Questo periodo potrebbe esser definito il periodo delle rinunce. Molti di noi, studenti, lavoratori, genitori e tanti altri, cerchiamo di andare avanti con le nostre vite anche in piena emergenza Coronavirus. Rinunciamo ad uscire con gli amici, oppure a tornare a casa dai propri cari per evitare un’eventuale diffusione del virus, o ancora rinunciamo al nostro lavoro (se parliamo dei lavoratori che non possono effettuare il proprio impiego tramite SmartWorking). Tutte insieme, queste rinunce creano dei buchi neri nelle nostre giornate che noi – come esseri umani – cerchiamo di coprire in vari modi. Tra le varie attività di svago possibili all’interno della propria abitazione, l’uso di internet è certamente il più popolare.
Nel corso degli ultimi 20 anni, l’accesso ad internet è diventato un momento fortemente presente nella nostra routine, anche grazie all’arrivo degli smartphone. E pur avendo creduto che Internet fosse relativamente infinito, quest’ultimo invece possiede – come ogni altra risorsa sul pianeta – un limite esauribile: la banda dati. Cercando di utilizzare termini terra terra, questa banda dati viene divisa e gestita singolarmente da vari distributori (chiamati anche Internet Service Provider), che la rendono disponibile (attraverso una vera e propria tassa) agli utenti. Tuttavia, negli ultimi giorni sembra che neanche questi ultimi riescano a gestire il traffico creato da tantissime persone chiuse in casa, al punto da costringere la Commissione Europea a chiedere ai CEO di Netflix e YouTube di abbassare la qualità dei propri servizi. E sebbene la situazione sembri stabile, è innegabile che per alcuni utenti questo disservizio involontario abbia creato qualche disagio e malcontento, talvolta di tipo tossico. E cosa succede quando si va a creare una grande ondata di malcontento verso qualcosa di intangibile? Si cerca un colpevole (dicasi il capro espiatorio). Più popolare è il target dell’attacco e più rumore produrrà.
E tra le varie capre mandate al macello da questa gogna insensata, oggi restringiamo il campo su un terreno di nostra competenza: i videogiochi. Come sapete, una delle componenti chiave del videogioco è l’interazione che si viene a creare attraverso una sfida tra più giocatori. E laddove il multiplayer locale non arriva (soprattutto durante emergenze come questa), ci pensa il multiplayer online a tenerci tutti uniti e vicini. Ebbene – secondo i media – è proprio il multiplayer il colpevole del nostro mistero targato Cluedo, ma partiamo con ordine.
LA GRANDE FESSERIA
Negli ultimi giorni, girando tra pagine Facebook (di memini e non), mi sono imbattuto in questa simpatica testata giornalistica. Il titolo: I giocatori sono chiamati a giocare responsabilmente per evitare l’affaticamento della rete.
Tralasciando il titolo che, personalmente, mi fa venir voglia di tagliarmi le vene col sottofondo di un violino suonato da un russo gobbo, leggendo l’articolo è possibile notare un gigantesco errore: è approssimativo. Approssimativo nell’esporre il problema, approssimativo nelle fonti ed approssimativo nel puntare il dito verso il target dell’attacco. Ora, mi rivolgo all’autore dell’articolo (che ovviamente non raggiungerà mai questa pagina) perché vorrei anzitutto stringere un legame con quest’ultimo, dopodiché smontare ogni sua castroneria: caro mio – che ti firmi come Press Association – dopo ti passo i dati della mia Postepay, così paghi a ME l’articolo che IO sto facendo per TE.
LE NOSTRE COLPE
Incredibilmente inizio con un mea culpa, perché effettivamente in questa faccenda della banda larga qualche colpa ce l’abbiamo davvero: i vari download di software/videogiochi.
Di questa cosa non ne parla neanche l’articolo originale, un po’ perché la qualità è quella che è, un po’ perché si parla comunque di uno scenario di poco conto. Durante quest’ultimo periodo, l’unico gioco che con il suo download può mettere in difficoltà il traffico della rete è Call of Duty: Warzone. Mi spiego meglio: il battle royale targato Activision è sì disponibile gratuitamente, ma scaricabile in due modalità differenti. La prima – riservata a chi possiede ed ha già installato Call of Duty: Modern Warfare – si aggira tra i 18 ed i 22 GB; la seconda, disponibile a tutti gli utenti, si aggira tra gli 80 ed i 100 GB.
Siamo tutti d’accordo che si tratti di un consumo dati che, se effettuato da tantissime persone contemporaneamente, andrebbe a creare disagi. Tuttavia, a stringere il range dei dati ci pensa non solo l’evidente divisione dell’utenza (tra chi già possiede il titolo e chi no), ma anche il fatto che parliamo di un singolo titolo. Andando a cercare una lista dei titoli più giocati online ed andando ad informarci sul loro peso in Gigabyte, possiamo trovare :
– Fortnite (17.5 GB)
– Overwatch (20 GB)
– Black Desert Online (27 GB)
– Apex Legends (22 GB)
– Escape from Tarkov (10 GB)
– Counter Strike: Global Offensive (15 GB)
– Team Fortress 2 (10 GB)
– League of Legends (22 GB)
Potrei continuare per altre dieci righe ed aggiungere qualche gioco single player, ma credo di aver reso l’idea. Inoltre, gran parte di questi titoli è scaricabile in pochissimo tempo (anche durante le ore notturne) ed il loro peso viene nel tempo ammortizzato grazie anche al loro poco consumo di dati, cosa che lo streaming video non può permettersi.
Consumo dati: Videogames vs Streaming – Chi ha ragione?
Se volessimo infine mettere una pietra tombale sull’articolo originale, mettiamo a confronto i protagonisti dell’inchiesta. Come introdotto verso la fine dello scorso paragrafo, un videogioco online una volta installato consuma davvero poche decine di Megabyte all’ora, sfiorando raramente le centinaia.
Grazie al grafico creato e pubblicato dai ragazzi del portale WhistleOut possiamo notare come il range di dati consumati all’ora risulti basso: si passa infatti dai 3 MB di Heartstone, fino ad arrivare ai 300 MB di Destiny 2. Prendendo infine un campione di 100.000 giocatori collegati contemporaneamente sul titolo sparatutto di Bungie, otteniamo un ipotetico consumo di 30 TB all’ora. Una cifra importante, ma che viene ridimensionata se messa in un contesto che vede una singola rete in grado di gestire fino a 20 PetaByte di traffico (come annunciato giorni fa da Fastweb stessa).
Per quanto riguarda lo streaming video invece? Prendendo in esame Netflix, una delle piattaforme di streaming più popolari al momento, la redazione di The Brag ci riporta tutti alla realtà con un grafico che parla per se.
Il primo dettaglio che salta all’occhio è la grande differenza tra il consumo minimo e quello massimo. Passiamo dai quasi 800 MB all’ora per uno streaming in 480p fino ai 7 GB richiesti dalla visione di un film alla risoluzione in 4k. E cercando anche su altri portali la situazione non cambia, anzi:
– Youtube (da 560 MB fino a 16 GB)
– Disney+ (da 300 MB fino a 7 GB)
– Amazon Prime Video (da 900 MB fino a 5.8 GB)
Chiariamoci, questo articolo non vuole giudicare gli hobby di nessuno (a parte quello dell’autore originale, ovviamente) ma vuole più che altro mostrare la realtà dei fatti e terminare il trend scaricabarile contro i videogiochi ed i loro appassionati, che vengono tacciati come parassiti che non ci fanno entrare nelle videoconferenze, quando in realtà utilizzano (nella maggior parte dei casi) una quantità di dati minuscola, rispetto a chi usufruisce di altri servizi in rete.
Concluderei questo pezzo invitandovi prima di tutto ad esprimere la vostra opinione e a discuterne, sarei felice di partecipare ad un dibattito sulla questione. Infine, vorrei lasciarvi con una piccola domanda: qual è stato secondo voi l’errore dell’autore originale? Io direi che una piccola ricerca su Google non gli avrebbe fatto male.