L’evoluzione, è un lavoro difficile

Abbiamo già parlato di questo gioco circa una settimana fa, mentre davo le mie impressioni sommarie dopo una dozzina di ore di gioco. Ed erano un po’ dubbiose. Dopo aver accumulato un giocato più che doppio, ritorno per darvi il mio giudizio definitivo. 

Reintroduciamo meglio il gioco. Ancestor è un gioco survival ambientato 10 milioni di anni fa. Controlliamo un nostro antenato ominide e dobbiamo seguire la sua evoluzione nelle ere, in circa 8 milioni di anni di storia. Il gioco ci chiede una cosa specifica: può la nostra comunità evolversi più velocemente della storia?

Ecco quindi che, comandando il nostro ominide, dovremmo imparare a fare tante cose. Usare rami secchi come armi ed attrezzi da pesca, sfruttare le rocce come utensili, insegnare ai nostri figli e far crescere il clan con del tanto buon sesso. Per far ciò, dobbiamo sfruttare l’intelligenza ed i sensi del nostro ominide, per analizzare l’ambiente circostante ed usare i nostri arti per manipolare la natura intorno a noi. Il tutto sempre controllando lo stato di salute nostro e del clan, assicurandoci cibo, acqua e riposo. E sono proprio le risorse finite che spingono all’esplorazione. I nostri omonidi devono farsi coraggio e vincere le proprie paure per trovare nuovi fertili territori.

Trovare nuovi posti dove vivere dovrete rischiare la pelle insieme, spostandovi in gruppo

Dal punto di vista concettuale Ancestor: Humankind Evolved si presenta come un qualcosa di nuovo e ambizioso. Insegnarci la complessità dell’evoluzione attraverso meccaniche dei survival. E tutto questo funziona. La curiosità iniziale, dovuta alla totale mancanza di indicazioni dati dal gioco, il continuo senso di scoperta nel trovare nuove azioni ed oggetti e testare le svariate permutazioni possibili, vi spinge avanti, esattamente come un buon survival deve fare. Purtroppo questa sensazione è di breve durata, perché il gioco fallisce nell’avere un’implementazione delle sue meccaniche tale da supportarlo sulla lunga durata.

Due passi avanti, uno indietro

Il primo problema è nella progressione del gioco. Questa avviene su 3 distinti livelli. Il primo, quello più basso, vede i nostri ominidi accumulare energia neuronale al compimento di ogni azione base del gioco, se hanno con sé dei bambini che osservano per imparare. Quest’energia neuronale serve a sbloccare diverse capacità: si va dal passare un oggetto da una mano all’altra, a sensi migliorati a aumentate capacità comunicative con il nostro clan. Dopo aver accumulato abbastanza energia ed aver generato abbastanza figli, si può eseguire un salto temporale di 15 anni per passare alla generazione successiva, che avrà nuove capacità genetiche derivanti dalle abilità apprese dai genitori. Dopo aver compiuto numerose azioni nel mondo, sarà possibile saltare di ere ed usare specie sempre più moderne di ominidi.

In teoria tutto perfetto, ma c’è una cosa che tritura i maroni più del voluto. Ad ogni passaggio in avanti, non vengono portate con sé tutte le abilità dello stage precedente. Quindi ad ogni step, c’è bisogno di spendere del tempo per ottenere quello che già si aveva. Questo segnale di alt, usato forse per raffigurare la natura lenta dell’evoluzione, mal si sposa con un gioco dove la maggior parte delle azioni base sono ripetitive e noiose di per se. Le nostre scimmie fanno davvero poche azioni in movimento ed il gioco è un continuo fermarsi per analizzare e manipolare e poi ripartire. Non è fluido. Ciò che ti tiene attaccati al giocare è avere una sensazione di crescita costante verso un obiettivo, sia esso personale o imposto dal gioco. Gli unici momenti dove dovremmo perdere, sono quando noi compiamo un errore o quando l’elemento fortuna ci gioca contro, e non con paletti imposti per aumentare il tempo di grind.


Occorrono 15 colpi di pietra per trasformare un bastone da normale ad appuntito. 15.

Sull’effetto fortuna il gioco inoltre va irritare tantissimo, legandosi ad un elemento di buggosità: quando si fa un salto di era, in modo totalmente casuale, il proprio insediamento può essere spostato in una delle oasi scoperte durante la propria esplorazione. In uno di questi momenti mi ritrovai spaesato e pericolosamente vicino a degli animali feroci, che hanno in effetti distrutto il mio clan. La natura del gioco non prevede slot di salvataggi, quindi ho dovuto ricominciare da capo. Poi ho iniziato ad ovviare copiando i file di salvataggio ad intervalli regolari avendo giocato su PC, altrimenti questa recensione sarebbe arrivata nel duemilacredici.

Anche le belve feroci, presentano dei bug notevoli. Mi ero appena allontanato dal mio insediamento quando, all’improvviso, letteralmente dal nulla, è apparsa una belva feroce. Ho provato a schivare ed attaccarla in quello che è uno dei peggiori QTE che la storia recente dei videogiochi ricordi, e sono fuggito su un albero. E la belva è sparita: non nel senso che non si vedeva poiché fuggita o nascosta. Appena la telecamera non la ha più inquadrata con me in zona sicura, puff, andata via. Avendo peraltro intorno i membri del mio clan, che non sono stati attaccati.

Un giorno da leoni, cento da pecora

Gli animali feroci sembrano vivere solo a discrezione del giocatore. Il che rende il tutto poco vivo. Ed è un peccato perché le ambientazioni sono realizzate bene, restituendo un meraviglioso senso di natura incontaminata. Le scimmie possono arrampicarsi su un po’ tutte le superfici e oscillare tra le fronde offre i suoi momenti esilaranti, quando la telecamera non lotta contro i movimenti del giocatore e quando la vegetazione è fitta a sufficienza.

Malgrado i salti di centinaia di migliaia di anni alla volta, il mondo e la vostra tribù rimarranno uguali. Sempre più un buff passivo che una vera conquista.

E così ho continuato a trascinarmi. Di generazione in generazione. Di pericolo in pericolo. Passando ad usare ossa come armi invece di fuggire come un imbelle, a pescare grossi e sani pesci invece di mangiare foglie. Cacciando animali per risorse invece di fuggire e basta. Cambiando il mio scenario circostante. Odorando nuove cose. Fino a quando ad un certo punto, non ce l’ho fatta più. La gioia della scoperta è sparita ed è rimasta solo la noia. Intendiamoci: sono comunque convinto che l’idea dietro il gioco sia ottima.

Ci sono momenti di brillantezza e di stupore in Ancestor. In fondo ci sono certe cose che solo i videogiochi, con la loro interattività possono insegnarci o comunque possono farci vivere. Ma costruirli in modo che tali idee siano espresse al meglio, non è sempre facile. Ancestor: The Humankind Odyssey, rende tantissimo nelle prime ore, per poi spegnersi. Mi dispiace, ma nella mia timeline, gli ominidi non sono mai arrivati a diventare Sapiens. Spero con tutto me stesso che Panache Digital Games continui a proporre idee nuove come queste, ma anche che riescano a crescere come game designers.