Fin dal 1927 con Metropolis di Fritz Lang, i media hanno cercato di trattare la lotta tra classi di ricchi e poveri all’interno di una società distopica presente in un lontano futuro. Tra questi, Snowpiercer di Bong Joon-ho, basato sulla graphic novel francese Le Transperceneige, è andato oltre, utilizzando il tema dello scontro tra classi come sfondo per condensare umorismo, sadismo e critica ambientale all’interno di un singolo film.
E visto che il 2020 è proprio l’anno perfetto per celebrare l’importanza del regista coreano, dopo aver vinto due Oscar importanti con Parasite, quale miglior modo per riprendere questi temi e trasporli all’interno di una serie disponibile in streaming su Netflix? Saranno riusciti a centrare il segno? Prendete posto sul vostro vagone, rilassatevi e preparatevi a scoprire cosa hanno in serbo per voi i primi cinque episodi di Snowpiercer.
Un’altra rotaia
In realtà, il contributo di Bong Joon-Ho alla serie è prettamente simbolico, in quanto ha intrapreso il ruolo di producer e supervisore del progetto. Questa versione di Snowpiercer rappresenta una nuova direzione per il franchise, spostandosi dal genere del dramma comico e a volte grossolano per abbracciare un format più americano, ovvero il poliziesco.
Il setting è praticamente lo stesso: nel 2014 per cercare di risolvere il problema del riscaldamento globale vengono lanciate delle testate missilistiche contenti un gas sperimentale in grado di raffreddare la temperatura del pianeta. Il risultato è catastrofico: l’intero pianeta rimane totalmente congelato e l’umanità è costretta ad affrontare una nuova Era Glaciale. Coloro che sono sopravvissuti viaggiano all’interno dello Snowpiercer, un treno lungo 1,001 vagoni e spinto grazie al rivoluzionario Motore Eterno sviluppato dal capotreno Mr. Wilford. Nonostante l’alta tecnologia di questo mezzo di trasporto, al suo interno vige una divisione in classi instabile: se vicino alla testa abbiamo la prima classe – con al suo interno un club esclusivo di ricchi e potenti – dalla seconda in poi si può notare l’ovvia disparità in termini di igiene e rispetto per i diritti umani.
Fino a raggiungere la coda del treno, dove i passeggeri al suo interno vengono trattati come schiavi e carne da macello. Da questo punto in poi, si innescano gli eventi della serie che, in termini di fedeltà all’opera originale, prende spunto sia dalla Graphic Novel che dal film per raccontare una nuova storia.
L’instabilità di questa mini società fondata sull’ordine viene intaccata ulteriormente quando dal nulla cominciano ad avvenire una serie di omicidi che costringono il personale del treno ad affidarsi ad Andre Layton (Daveed Diggs), l’unico detective presente sul treno e che, ironicamente, appartiene al vagone in coda al treno.
Benché la premessa di questa serie risulti interessante e porti a parlare di temi come il classismo, il confronto morale e più avanti anche il rapporto distopico tra uomo-macchina, essa perde l’elemento della persona comune che può cambiare il mondo, presente nel personaggio di Curtis che troviamo nel film, in favore del solito cliché della persona giusta al momento giusto. Quest’ultimo, va quindi a penalizzare l’empatia che lo spettatore prova verso Layton, in favore del braccio destro di Mr. Wilford: Melanie (Jennifer Connelly). Per fortuna, questa mancanza d’identità viene – col passare degli episodi – messa da parte, una volta che il quadro della situazione comincia a farsi sempre più chiaro e completo.
La serialità di questo prodotto invece, è risultata una manna dal cielo per tutti i fan del post-apocalittico. L’utilizzo di una sceneggiatura divisa in varie sottotrame, che andranno ovviamente ad incontrarsi più avanti, ha permesso un ulteriore approfondimento sul setting dell’opera, anche in punti e scenari del treno che nel film di Bong Joo-Ho non potevano esser rappresentati, data la sua narrazione lineare. Bisognerà vedere come si svilupperà il resto della serie nei prossimi 5 episodi e come verrà gestito il finale, sopratutto pensando ad una seconda stagione già confermata ed in pre-produzione.
Una scarpa alla regia
Il titolo di questo paragrafo è prettamente ironico e prende spunto da uno dei dialoghi del film originale: “Una scarpa non può e non deve arrivare alla camera di controllo”. Dico questo perché, durante la visione degli episodi, mi è sembrato che ad un certo punto uno tra il regista od il montatore si siano assentati per qualche scena. Ci sono momenti in cui la telecamera riesce a catturare la giusta inquadratura, soprattutto per quando riguarda i dettagli utili per descrivere un personaggio, seguita da inquadrature da repertorio alla “Boris”: ci sono tanti primi piani basiti, che sebbene prendano pochi secondi dal minutaggio, tendono a stuccare e a rallentare il tutto. Il montaggio inoltre segue una sorte simile. Ci sono momenti in cui le varie sequenze si collegano bene l’una con l’altra, mentre alcune vengono inserite dentro senza alcun criterio riguardante la continuità.
In definitiva, la serie tv di Snowpiercer risulta essere un buon prodotto con una propria identità, che al momento fa fatica ad uscire del tutto dal luogo comune in cui navigano la maggior parte delle serie poliziesche americane. Tuttavia, dopo i primi 5 episodi, sono fiducioso nel dire che la strada intrapresa è quella giusta. Vedremo se sapranno condurre questo treno senza incappare negli errori del passato.