del combat system. Seppur animato da buone intenzioni – e intuizioni – che vedono gli scontri all’arma bianca giostrarsi sempre in ottica di movimento fondendosi con le dinamiche parkour del protagonista, gli scontri risultano troppo farraginosi, ripetitivi e poco tecnici. Affrontando un unico avversario, magari dotato di peculiari abilità, le mancanze si sentono meno, pur non brillando gli 1v1 si lasciano giocare, anche se troppo pigramente, ma quando ci si ritrova attorniati da nemici, soprattutto se morti viventi, il ritmo di gioco rallenta inesorabilmente fino a smorzarsi e mostrare tutte le sue debolezze. È un difetto che va considerato, perché non sempre è possibile evitare il faccia a faccia scegliendo di (s)lanciarsi nei verticalismi della mappa di gioco, molti scontri non sono evitabili e fanno più male di un morso infetto.
La struttura ludica di Dying Light 2 risulta quindi spaccata a metà, un po’ come il mondo che vuole rappresentare. Sebbene sia possibile far crescere le abilità del protagonista sia nel movimento sia nello scontro “mano-a-mano”, se nel primo caso si percepisce una buona evoluzione delle proprie capacità, nel secondo ci si sente sempre ancorati a un sistema fallato alla base, con troppo potenziale inespresso.
La fredda luce del giorno
Il versante tecnico di Dying Light 2 è l’ennesimo specchio di un’opera non completamente a fuoco, vittima in parte della sua natura cross-generazionale ma anche funestata da due anni di sviluppo capitati nel peggior periodo possibile. Ciò non toglie che in termini di ottimizzazioni si sarebbe dovuto far di più, su PC il titolo risulta fluido solo su configurazioni più che performanti e pur scendendo ai minimi compromessi, perlomeno prima del d1, anche su una macchina che rientra abbondantemente nei requisiti minimi, spesso il gioco non riesce a stare al passo. Alcuni bug e difetti visivi poi portano l’esperienza a non essere sempre pulita e “quadrata” come dovrebbe, sebbene potendosi – quasi – sempre affidare ad un colpo d’occhio d’impatto. Avendo testato il titolo anche su Xbox Series X, post patch d1, ho trovato che al netto di alcune sbavature non troppo consistenti, il titolo risulti molto gradevole in modalità Performance ma pericolosamente incerto se spostato su Qualità. Il mondo però si rivela estremamente generoso di dettagli e traboccante di anfratti e strade da percorrere, restituendo l’idea di una città ferita e corrotta ma al tempo stesso viva e presente. L’intricato scheletro di una società decaduta e senza abbastanza forza per rialzarsi.
Nel complesso insomma, Dying Light 2 – Stay Human è vittima non solo degli eventi ma anche di sé stesso. Esce oltretutto in uno dei mesi più floridi dell’ultimo lustro in quanto uscite e difficilmente può spuntarla sui suoi numerosi avversari. Inoltre, in un’epoca in cui il pubblico si rivela sempre più esigente e troppo spesso capriccioso, un titolo valido ma decisamente imperfetto come questo potrebbe soccombere alle alte aspettative dei giocatori. Un doppio peccato perché, nonostante tutto, quella di Dying Light 2 è un’esperienza sì malferma e incompleta ma anche genuinamente divertente. La scrittura non sempre è a fuoco e si passa da dialoghi e personaggi scritti ottimamente a soluzioni narrative che portano più di un sopracciglio a inarcarsi. Il combat system risulta troppo monocordo ma quando ci si addentra nel mondo di gioco, si vede tutta la bontà della produzione. Dying Light 2 sarebbe dovuto essere più morigerato nei sogni, mantenendo l’attenzione sui suoi veri punti di forza e investendo in essi le proprie energie, scegliendo invece un percorso più impervio, perdendosi a più riprese per la strada. Ma è un viaggio che vale comunque la pena percorrere.