Capcom ha saputo sicuramente dimostrare grande coraggio con Shinsekai Into the Depths. I famosi livelli sottomarini, sopratutto per chi ha un background da videogiocatore nato intorno agli anni ’90, rappresentano per molti il male assoluto del level design. L’idea di nuotare sott’acqua si è sempre tradotta in frustrazione per i movimenti rallentati, poco precisi e la necessità di raccogliere ossigeno. Queste tre dinamiche hanno saputo col tempo far odiare tale tipologia di livelli a moltissimi utenti. La software house giapponese ha d’altro canto deciso di basarci un intero videogioco. Un plauso al coraggio.

Il protagonista di Shinsekai non è infatti un nuotatore provetto e, come tutti noi, ha bisogno di ossigeno per poter respirare. Avviato il gioco ci si ritrova davanti ad una sequenza introduttiva talmente scarna da non poter neanche rappresentare un vero e proprio pretesto: l’alter-ego dell’utente, ultimo sopravvissuto della razza umana a seguito di una sorta di Big Freeze globale, ha trovato rifugio sott’acqua, laddove il ghiaccio sembra non poterlo raggiungere. Poco inaspettatamente viene però coinvolto in una sorta di valanga. Il ghiaccio prende possesso della dimora, ponendoci nella situazione di dover esplorare il fondale senza una precisa meta.

Queste sono le pochissime informazioni date al giocatore all’inizio dell’avventura. Tale scelta risulterà rivelarsi più che azzeccata visto il tono cupo, riflessivo e a tratti claustrofobico che contraddistingue questa produzione.

Switch è il miglior amico del mobile gaming

Shinsekai Into the Depths non è un’esclusiva Nintendo Switch. Il titolo è stato sviluppato appositamente per Apple Arcade e lanciato sul mercato lo scorso autunno. Di fatto si tratta di un titolo mobile. Questo, ancora una volta, pone Switch nella comoda posizione di essere la piattaforma di riferimento per tutti quei publisher, abituati a lanciare i propri prodotti sul mercato smartphone, intenzionati ad approcciare una specifica tipologia di videogiochi anche su console. Questo però non significa che tali titoli vadano giudicati con il metro di giudizio che solitamente si utilizza analizzando un software iOS o Android.

Graficamente il titolo risulta gradevole, ma chiaramente mostra il fianco a tutti i limiti dovuti dalle sue origini. Le texture non sono quasi mai ben definite e, malgrado una risoluzione più che soddisfacente, l’immagine risulta spesso sporca. A salvare sul piano meramente tecnico la produzione ci pensano le animazioni. Il protagonista si muove in maniera realistica ed ogni interazione con l’ambiente, scriptata o meno, è riprodotta attraverso animazioni fluide e straordinariamente ben riuscite. Medesimo discorso anche per i nemici e tutti i comprimari dell’avventura.

In generale dunque non si può parlare di un comparto tecnico non riuscito, anche alle luce di un sound design convincente nel saper riproporre la sensazione di essere effettivamente sommersi da innumerevoli tonnellate d’acqua. Ad essere deludente è la scelta della palette di colori utilizzata all’interno degli ambienti di gioco. In Shinsekai non si vive un’avventura felice e spensierata ma un po’ di vivacità nei colori, soprattutto negli sfondi dei vari livelli, avrebbe sicuramente reso più appagante l’esplorazione ed avrebbe fatto venir meno la sensazione di ripetitività che suscita il titolo dopo diverse ore di gioco.

Il fulcro di Shinsekai

L’esplorazione è il fulcro dell’intera esperienza proposta dal titolo targato Capcom. Per poter scandagliare completamente il fondale marino, il nostro protagonista è legato a diversi fattori di disturbo ambientale, oltrepassabili attraverso il raggiungimento di eventi chiave o tramite potenziamento. Innanzitutto vi è la necessità di far respirare il nostro palombaro. Il giocatore ha infatti a disposizione diverse bombole di ossigeno, le quali rappresentano anche la barra della vita dell’esploratore potendosi danneggiare e rompere definitivamente. Le bombole possono essere sostituite, riparate o ricaricate in appositi punti disseminati per la mappe (tra cui anche checkpoint o safe zone prive di acqua). Oltre all’incombenza dell’ossigeno, vi sono anche diversi ostacoli ambientali collocati in punti strategici della mappa. Per superarli è necessario ottenere l’adeguato equipaggiamento. Infine vi è il più grosso nemico presente in Shinsekai: la pressione. Scendendo nelle profondità, la pressione aumenterà. Le zone in cui tale risulta essere troppo alta per poterla sopportare, sono rappresentate con una colorazione rossa. Potenziando la tuta è possibile aumentare la resistenza e dunque anche le quantità di zone esplorabili liberamente.

Come si potenzia però l’equipaggiamento? Semplice: raccogliendo materiali. Per tutta l’ambientazione di gioco sono disseminati minerali, o piante, in grado di esser riutilizzati per aumentare l’efficacia della tuta, nonché delle armi e dell’equipaggiamento a disposizione del giocatore. Ad aiutare l’utente nella raccolta ci pensa un piccolo drone, sbloccabile subito dopo le primissime sequenze iniziali. Il nostro piccolo aiutante è grado di individuare e raggiungere alcune risorse altrimenti non accessibili. Qui sorge un altro grosso difetto del titolo, ovvero la poca leggibilità dell’interfaccia. Cosa potenziare e come non è chiaro fin da subito. Il sistema di crafting viene comunque spiegato al giocatore ma rimane comunque poco intuitivo nella tipologia di materiali da impiegare. Insomma, non stando attenti si rischia di raccogliere risorse a casaccio o di utilizzarle nella maniera sbagliata. Il consiglio è quello di focalizzarsi molto sulla minimappa, la quale da indicazione (previa analisi del territorio circostante al giocatore) della posizione delle materie prime fondamentali per proseguire nell’esplorazione.

Il drone funge anche da espediente narrativo per il proseguimento della storia. Non sarà comunque l’unico, anzi, il gioco potrebbe stupirvi piacevolmente con le sorprese e gli arricchimenti nel gameplay sbloccabili con lo scorrere delle ore. Di fatto il robottino indica al giocatore i punti di interesse della mappa da raggiungere, riuscendo a dare un certo equilibrio ad un gameplay che altrimenti propenderebbe verso un’insensata esplorazione senza motivazione alcuna. In tutto questo contesto, ricco di cose da fare – che rischiano comunque di diventare ripetitive – ci si dimentica presto di trovarsi sott’acqua. Questo si traduce fortunatamente nella totale assenza di quella sensazione spiacevole di dover correre contro il tempo per poter trovare fonti di ossigeno per sopravvivere. Un plauso dunque va fatto ai level designer di Shinsekai per aver affrontato al meglio la più grossa problematica dovuta alla scelta dell’ambientazione subacquea. I punti di ricarica sono molti e ben indicati. Difficilmente ci si ritrova a secco di ossigeno.

Combat system, il grande assente

Vivere un’intera avventura sott’acqua non comporta però solo quanto appena descritto. Gli sviluppatori hanno dovuto anche modellare un sistema di movimento in grado di riprodurre la poca confidenza con un ambiente ostile all’uomo. Il protagonista è lento, impacciato, pesante. Ci si può comunque muovere in maniera più rapida grazie all’ausilio dei propulsori della tuta, i quali però potrebbero, in caso di raggiungimento di velocità elevate, danneggiare le bombole di ossigeno in nostro possesso. Insomma il sistema di controllo è profondo e complicato. Può sicuramente essere frustrante, ma una volta padroneggiato regala diverse soddisfazioni.

Non si può dire lo stesso per quanto riguarda il sistema di combattimento. Fino ad ora non ho menzionato la presenza di nemici. Forse perché vorrei dimenticarmene. Le creature a noi ostili non sono riprodotte male. Sono variegate ed alcune di esse sorprendentemente intelligenti. Anche le meccaniche legate ad esse non sono poi tanto male. Basta pensare che, ad esempio, per poter aggirare degli squali il giocatore può utilizzare alcuni diversivi come far illuminare delle meduse per distrarre l’interesse del predatore dal nostro passaggio. Il problema è il combat system, che di fatto non esiste. L’ultimo sopravvissuto della razza umana dispone di un semplice attacco corpo a corpo, basta. Fine. Tutto il resto si basa nell’utilizzare gli stessi strumenti utili all’esplorazione. Sì, si possono arpionare i pesci, ma risulta tutto estremamente impreciso. I boss sono invece ben integrati e abbastanza divertenti da affrontare, al netto delle criticità dovute alle ridottissime possibilità di combattimento presenti nel gioco.

Shinsekai Into the Depths è un prodotto sicuramente riuscito. Unire l’esplorazione, la risoluzione di enigmi ambientali mai banali (ripeto, forse un tantino ripetitivi) ed un level design tutto sommato ben calibrato ha dato la possibilità a Capcom di pubblicare un titolo davvero interessante. Probabilmente si sarebbe potuto ottenere di più dalla conversione da Apple Arcade. Il gioco troppo spesso mostra il fianco ad un comparto tecnico non proprio all’altezza. Un peccato viste le possibilità che un concept ed un’ambientazione simile possono offrire. Il comparto audio è assolutamente godibile tanto da stridere se comparato a quanto percepito dagli occhi del giocatore. Retaggio della versione mobile anche l’interfaccia, per la quale sarebbe stato auspicabile un lavoro molto più profondo da parte degli addetti al porting. Il gioco è comunque, malgrado i difetti, in grado di parlare al giocatore attraverso una narrativa silenziosa, basata sulle scoperte che affiorano proseguendo nella storia ed addentrandosi nei profondi e bui meandri del mondo di gioco. Imperdonabile però la grossolanità dei combattimenti.