Durante la gamescom dell’anno passato, Biomutant ha fatto il botto, partendo dal nulla. Era senza dubbio il gioco di cui si parlava di più, e la fila per provarlo in area consumer era mastodontica, complici anche gli snack e le bibite energetiche a tema che venivano regalate ai giocatori. La combinazione di piccoli personaggi simili a roditori con un’enorme arguzia e capacità di cavarsela, e di un mondo con componenti steampunk-tecnologiche, attirava come il più dolce dei mieli. Quest’anno la situazione era un po’ diversa: il titolo era nuovamente giocabile, con una demo di una ventina di minuti, e per i giornalisti era disponibile una presentazione a porte chiuse di una mezz’oretta, coronata da una sessione di domande. Ma la domanda nella mente di tutti era la stessa: tra quanto uscirà il gioco? Si sa, noi esseri umani non siamo bravi ad aspettare.

Experiment 101 è un piccolo studio svedese con una ventina di persone, e appare evidente come Biomutant per loro sia una grossa scommessa. Non è un tripla A per mancanza di fondi, ma l’impegno dedicato al gioco è paragonabile a quello di una grossa produzione. Ci stanno, insomma, lavorando al meglio delle loro possibilità, ma un open world non è uno scherzo. Il titolo infatti vuole vantare una mappa molto ampia, da esplorare in pieno con rigore e senza fretta, e desidera concedere una grande libertà al giocatore. Si può infatti terminare la partita raggiungendo determinati obiettivi, nascosti e non noti, che possono essere superati in maniere differente. Di conseguenza può capitare di arrivare all’end game svolgendo attività diverse, e non necessariamente avendo girato tutte le zone a disposizione, ma ci sono incontri e scontri determinanti. I cinque grandi animali che abitano le radici del grande albero della vita, sono dei boss non opzionali: a differenza di TLOZ A Breath of The Wild, non si può semplicemente correre verso lo scontro finale. Biomutant non è pensato per gli speedrunner, vuole unicamente offrire la scelta al giocatore su come creare la propria avventura personale.

Una grande rilevanza è data al karma: il gioco presenta vari finali a seconda delle nostre scelte, e siamo proprio noi a scegliere se salvare il mondo o distruggerlo. Sono presenti varie tribù, ognuna con un proprio guerriero campione e un governatore, che può essere di allineamento buono o malvagio. Le nostre alleanze sono perciò in grado di definire l’assetto geo-politico della nostra terra, e sono molto rilevanti, anche se è possibile in ogni momento tornare indietro e cambiare idea. Altro nodo fondamentale dell’opera mi è parsa essere l’ingegno: i protagonisti sono (nella gran parte dei casi) piccoli topolini e roditori vari, alti quanto un cespuglio e che corrono qua e là su delle zampine sottili come stuzzicadenti, ma sanno ampiamente cavarsela. E perciò via di mech, di sottomarini da combattimento, di creature da cavalcare e di armi futuristiche da utilizzare: Biomutant è una metafora della mente che vince sui muscoli, a mio parere.

Il vero motivo di vanto degli sviluppatori è la profondità del sistema di creazione del personaggio. Ne abbiamo visti tanti negli anni, più o meno dettagliati, ma quello di Biomutant è ridicolo: si può davvero realizzare il nostro guerriero furry a nostro piacere, e le scelte del fisico influenzano fortemente le caratteristiche. Perciò no, non possiamo avere un topolino con la forza di Ercole, però possiamo renderlo un testone intelligente, il che forse è ben più divertente.

Biomutant ha davanti a sé ancora tanto lavoro per essere pronto, è abbastanza evidente anche dai video presentati alla stampa. Lo studio al lavoro non vuole scendere a compromessi, e ha deciso di realizzare un progetto immenso e difficoltoso, il che è senza dubbio degno di stima. Pur sperando di vederlo nel 2020, come da programma, non me la prenderei troppo in un rinvio, poiché questo titolo può essere davvero un gioiello, basta credere negli sviluppatori e concedere loro il tempo necessario.