Premessa doverosa: a me i Paper Mario piacciono tutti. Ho amato anche i meno acclamati, come Color Splash, ed ero certa che avrei apprezzato Paper Mario: The Origami King, l’ultimo arrivato in famiglia. Lo spettro delle vecchie glorie come Il Portale Millenario ha del tutto rovinato l’esperienza a un gruppo di giocatori, che pretendono un certo tipo di opera in grado di reggere il confronto con i titoli classici. È come entrare in una pasticceria e potersi permettere di rifiutare buonissimi dolci perché c’è di meglio, qualche esotica pastarella che rientra di più nei nostri gusti ideali. Sono certa che mi attirerò diverse antipatie scrivendo queste righe, poiché tanti sono convinti che la qualità sia effettivamente calata negli anni e che sia un autentico spreco per una serie così promettente. Ma il punto è un altro: sono tutti titoli godibili e divertenti e trovo che sia un peccato negarsi decine di ore di divertimento per un principio, per quanto forse condivisibile, basato su quello che un gioco avrebbe potuto – o sarebbe dovuto – essere. Chiarito questo mio (scomodo) punto di vista, torniamo a Paper Mario: The Origami King, titolo che mi ha rapita, piegata e intrappolata in un mondo tanto adorabile quanto inquietante.

Ripiegare il mondo in una forma nuova, così da renderlo a sua immagine e somiglianza. Il cattivo di Paper Mario: The Origami King va oltre la velleità di diventare re o di sposare la bella Principessa Peach: vuole essere il vero e proprio dio di quell’universo, trasformando in origami le creature che incontra e assoggettandole al proprio volere. Questo sottotesto inquietante tinge tutta l’ambientazione, arricchendola di elementi che sembrano quasi fuori posto in un titolo della saga. Toad senza volto, navi infestate da mostri e soprattutto grossi nemici origami senza controllo si susseguono nelle ore di gioco ed è fantastico il modo in cui vengono integrati nel mondo dei funghi. Il resto dell’ambientazione, infatti, è il buon vecchio mondo colorato e giocoso che conosciamo, arricchito da location nuove e inaspettate come è tradizione della saga di Paper Mario. Sono volti noti anche i personaggi che incontriamo, ad eccezione del nuovo antagonista e di sua sorella, ma non per questo peccano in personalità, tutt’altro: sono spassosi e irriverenti come non mai. I vari Toad colorati sono nascosti nelle zone che esploriamo, incastrati in bauli o muri o ripiegati a origami, e liberandoli man mano consentiamo loro di tornare alle loro attività abituali. Così il mondo dopo il nostro passaggio si popola di Toad ristoratori, guardiaparco, nudisti o capitani. I nemici sono anch’essi i classici della saga, ma in questo caso molti di loro si reinventano come nostri alleati: la palpabile minaccia del nuovo tiranno origami fa riunire tutti gli abitanti del regno in un solo esercito, creando collaborazioni controintuitive e bizzarre. Ho sempre sognato di combattere al fianco di Kamek, lui sì che ha assi nella manica.

Paper Mario: The Origami King

L’errore di alcuni vecchi titoli della saga è stato quello di iniziare lentamente, introducendo solo dopo alcune ore gli elementi curiosi e le varie peculiarità. Paper Mario: The Origami King invece parte con il botto e fin dalla prima zona ci fa esplorare agriturismi Toad e ci fa assistere agli spettacolini di alberi danzanti. La struttura del gioco permette di osare, inserendo zone e ambientazioni molto differenti tra loro senza alterare la credibilità della storia. Mario e la sua assistente sono chiamati a liberare il castello di Peach dai nastri che lo avvolgono, seguendoli uno per uno e trovando il punto dove si fissano al terreno. Ogni nastro è intuibilmente protetto da un boss nemico, ma le zone ci obbligano al confronto anche con altre bestie in origine amichevoli e corrotte dal Re origami, chiamate Cartomagni. Queste creature sono in grado di fornirci il potere sugli elementi, che in alcune aree di gioco è necessario per proseguire o per trovare segreti e regali. Il potere dei Cartomagni è l’unica abilità aggiuntiva che si ottiene man mano giocando, in quanto Mario non acquisisce potenziamenti, e ciò rende quasi nullo il backtracking nelle varie zone visitate in precedenza.

Paper Mario: The Origami King

Il sistema con il doppio boss in ogni zona mi ha fatto subito pensare a The Legend of Zelda. Come nella saga dell’eroe di Hyrule, anche qui è necessario completare un santuario per ottenere un nuovo potere da utilizzare poi per affrontare il nemico che presidia quella regione. La sensazione si è fatta più intensa arrivati nella zona oceanica, che è in tutto e per tutto un omaggio a Wind Waker: i richiami sono innegabili e molto, molto graditi. L’esplorazione dei mini dungeon richiede la risoluzione di piccoli enigmi ambientali mai troppo complessi, oltre alla ricerca dei Toad nascosti in giro e dei numerosi passaggi segreti. Uno Zelda baffuto e cartaceo, nessuno mi toglierà questa idea di mente.

Paper Mario: The Origami King

Il sistema di combattimento è stato per me croce e delizia. Durante le mie prime ore di gioco a Paper Mario: The Origami King ho odiato con tutta me stessa la presenza della griglia circolare, su cui ci viene richiesto di orientare i nemici per metterli in riga e colpirli con un solo attacco. È possibile ruotare un anello o una colonna e in un numero limitato di mosse e di tempo è necessario trovare la giusta conformazione, che regala anche un bonus di attacco. In sostanza: o si risolve il puzzle, o la battaglia si protrae necessariamente per più di un turno, il che può essere molto seccante se si va di fretta o se si vogliono risparmiare mosse. Questo sistema inoltre rende marginale eseguire salti e attacchi col giusto tempismo, poiché i danni extra che si ottengono con un movimento eseguito nell’attimo ideale non riescono a compensare eventuali errori nella disposizione dei nemici, non permettendo di recuperare il turno ulteriore necessario per vincere. Ci sono dei modi per addolcire la pillola. Proseguendo nella storia si ottiene la possibilità di comprare tempo extra per impilare gli avversari o di pagare i Toad spettatori delle nostre battaglie, che saltano giù dagli spalti e girano la griglia per noi, o ci lanciano cuori e oggetti. Si sblocca inoltre la potenzialità di auto-risolvere i puzzle all’inizio nella battaglia, ma non ho pensato nemmeno un istante di attivarla: sarò anche negata per mettere in riga gli origami, ma non intendo snaturare un elemento fondamentale del gameplay, sarebbe quasi immorale. Le rare volte che sono riuscita nell’impresa, la soddisfazione è stata notevole, lo ammetto un po’ a malincuore.

I combattimenti contro i boss sono invece grandiosi: con un solo nemico a schermo, la faccenda cambia del tutto. Non dobbiamo più allineare origami, bensì creare un percorso spostando frecce, oggetti e caselle azione sul tabellone, pianificando un turno che includa la possibilità di curarci, attaccare da una certa distanza o attivare abilità. Questa meccanica non solo è divertente, è anche ben pensata e consente numerose variabili a seconda delle abilità del mostro nemico. Caselle incendiate, bloccate, ghiacciate…. tutto è possibile e ogni battaglia richiede una strategia differente, che risulta gradevole da decifrare e mai troppo difficile da comprendere. Inoltre, in queste occasioni il tempo a nostra disposizione per decidere come posizionare le caselle è maggiore e ciò riduce la tensione, che nelle battaglie normali ho trovato francamente eccessiva: non è il tipo di gioco in cui voglio aver paura del timer che scorre inesorabile. Paper Mario: The Origami King offre inoltre una buona varietà di armi da equipaggiare, che sono rappresentate da potenziamenti più o meno sbrilluccicanti delle scarpe e del martello base. Le armi di default sono sempre disponibili, mentre quelle più luccicose vanno comprate ed equipaggiate e tendono a consumarsi e rompersi nel giro di qualche combattimento. Un buon compromesso, più accettabile rispetto agli sticker consumabili dei titoli precedenti, che però rende ancora più seccante sprecare turni e logorare inutilmente i nostri acquisti.

Il punto di forza di Paper Mario: The Origami King è, come immaginavo, la cura posta nei dettagli. Le singole zone sono piene zeppe di segreti (e nonsense), i personaggi sono arguti, la soundtrack si adatta ad ogni zona con eleganza, i collezionabili sono nascosti in ogni angolo. Il gioco include un vero e proprio museo che si riempie durante la nostra avventura, grazie ai segreti sbloccati o raccolti in giro. Parliamo del numero di Toad trovati, ma anche dei tesori scovati, dei trofei vinti, degli strappi ricuciti e delle prede pescate nel minigioco della pesca. Tanta e tale varietà farebbe gola a ogni giocatore e persino io che non sono completista di natura mi sono dilettata nella ricerca, aiutata da accessori “radar” che segnalano i segreti in zona. Il tutto è orchestrato seguendo le note di una storia che raggiunge picchi inattesi per un titolo della saga, anche commoventi. È tutto ciò che si possa chiedere ad un Paper Mario e non vorrei nulla di più. Avrei voluto forse un battle system diverso, anche per mia inettitudine personale nella gestione del tempo e della griglia di gioco, ma quello scelto per il gioco tenta comunque di innovare la serie con una certa originalità, perciò non me la sento di demolirlo senza appello. La chicca che ho amato sono i riferimenti a Color Splash, che probabilmente abbiamo notato in quattro gatti. Quel titolo non merita di finire nel dimenticatoio e citarlo nel nuovo capitolo è un regalo inaspettato. C’è tanto, tanto di buono in Paper Mario: The Origami King e senza remore lo consiglio a tutti i possessori di Nintendo Switch.