Questa settimana ho avuto modo di assistere alla proiezione dei primi due episodi di Hunters: la nuova serie di punta di Amazon Prime, prodotta in collaborazione con Monkeypaw Productions, casa produttrice fondata dall’acclamato Jordan Peele, e in arrivo sulla piattaforma il 21 febbraio.
La prima scena si apre su Biff (Dylan Baker), anfitrione ad una grigliata bordo piscina, che si vanta con i suoi ospiti di quanto sia informale col suo capo Jimmy (Carter, il 39° presidente degli Stati Uniti), e il quadro generale è un condensato degli stereotipi sull’America red white and blue. Tutto fila liscio fino all’arrivo di un giovane dipendente e sua moglie, che appena entrata in giardino si becca le prevedibili battutine sessiste del padrone di casa, quindi afferra il ciondolo con la stella di David che porta al collo e rimane paralizzata. Non per il casual sexism- bastasse così poco non potrebbe uscire di casa nel 1976- ma perché non si tratta del suo primo incontro con Biff: tra singhiozzi e balbetti riesce a scandire una sola parola: “Macellaio”. La donna ha riconosciuto nel Segretario di Stato il direttore del campo di sterminio dove era stata deportata. Biff cerca di respingere le accuse e chiama la donna una povera isterica, prima di recuperare una pistola nascosta sotto la griglia e uccidere i presenti, compresi moglie e tre figli. A questo punto si rivolge all’ebrea, l’unica rimasta in piedi dopo la carneficina, e, senza più il suo fastidioso accento americano, si abbandona ad un delirio nazista guardando dritto in macchina, prima di spararle in testa.
Dopo i titoli di testa ci viene presentato Jonah (Logan Lerman), il vero protagonista di Hunters, un ragazzo ebreo nerd e spacciatore per necessità. Rimasto coinvolto in una rissa unilaterale con un bullo (girata molto, ma molto peggio della scena iniziale) torna a casa a farsi rimproverare dalla nonna, e a sfattonare un po’. Mentre è sul letto sente sua nonna gridare “non puoi nasconderti” a una figura mascherata, prima che questa la uccida a sangue freddo. Al funerale Jonah incontra Meyer Offerman (Al Pacino), amico di sua nonna e sopravvissuto insieme a lei ai campi di concentramento nazisti. Si scopre presto che è in corso una guerra clandestina tra i nazisti che hanno trovato rifugio in America e un gruppo di ”cacciatori” guidato da Meyer.
Per quanto visto finora Hunters ha sicuramente dei punti di forza ma il risultato finale lascia impressioni contrastanti, specialmente sugli intenti degli autori (no, non sto accusando nessuno di essere filonazista). Gli aspetti tecnici si attestano sugli standard a cui siamo abituati: la regia è abbastanza essenziale, alcune sequenze brillano, specialmente quella iniziale, altre risultano meno convincenti, ma al netto di alti è bassi il livello è quello di tv di qualità che ci aspettavamo tutti da una produzione di punta. Già più interessanti le scenografie, e l’uso del colore di alcuni sfondi per dare più forza alla messa in scena. Il montaggio in alcune sequenze non riesce a mascherare i colpi che non vanno a segno, ma l’azione in sé non è il fulcro della serie (almeno per ora), e anche qui ci sono alti e bassi. La fotografia nei flashback ambientanti nei campi è molto meno cupa e didascalica di quanto ci si aspetterebbe, difficile dire se sia un bonus o meno.
Le performance sono solide con alcune eccellenze: Al Pacino è sempre un grandissimo attore, ma trionfa su tutti Dylan Baker, già consacrato per il ruolo del pedofilo in Happiness, e che con Hunters può aggiungere anche il gerarca nazista alla lista delle sue interpretazioni magistrali. Il protagonista è comprensibilmente sottotono rispetto ai due giganti che lo circondano, ma è convincente quanto basta. Comprimari ottimi (su tutti Carol Kane, Saul Rubinek e Louis Ozawa Changchien), tranne Josh Radnor che ha smesso anche solo di fare finta di essere un attore. I cacciatori non protagonisti sono abbozzati al momento, e solo il tempo potrà dirci se saranno relegati per sempre a macchiette o se la scrittura riuscirà a veicolare il talento degli interpreti. Gli henchmen nazisti invece sono completamente sopra le righe, se così si può dire, ma riflettono l’ideologia che portano avanti. L’unico che sembra più pacato è il personaggio di Greg Austin, una sorta di Mr. Wolf nazi che per il quarto reich è disposto a ripulire scene del crimine, come a farsi fotografare mentre fa sesso con vecchi senatori repubblicani per ricattarli. Si tratta anche del cattivo con maggiore screen time, oltre che una delle principali fonti di cringe nazista della serie: le sue interazioni con la gente sembrano ricalcate dai commenti su /pol/ (la board di 4chan dedicata ai meme nazionalsocialisti) alla foto di una coppia interrazziale.
La più grande incognita della serie al momento, come accennato prima, rimane l’intento degli autori e se questo sia effettivamente riuscito a prendere forma nell’opera. È presto per aspettarsi un qualcosa di ben definito, ma la sensazione dopo queste due ore è che lo show abbia un problema di identità, e che non riesca a scegliere un tono consistente con cui affrontare il tema trattato, e di conseguenza Hunters rimbalza tra Schindler’s list e Wolfenstein. La scrittura non è particolarmente sottile, e se questo si può interpretare come una parodia del nazismo dove è applicabile, lo stesso ragionamento non può valere per tutto il resto. Jonah è povero, così povero che deve spacciare, e quando la nonna gli dice che non deve spacciare lui le risponde che sono poveri e questo è l’unico modo che hanno per mangiare tutte le sere; Jonah riceve lettere da varie università di prestigio ma non può andare perché è povero e deve occuparsi di sua nonna povera, perché sono poveri. Si può credere all’intenzionalità di scene in cui un nazista, fissando una ragazza di colore intenta a fare il bucato in una lavanderia a gettoni, le dice “Bisogna sempre separare i bianchi dai colorati”, ma non al resto. Non alla poliziotta di colore omosessuale che racconta alla compagna la fiaba di Hansel e Gretel trasformandola in un manifesto ante litteram della gioventù hitleriana.
È difficile dire quanto ci sia di meta in tutto questo, quanto lo show voglia decostruire l’estetica nazifascista e quanto usarla per essere edgy e attuale, pur non toccando realmente (almeno per ora) i temi più caldi e le contraddizioni più evidenti nella società americana. Del resto si tratta di critiche mosse all’epoca anche al meraviglioso The Producers di Mel Brooks, che ad oggi rimane una delle satire più pungenti e sagaci mai fatte sul nazismo, e soprattutto sugli spettatori del nazismo. Anche in questo lo show non è affatto sottile, ma il senso di frustrazione davanti all’inazione delle istituzioni è reale. Una interpretazione molto possibile del continuo vomito di retorica che colpisce lo spettatore è “Che altro ti serve per capire chi è questa gente?” Sono anni che il discorso politico continua a sminuire e giustificare esempi palesi di retorica nazifascista, tanto che ormai non c’è più nemmeno bisogno di agghindarla. Hunters nasce in un contesto storico in cui anche i nazisti in carne ed ossa non hanno più alcun bisogno di nascondersi, e in questo senso cattura perfettamente lo spirito del tempo.