In principio c’era Emiglio, il robot che ogni bambino nato negli anni ’90 voleva, ben diverso dai mech a cui gli anime giapponesi ci avevano e hanno abituato. Nessun razzo missile o circuito di mille valvole: un piccolo e buffo essere meccanico, con voce sintetizzata ed espressioni facciali limitatissime.

E se quel robottino così gentile, impacciato e adorabile in realtà nascondesse molto di più? Probabilmente non è il caso di Emiglio, ma tutto ciò invece corrisponde perfettamente a Horace, il protagonista dell’omonimo titolo già arrivato su Steam lo scorso anno e ora approdato su Nintendo Switch.

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Horace uno di noi

Il gioco nato dalla mente geniale di Paul Helman e Sean Scaplehorn, con alle spalle il publisher 505 Games, è un platform metroidvania che strizza l’occhio all’era 8 e 16 bit, ma non solo per quanto riguarda il comparto grafico. Horace è un vero inno agli anni ’90, un gioco fatto con amore per chi ama i videogiochi e riesce ad associare, con automatica lacrimuccia che scende, un semplice sprite o citazione ad un’opera famosa.

Ma Horace non è ovviamente solo citazionismo e oltre all’apparenza c’è di più, nonostante inizialmente il gioco possa sembrare molto lineare e semplice. La storia è tutta raccontata (con doppiaggio inglese ma sottotitoli in italiano, con qualche errorino di battitura) dallo stesso Horace con un espediente tanto semplice quanto efficace: parlando in prima persona dei fatti avvenuti in un tempo passato, il robottino giallo riesce a creare una vera empatia con il giocatore, che sembra spettatore di questo racconto, quasi come ascoltasse un anziano che narra la propria vita. E come tutti i racconti di esperienze vissute, non mancano le risate, i sorrisi, ma anche momenti molto toccanti.

La sua vita però la ripercorriamo tutta, in circa 12 ore, dall’assemblaggio fino alla piena maturità. Strano parlare così di un essere alla fin fine inumano, che non “cresce” e non diventa adulto, eppure se si chiude un orecchio (si dice così no?) sulla voce robotica e il suo essere estremamente ingenuo, Horace potrebbe essere benissimo uno di noi.

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Muoviamo i primi passi nel tutorial

La storia mi ha davvero colpito: non ci troviamo di fronte ad una trama chissà quanto profonda, ma vedere un platform così tanto story driven mi ha lasciato di stucco; l’equilibrio quasi perfetto tra cutscene e gameplay (forse qualche filmato in meno l’avrei gradito) portano sempre a volerne di più, non ci si stanca mai, nemmeno dopo aver fallito, fallito e ancora fallito una fase di livello.

Horace fonde infatti il genere platform e metroidvania con il trial & error, permettendo di ripetere senza alcuna interruzione le sessioni di gioco in cui si muore grazie al respawn praticamente istantaneo. Questo porta a rigiocare decine di volte sessioni in cui si muore altrettante volte, ma la frustrazione, nonostante una difficoltà che arriva ad avere picchi abbastanza alti, non prenderà mai il sopravvento.

Dopo un tutorial che insegna al nostro robottino come muoversi, i primi capitoli accompagnano il giocatore nelle meccaniche che ben presto bisogna imparare a padroneggiare: tutto, preso singolarmente, sembra semplice. Quando però i livelli iniziano a richiedere l’uso di tutto ciò che abbiamo imparato, ecco che la sfida si alza di molto dando la possibilità ad Horace, sia il gioco che il protagonista, di mostrare cosa è davvero.

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Quel porcospino l’ho già visto da qualche parte…

Il level design è pazzesco, con tantissimi alti e pochi bassi. Scordate la linearità di un mondo che va da sinistra verso destra e viceversa: grazie a degli speciali stivali Horace è in grado di camminare sulle pareti ruotando così la telecamera che, in certi frangenti, può disorientare nelle parti più avanzate. Dopo una decina di capitoli, quando si entra nel vivo della storia, si richiedono riflessi pronti, precisione nei movimenti e intuizione nel capire come raggiungere l’obiettivo guardando il livello da prospettive del tutto diverse.

Raccontato può sembrare qualcosa di difficilmente gestibile ma in realtà, una volta capita la meccanica, si inizia a “pensare” in modo diverso, quasi come se il cervello automaticamente iniziasse a guardare le cose a 360°. L’impresa è facilitata anche dall’ottimo comparto grafico che, con la pixel-art a 16bit, riesce a rendere tutto facilmente riconoscibile ad una prima occhiata, dagli oggetti utili alle pareti scalabili, dai nemici agli elementi elettrici dai quali è meglio tenersi alla larga.

Una situazione non proprio piacevole

La stessa cura dei dettagli è visibile anche nelle cutscene che fondono “l’alta risoluzione” dei 16bit con gli 8bit: i personaggi, quando in primo piano, diventano infatti dei veri e propri ammassi di pixelloni che però riescono comunque a essere espressivi e caratterizzati al massimo. E ricordiamoci che nessuno di loro è doppiato direttamente, ma prendono voce grazie al racconto di Horace.

Dello stesso livello il comparto sonoro, che unisce effetti nella media con un’OST ottima, composta da alcuni brani originali e da alcuni remix di musiche classiche che tutti, almeno una volta nella vita, hanno sentito. Un lavoro magistrale.

Non mancano poi gli upgrade per migliorare il protagonista e rendere le cose leggermente più semplici: alcuni negozi vendono infatti dei potenziamenti acquistabili grazie ai soldi guadagnati da piccoli lavoretti, sotto forma di minigiochi,o vendendo la spazzatura che troviamo nel corso del gioco. Un altro obiettivo, quello primario e da cui tutto ha avuto origine in realtà, è infatti quello di ripulire il continente da un milione di pezzi di spazzatura: una missione che Horace prende molto a cuore, tanto da sembrare non dar peso ad eventi molto più importanti in cui si ritrova.

Il secondo divano più famoso del mondo

Un vero inno agli anni ’90, come detto inizialmente, ma non solo per quanto riguarda la grafica. La storia e le ambientazioni sono colme di riferimenti alla cultura pop tra film, videogiochi, musica, letteratura, cinema e serie tv. Il nostro Horace è poi un amante dei videogame e il gioco fa di tutto per accontentarlo: in ogni città troviamo delle sale con cabinati arcade in cui possiamo giocare a iconici titoli con nome e grafiche opportunamente modificate ma perfettamente riconoscibili nelle meccaniche. Si gioca quindi a cloni di Pac-Man, Guitar Hero, Pong, Space Invaders e molti altri che non nomino per non rovinarvi la piacevole sorpresa.

Horace è un indie game ed un progetto relativamente piccolo, eppure dimostra quanto delle idee geniali, una scrittura ben pensata e una qualità elevata possano fare la differenza anche senza budget enormi. Un titolo che consiglio caldamente, soprattutto su Nintendo Switch, dove la natura portatile permette sessioni di gioco rapide e brevi. Sempre se riuscite a smettere.